Achille Lauro, romano romantico romanziere: la recensione di ‘Comuni mortali’ | Rolling Stone Italia
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Achille Lauro, romano romantico romanziere presso se stesso

Va in scena in ‘Comuni mortali’ l’ultima trasformazione di Lauro, l’uomo maturo che ripensa al passato suo e dei ragazzi perduti in canzoni sentimentali che ti fanno dire «dov’è che l’ho già sentita?». La recensione

Achille Lauro, romano romantico romanziere presso se stesso

Achille Lauro

Foto: Marcello Junior Dino

Basta tutine, variazioni sempre più inconsistenti di Rolls Royce, slogan fatti canzone. Achille Lauro posa ora da cantante semi-confidenziale ma dall’eloquio volutamente sgraziato che fa la cronaca sentimental-stradaiola del suo passato, dei suoi amori, dei suoi affetti famigliari. Sullo sfondo c’è ovviamente Roma, anzi Amor come da titolo del singolo che usa il più banale dei palindromi, come un’eau de toilette, un’onlyfanser capitolina, un ristorante con la cacio e pepe. Forse era una trasformazione prevedibile giacché prima di Comuni mortali ci sono stati da una parte lo stile leccato e rétro d’Incoscienti giovani, quel modo di far canzoni riallacciandosi a un passato della musica italiana in cui ci si potevano permettere singulti e ampie melodie, e dall’altra l’autonarrazione di Ragazzi madre – L’Iliade. Nel documentario agiografico uscito a fine 2023 Lauro raccontava la sua parabola di sbandatello che viene dalle piazze di spaccio e finisce per frequentare le piazze televisive, redento e a suo agio sia coi ragazzi di Kayros, sia con Mara Venier.

Anche Comuni mortali è il racconto di frammenti di vita vera o verosimile di questo romano romantico romanziere presso se stesso che dopo tante acrobazie stilistiche ha deciso che era giunta l’ora di dedicarsi all’esposizione della sua e dell’altrui fragilità con un sentimentalismo d’altri tempi. E pensare che c’era chi prevedeva un clamoroso ritorno al rap e ai suoi temi. Lauro non vuole competere a chi ce l’ha più lungo (l’estratto conto), ma a chi ce l’ha più grosso (il cuore). E forse dopo le polemichette, le boutade, i “quadri”, le pose, i libri, le mostre, il gossip e molteplici tentativi d’épater les bourgeois non restava che vestirsi una volta per tutte come un adulto, fare i conti col passato, farlo da maschio sensibile.

Achille Lauro - Incoscienti Giovani (Official Video - Sanremo 2025)

Questo, dice Lauro, è un disco di dediche: alla sua città, al suo grande amore, alla madre, ai ragazzi con cui è cresciuto. «Questo album è di tutti. Proviamo le stesse cose. Siamo così simili. Così fragili». Stai a vedere che il numero uno dei bravi ragazzi usciti dai cattivi quartieri è quello che Striscia braccava e cercava di convincere che la Rolls di cui cantava non era un’auto, ma una pasticca. Più di quelle sui rapporti sentimentali consumati dentro il raccordo anulare sembrano centrali gli affreschi collettivi dei ragazzi perduti e soprattutto la canzone per mamma Cristina, massimo esempio da seguire, agente del bene, dispensatrice d’amore che nulla chiede, dove tra l’altro Lauro confessa d’avere avuto pensieri suicidi. C’è anche la terza parte di Barabba, canto epico, storia vera di roba e di morte. Le donne, gli spacciator, i cinquantini, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese egli canta facendone romanzo popolare che serve non ad affermare il proprio dominio, ma a trasmettere l’idea che da certe situazioni si può uscire cercando caparbiamente un’alternativa. E farlo senza rinnegare quel sottomondo, ma anzi ripensando a quei giorni e a quegli amici con cristiana compassione e gusto per l’epica metropolitana.

Una cosa che a Lauro non difetta è la capacità di giocare coi luoghi comuni, d’essere ironico, sexy e a suo modo rock’n’roll, di riflesso ma pur sempre rock’n’roll. Qua non c’è nulla di tutto ciò. Lauro punta sulla costruzione di una nuova classicità tirando fuori melodie e suggestioni soprattutto dai repertori dei cantautori pop anni ’70-’80, con poche e francamente non impressionanti eccezioni come Dannata San Francisco, pare ispirata ai Red Hot Chili Peppers e facilmente skippabile, o l’atmosfera da disco ’70 di Fiori di papavero. Il resto è per lo più vecchia canzone o a seconda dei gusti canzone vecchia. Se vi sembrerà d’avere ascoltato da qualche parte il pre-ritornello di Perdutamente, se il tema melodico di Amor è famigliare, se il finale della strofa di Walk of Fame accende una lampadina, se il refrain di Dirty Love ricorda qualcuno, così come dentro Incoscienti giovani molti hanno orecchiato una mezza dozzina di pezzi noti, è perché Comuni mortali è lo specchio del pop di questi tempi in cui poco o nulla s’inventa e tutto si rimastica, da Venditti a Tozzi. È l’eterno ritorno di una musica un tempo snobbata perché considerata troppo sentimentale, troppo popolare, troppo vecchia. E forse è davvero la retrotopia di Zygmunt Bauman fatta canzone, il passato come rifugio rassicurante in un mondo che appare quanto mai incerto e quindi spaventoso.

Resta però la sensazione che Comuni mortali non sia frutto d’un lavoro approfondito su quest’estetica o di un’adesione totale a un mondo sonoro. Lauro è del resto uno che da sempre cannibalizza stili e tendenze, oggi uno e domani un altro. Operando in questo mondo, resta fatalmente in superficie. C’è beninteso del buono in Comuni mortali, ma anche la dolcezza affettata di tante melodie, il carattere modesto di alcune composizioni, l’insistenza stucchevole sull’amore, la banalità di certe canzoni, il tono quasi implacabilmente commosso e, lo scrivo con simpatia, l’involontario effetto comico di certe frasi. E attorno alle canzoni c’è l’aria mortifera della retorica, che è da sempre il tallone d’Achille di Achille.

Achille Lauro - AMOR (Official Video)

Ma c’è anche, e questo rende Comuni mortali e soprattutto la storia di Achille Lauro interessante e a suo modo unica, una compartecipazione credibile alle storie e alle fragilità altrui, il rifiuto di replicare i luoghi comuni del rap di strada da cui Lauro è emerso tanti anni fa, per immaginare qualcosa di meglio della celebrazione della ricchezza sfrenata da ultracapitalisti che ti fanno il medio perché han fatto la grana e quindi possono guardarti dall’alto verso il basso. Nella sua musica Lauro non guarda nessuno dall’alto verso il basso. Guarda invece il ragazzo che è stato e quelli che oggi fanno la vita che faceva lui senza giudicare, perché sa che bruciano di libertà e pensano che è meglio finir male che far la fine dei genitori. Per poi ritrovarsi vent’anni dopo a chiedere scusa alla madre, dopo aver capito tutto. I morti son quelli che non l’han capito per tempo.

Per musiche e temi, Comuni mortali è il punto di arrivo di almeno un paio di canzoni che Lauro ha pubblicato tempo fa, il gioco tra memoria e sentimento di 16 marzo e Solo noi, dov’era cantore dei figli di nessuno, dei ragazzi finiti ai margini di tutto. Qui c’è la stessa cantabilità popolana. La si ritrova anzi accentuata in molti pezzi, resa ancora più marcata dal modo di cantare volutamente strascicato, volgare e romanissimo di Lauro. Sarebbe anche un disco che s’ascolta più di due o tre volte se non fosse per la sproporzione tra le belle intenzioni e l’effettiva consistenza delle canzoni, come in quei cataloghi d’arte pieni di descrizioni immaginose di opere ben poco strabilianti.

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