Stai a vedere che Yoko Ono ha allungato la vita ai Beatles | Rolling Stone Italia
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Stai a vedere che Yoko Ono ha allungato la vita ai Beatles

Il giornalista americano e amico di famiglia David Sheff racconta in una nuova biografia la storia dell’impenetrabile, stravagante, geniale, fragile, indisponente performer. E avanza una tesi controcorrente

Stai a vedere che Yoko Ono ha allungato la vita ai Beatles

Yoko Ono

Foto: courtesy of Yōko Ono per la mostra ‘Yoko Ono: Music of the Mind’

Nel 1965 Yoko Ono mise in scena alla Carnegie Recital Hall di New York una performance chiamata Cut Piece. Stava seduta a terra sul palco, vestita di nero, i capelli raccolti. Gli spettatori erano chiamati ad avvicinarsi uno alla volta e tagliare con un paio di forbici un pezzo dopo l’altro del suo vestito. Chi c’era racconta che i primi l’hanno fatto con titubanza. Quand’è stato il turno di alcuni ragazzi più giovani, hanno cominciato a farlo con gusto, tagliando grossi pezzi di tessuto fino a lasciarla in biancheria intima. Quando un uomo le ha tagliato le spalline del reggiseno, Ono ha fatto un cenno e il sipario è calato prima che si scoprisse il seno. A Kyoto, dove aveva messo in scena Cut Piece l’anno prima, un uomo aveva fatto il gesto d’accoltellarla con le forbici. A Londra anni dopo l’avrebbero lasciata nuda.

Potete interpretare Cut Piece in vari modi, la stessa Yoko Ono l’ha fatto riproponendo la performance nel corso degli anni: un richiamo alla vulnerabilità del corpo delle donne, una performance sull’importanza del concetto di fiducia, una riflessione su sottomissione e dominazione, un manifesto del darsi totalmente agli altri. Col senno di poi, mi sembra anche la perfetta rappresentazione del rapporto tra l’artista e l’opinione pubblica, che l’ha fatta metaforicamente a pezzi. È accaduto di continuo, per decenni. Lei è stata per lo più ferma, impassibile, inamovibile nella sua impenetrabilità.

È stata una lotta impari nonostante il carattere duro, la fama e la ricchezza dell’artista. È una storia raccontata in nuovo libro di David Sheff titolato semplicemente Yoko. Sheff sa di cosa parla. Ha conosciuto Yoko Ono e John Lennon nel 1980, quando li ha intervistati per Playboy. È nata un’amicizia decennale con l’artista. Quando il giornalista s’è trovato nei guai col figlio tossicodipendente, una storia raccontata nel libro Beautiful Boy da cui è tratto il film omonimo con Steve Carell e Timothée Chalamet, Ono e il figlio Sean gli hanno dato una mano. È un amico di famiglia, anche se da una decina d’anni non frequenta più assiduamente la donna. Nel libro il punto di vista Sean Lennon è spesso presente, i pregi dell’artista sono sempre ben evidenziati, lo sguardo insomma è più che benevolo. Sheff però racconta anche i lati più stravaganti del carattere della donna, le fragilità, la durezza. «Può un giornalista dire la verità su un’amica?», si chiede. È una vecchia storia, di sicuro questo è il libro che più s’avvicina a una biografia autorizzata di Ono, nel bene e nel male.

Sono anni che si dice che i beatlesiani devono delle scuse a Yoko Ono. Lo ha capito anche Paul McCartney, passato dalla diffidenza al quasi affetto per questa donna apparsa agli occhi del pubblico occidentale nella seconda metà degli anni ’60 con alcuni difetti imperdonabili: era giapponese, dura, femminista, decisamente stramba. All’epoca si poteva pure dire che era brutta, senza che nessuno avesse alcunché da obiettare. Lei non mollava di un centimetro, non faceva nulla per farsi voler bene. Dopo essersi legata a Lennon è diventata la «ugly Jap» a cui gridare di tornarsene a casa, una sfasciafamiglie (il Beatle era sposato con Cynthia Powell, da cui aveva avuto il primo figlio Julian) e una sfasciaband. La sua presenza era irritante, il suo modo di concepire l’arte concettuale spiazzante per i fan che volevano sentire Strawberry Fields Forever, farsi domande sul Tricheco, vedere replicata all’infinito la storia d’amicizia tra John e Paul.

Yōko Ono durante la performance ‘Cut Piece’ (1964). Foto: Minoru/courtesy of Yōko Ono

Dei 92 anni che Yoko Ono ha vissuto finora ne ha passati da signora Lennon meno di 15, ma quel legame è rimasto indissolubile e lo stesso Sheff, che pure vuol dimostrare che l’artista è stata anche molto altro, dedica fatalmente agli anni passati col Beatle circa metà del libro. «Io sono l’allievo e lei la maestra», diceva John, nonostante la disparità di popolarità. Lui l’ha resa famosa, ma l’ha anche fatalmente fatta finire nella sua ombra. Nata in una ricchissima famiglia giapponese, è cresciuta nell’abbondanza materiale e nella povertà affettiva, con un rapporto mai veramente risolto coi genitori e in particolar modo con la madre. Cresciuta in parte in Giappone, dove ha conosciuto le ristrettezze del secondo dopoguerra in un Paese messo in ginocchio da due atomiche, e in parte negli Stati Uniti, si è sentita aliena nell’uno e nell’altro posto. Studentessa brillante, ragazza depressa e piena di ansie, ha tentato il suicidio e ha trovato rifugio in un’immaginazione sfrenata. Forse davvero è tutto partito nel periodo in cui, sfollata dalla Tokyo bombardata dagli americani, per far passare i morsi della fame al fratello minore lo invitava a mangiare con lei del cibo che esisteva solo nella fantasia: immagina una mela.

Se il pubblico pop non la capiva è perché non comprendeva l’arte concettuale di cui Ono è stata una delle pioniere i cui meriti sono stati riconosciuti molto tardi. Trasferitasi a New York, ha trovato spiriti affini in matti geniali come quello di Fluxus. Per lei, l’arte è qualcosa che si svolge dentro la testa di chi la osserva ed è quindi importante il gesto. Uno dei suoi mezzi principali sono le istruzioni tra cui gli “immagina” del volume Grapefruit, poi ispirazione per la canzone Imagine. L’esempio di una sua composizione di quand’era ventenne: “Scegli una sola nota da suonare. Suonala col seguente accompagnamento: il bosco dalle 5 alle 8 del mattino d’estate”. No, non era Twist and Shout. A differenza del marito, lei non voleva essere Elvis, al limite voleva essere John Cage.

Quando ha cominciato a frequentare la canzone, l’ha fatto col suo timbro canoro e i suoi vocalizzi stridenti, come un sassofono free jazz passato attraverso un distorsore, un’estensione dei sentimenti di caos, lotta, dolore. Ridurre il suo repertorio a urla stonate è una stupidaggine molto popolare. Il disco che ha inciso durante il cosiddetto lost weekend, Approximately Infinite Universe, è meglio di metà delle cose del Lennon solista, ed è solo un esempio. Col tempo ha incassato l’ammirazione di leggende come Patti Smith, alternativi come i Sonic Youth, superfighi come David Byrne e St. Vincent, rocker come Courtney Love, popstar come Miley Cyrus e Lady Gaga. Contro ha sempre avuto il grande pubblico che non l’ha mai benvoluta. L’ultimo colpo di scena prima di sparire dalle scene causa età e malanni è la trasformazione in artista d’alta classifica dance grazie ai remix.

Avendo Sheff conosciuto Ono nel 1980, sono particolarmente vividi e interessanti gli episodi successivi alla morte di Lennon tra cui le feste al Dakota in età matura dove si potevano incrociare la stessa sera David Bowie, Andy Warhol, Bob Dylan e Madonna. Erano tutti invitati a togliersi le scarpe, Warhol si rifiutava, Madonna diceva che avrebbe tolto più volentieri il reggiseno. Interessante anche il racconto della lunga storia d’amore con l’arredatore Sam Havadtoy di cui poco si sa. Colpisce quant’era avanti Ono nelle battaglie femministe, ma anche il suo ottimismo che rasenta l’ingenuità e che, come dice il figlio, poteva permettersi essendo sopravvissuta a una Guerra mondiale e all’omicidio del marito. È più scontata la parte centrale del libro, quella sul rapporto con Lennon di cui tanto è stato scritto, sono meno vive le pagine sugli ultimi anni, un riassunto dei riconoscimenti arrivati in età ormai avanzata.

Emergono anche la devozione di Ono al lavoro che oggi considereremmo tossica, l’egoismo, l’anaffettività dimostrata in molte occasioni, forse perché l’aveva subita da bambina o forse, così suggerisce Sheff, per paura di non essere all’altezza. «Io ho tenuto il bambino in grembo per nove mesi, ora lo devi crescere tu», disse a Lennon nel 1975, alla nascita di Sean, col quale beninteso ha sempre avuto un’ottima intesa, anche tramite la musica. Lo stesso Havadtoy s’è allontanato perché mai riconosciuto davvero come partner alla pari. Il rapporto con la prima figlia Kyoko è ancora più drammatico ed è fatto di separazioni lunghe decenni, una contesa legale, persino dei rapimenti (da parte di Ono e del secondo marito Tony Cox), una frattura dolorosa risanata solamente nel 1994. La ragazza aveva ormai superato i 30 anni d’età, ma mamma e figlia praticamente non si conoscevano.

‘Secret Piece’. Foto: courtesy of Yōko Ono

Come un donna tanto intelligente e fieramente indipendente potesse essere vulnerabile a tal punto da affidarsi a cartomanti, sensitivi e truffatori vari è un mistero. Per avere accesso a Lennon nell’80 lo stesso Sheff ha dovuto fornire luogo e data di nascita, di modo che Ono controllasse se il giornalista era compatibile col marito dal punto di vista numerologico e astrologico (nota a margine: per scrivere il pezzo per Playboy ha poi passato tre settimane con la coppia, roba d’altri tempi). Numeri, carte e divinazioni dettavano quali scali aerei fare, anche a costo di girare mezzo mondo, in quale ordine mettere le canzoni nei dischi, in quali giorni fissare gli incontri di lavoro. Una follia che evidentemente non le ha impedito d’essere artista e imprenditrice di successo, si stima che abbia un patrimonio di 500 milioni di dollari. È una nevrosi che s’è solo acuita dopo la morte del marito. Sono le pagine più tristi del libro, con Yoko e Sean asserragliati dentro al Dakota, dipendenti infedeli che vendono oggetti di Lennon e storie inventate, finte veggenti che si mettono d’accordo per spillarle soldi, continue e serie minacce di morte, intrusioni nell’appartamento, il senso di un’intimità violata nel momento peggiore.

Yoko non è un libro che vi farà diventare simpatica Ono, ma vi metterà di fronte alla possibilità, se non l’avete ancora fatto, di riconsiderare il suo ruolo nella cultura popolare del secolo scorso e di pensare con più clemenza alle sue incoerenze e alla sua durezza caratteriale. Sheff considera la grande accusa, quella d’aver sfasciato i Beatles, una stupidaggine. Del resto la vita va dove deve andare, le persone crescono, evolvono, cercano nuove cose da fare. L’autore avanza anzi una tesi controcorrente, ovvero che la presenza di Ono abbia reso i Beatles più sopportabili per Lennon che in quegli anni era demotivato e aveva già «un piede fuori dalla porta». La sua vicinanza l’ha rassicurato. In altre parole, se non ci fosse stata lei, il gruppo sarebbe finito prima e non ci sarebbero stati Abbey Road e Let It Be. Di sicuro lei, che ha curato la memoria del marito tramite decine di uscite discografiche facendosi la fama di sfruttratrice, in quanto artista ha sempre guardato al presente e in questo è stata d’esempio. Tornare indietro è stata raramente un’opzione. Viene in mente una frase che Lennon ha detto a un fan nostalgico dei Beatles anni dopo lo scioglimento. «Quand’è che tornate assieme?». «E tu quando torni alle superiori?».

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