Ornella Vanoni: «Basta concerti, agli Arcimboldi ci stavo rimanendo secca»
È uscito oggi il libro autobiografico ‘Vincente o perdente’. È l’occasione perfetta per chiederle di raccontarsi. Lo fa qui con leggerezza e profondità: vita, morte («la Musona»), esperienze, lotte, passioni, politica, amori. Avrà anche deciso di non fare più concerti, ma sa “leggere” benissimo la contemporaneità
Foto press
Ornella Vanoni non ha mai smesso di sorprendere e sorprendersi, di emozionare o di spezzare il cuore di chi la ascolta. E nel suo ultimo libro Vincente o perdente, scritto con Pacifico (La Nave di Teseo), lo fa ancora una volta. Non è un’autobiografia, ma un diario che sembra scritto in presa diretta e che svela l’anima di una donna attraverso la sua voce inconfondibile ed esperienze difficilmente replicabili. Ma non è solo la sua carriera a emergere dalle pagine del libro. È l’umanità che risalta, fragile e potente, incastonata in una vita sia magnifica che difficile, nel complesso straordinaria tra lotte, passioni, amore e humour. In una sola definizione: leggendaria.
Abbiamo provato a ripercorrere questa esistenza insieme a lei. Sapevamo che sarebbe stato impossibile restituirne l’immensità, ma anche che sarebbero emersi altri aspetti: aneddoti, battute, carezze. Così come la musica, tantissima musica. Non solo relegata al passato. Perché Ornella, che finalmente il pubblico ha scoperto «al posto della Vanoni», ne ha davvero per tutti. Lucio Corsi? «Oggi è l’unico cantautore». Lo dice stupendosi dei testi scritti da più autori e “dissa” Achille Lauro: «Se ci vogliono in sette per scrivere “Amore mio veramente, se non mi ami muoio giovane”… diciamo che, se dovessi applicarmi, potrei scriverla anch’io una canzone così». Apprezza Madame, ma la richiama all’ordine: «Mi piace, ma doveva scrivermi un brano ed è sparita». Difende Elodie dalle critiche di Gino Paoli: «Gino, mettiti il cuore in pace, le donne si possono spogliare, questa è la moda».
Poi c’è la sua storia, fra sofferenze e risate: gli eccessi di Strehler, la rottura con Paoli (ricomposta grazie alla moglie), l’assenza come madre: «Ma ora con Cristiano abbiamo un buon rapporto». Non manca di commentare l’attualità. La sinistra? «Dov’è finita? Prima o poi, me lo dovranno spiegare». La destra? «Giorgia Meloni non mi dispiace affatto, non mi sembra una cretina. Il suo problema è che è mal circondata». Ci dà una brutta notizia («Ti confesso che di concerti non ne farò più»), ma con un’eccezione per realizzare un sogno: «Duettare con Sting». E quando le chiediamo di mandargli un messaggio, canta Message in a Bottle.
Ornella, non mi capita spesso, ma stavolta ti confesso di essere un po’ emozionato.
Perché, tesoro?
Per quello che rappresenti nella musica…
Perché sono vecchia, vero? Dillo pure che è come parlare con tua nonna!
Ma figurati, hai una vitalità che è invidiabile per tanti ventenni.
Sai che per alzarmi dal letto devono prendermi a frustate? Quando mi alzo, allora vado. Non è facile alzarsi. È tutta la vita che mi alzo, anche se ultimamente ci riesco un po’ di meno.
Ho letto il tuo libro e sembra proprio di entrare nei tuoi pensieri, anche quelli più intimi.
Mi sono affidata a Pacifico, che mi ha buttato addosso un fiume di roba, ma ha una sensibilità davvero rara. Perché non deforma quello che dico, semmai lo migliora. Il primo libro che ho scritto in passato, Una bellissima ragazza, l’aveva realizzato un giornalista, Giancarlo Dotto. Io parlavo, lui scriveva il testo, e alla fine abbiamo litigato. Non ha importanza, erano commenti che faceva alle mie sensazioni. Qui, invece, Pacifico raccoglie tutto quello che mi sono ricordata.
A giudicare dal libro, hai ancora un’ottima memoria.
Pensa che mi sono ricordata persino la frase «ama, Ornella, ama», che ancora mi frulla in testa. E da allora non ho ancora capito cosa intendesse.
Arriveremo alle tue storie d’amore. Intanto mi ha stupito che cantare L’appuntamento ti ha un po’ stancata.
Allora ti confesso anch’io un’altra cosa: che di concerti non ne farò più…
Come mai?
Perché gli ultimi, come i due al Teatro Arcimboldi, sono stati di due ore ciascuno, un giorno dopo l’altro, e ci è mancato poco che ci rimanessi secca. Avevo così male ai muscoli che avrei preferito, a un certo momento, piantarmi con le gambe dentro alle assi del palco.
Tornando a L’appuntamento, ci sono canzoni sottovalutate del tuo repertorio che ti piacerebbe tornare a cantare e far riscoprire?
Ho cantato talmente tante cose che molte canzoni non sono sottovalutate, mi dimentico io di cantarle. Sono quelle che io chiamo le orfanelle. Le canzoni belle ma che non hanno avuto la stessa spinta di altre, perché la casa discografica ha puntato su pezzi diversi. Allora un brano bello, ma più delicato e che non aveva un piglio popolare, restava in sordina.

Agli Arcimboldi di Milano. Foto press
Ricordo alcuni passaggi della tua carriera che, agli smemorati, potrebbero essere sfuggiti: le canzoni della mala, La voglia la pazzia l’incoscienza l’allegria con Vinícius de Moraes e Toquinho, il jazz.
Quello con Vinícius de Moraes e Toquinho è un disco che hanno ascoltato tutti e anche amato molto. Non c’è niente di nascosto, almeno quando è uscito. Il jazz mi piace molto, forse me ne sarei dovuta occupare di più. Ho fatto un concerto a Bologna con Simona Molinari e Malika Ayane e devo dire che sono molto brave, anche se un po’ spinte. Io amo il jazz cantato in maniera semplice, senza ghirigori.
Oggi le canzoni spesso le scrivono dieci autori. Che effetto ti fanno?
Mi chiedo come sia possibile scrivere una canzone in dieci. Forse sono come le canzoni popolari di una volta: si trovavano intorno a un tavolo a bere vino, uno diceva una frase, un altro ne aggiungeva un’altra e si componevano? Ma se si mettono in sette per scrivere “Amore mio, veramente, se non mi ami muoio giovane”… diciamo che, se dovessi applicarmi un po’, potrei scriverla anch’io una canzone così.
Gli artisti più giovani sono poco coraggiosi?
Secondo me i giovani hanno anche voglia di rischiare, ma semplicemente, e te lo dice una che viene da un’altra generazione, una volta tutti leggevamo. Eravamo innamorati di Jannacci, Gaber, Dario Fo, che mancano tanto, però allora tutti leggevamo tantissimo. Infatti lo dico a tutti i cantanti che incontro oggi: leggete almeno le poesie. Sono brevi, però restano. Incidono su quelle che potete scrivere voi, che sarà migliore.
Anche la poesia oggi non se la passa benissimo.
Lo so, ma c’è ancora chi legge e si sente. Morgan, poco tempo fa, ha criticato Lucio Corsi ed espresso stupore per il suo successo. Ma come? In questo momento è l’unico cantautore in Italia. Ed è anche bravo. Un vero miracolo. Per questo rimaniamo tutti stupiti delle sue canzoni. Quello che ha portato a Sanremo è un buon testo, in particolare rispetto a tutti gli altri. Volevo essere un duro è una canzone che, quando la ascolto, mi viene voglia di dargli un bacio in fronte. È troppo carina.
Ti piacerebbe cantarla con Lucio Corsi?
Ci siamo incontrati, ma chissà se succederà. Al di là di questo, è proprio bravo.
Un’altra che ti piace è Madame. Hai raccontato: «Quando ha cominciato a cantare mi sono fatta da parte, mi sono proprio sdraiata. L’ho lasciata lì davanti e le ho dato tutto lo spazio. Perché lei quello spazio se lo merita».
Lei mi piace molto. Adesso sta preparando il disco. Però mi ha detto che aveva cominciato a scrivere una canzone per me e poi è sparita. Vediamo se la ritroverò, da qualche parte.
Invece di Elodie hai scritto: «La vedo sulla buona strada, le ho sentito cantare un pezzo in inglese, di recente, e lo faceva molto bene». Può essere un’evoluzione?
In inglese è più facile, soprattutto se fai una cover, perché copi un po’ dall’originale. Ma prima di tutto bisogna essere bravi nella propria lingua, poi canti quello che vuoi.
E le critiche che riceve Elodie e che condivide con altre cantanti che mostrano il proprio corpo, tu come le consideri?
Anch’io ho ricevuto critiche simili. Se una è bella e ha un bel corpo, è giusto che lo esponga. Be’, ai miei tempi eravamo un po’ più vestite… però anche Mina, ancor più di me, ha usato il corpo e quelle belle gambe lunghe. Se una è bella è bella! Sai chi mi è piaciuta?
Chi?
BigMama! È molto simpatica quella ragazza. Ha una bella voce. Immagino il bullismo che può aver subìto per il suo corpo, ma invece è bella. Ha anche dei begli occhi.
Sai che Gino Paoli, che conosci bene, ha criticato le cantanti che esibiscono il corpo?
Le cantanti si spogliano da sempre, anche in America. Jennifer Lopez non usa le sue forme? E Dua Lipa? Direi a Gino: mettiti il cuore in pace, le donne si possono spogliare, questa è la moda. Un altro conto è essere volgari. Ma si può essere volgari anche da vestite. Ci sono donne che si capisce se sono volgari da come accavallano le gambe. Se le accavalli bene, non sei volgare, altrimenti sì. È sempre questione di stile, anche se sei in mutande.
È una questione di stile anche l’Auto-Tune?
Sai che non ho ancora capito come distinguere chi canta con l’Auto-Tune e chi no? Cosa fa alla voce, crea un’eco?
Corregge l’intonazione.
Sì, ma la differenza è così evidente? Sarò sorda io, però non percepisco così tanto questa differenza tra chi lo usa e chi no. Lo criticano perché ha un suono un po’ metallico?
A questo punto potresti provare a cantare con l’Auto-Tune.
Perché no? Potrei provarci, oppure passare direttamente a cantare con un megafono…
Torno al tuo libro dove spieghi che il pubblico, oltre al corpo e alla voce, percepisce il dolore di chi è sul palco: «Se stai male, la gente lo capisce. Può dimostrarti ancora affetto, può capirti. Ma difficilmente prenderà l’auto in una sera d’inverno per venire a vederti. Il dolore respinge perché ognuno ha il proprio dentro».
Assolutamente sì. Perché se stai male sul palco sei freddo, non rimandi nulla al pubblico. Nessuna emozione. Perché tu, per primo, non le provi. In televisione è ancora peggio. Quando ti esibisci in tv è come se ti facessero una tac. Si vede tutto quello che provi. Quando si sta male non si deve cantare, non si deve andare sul palco o in onda. Si deve stare a casa a curarsi. Mi è capitato di farlo, infatti quelle volte sono andate male.
Nel libro parli anche di Mia Martini, Mina e Patty Pravo. Ma Ornella Vanoni, in un ipotetico podio, in che posizione si metterebbe?
Non mi metterei da nessuna parte, ci pensino gli altri a queste cose. Non ho un ego così devastante che mi costringe a dire che mi metterei fra le prime tre. Decidi tu dove mi collocheresti. Io mi sento di dire, invece, che Mimì è stata la più grande interprete. Mina la voce più straordinaria e con gli acuti più lunghi. Patty, ai tempi del Piper, era notevole.
Spieghi di Mia Martini che, poco prima della morte, l’avevi incontrata e ti eri accorta che stava male. Ma anche che è stato difficile aiutarla.
Eh sì, quando ci siamo viste me ne sono accorta subito che stava male. Sono stata una grande depressa, di conseguenza ho riconosciuto al volo quei sintomi. Allora era difficile trovare una soluzione, ma oggi ci sono delle cure dove non rischi più così tanto. Ti puoi curare, anche se è grave, come quella che ha investito Vittorio Sgarbi che non riusciva neanche più a mangiare. Perché non è lo stomaco, è il cervello che si rifiuta di ricevere il cibo.
Uno scherzo del destino per Sgarbi che, hai ricordato, non ha mai fatto uso di droghe e, anzi, ti diceva: «È la cocaina che quando mi vede si eccita».
È vero! Se però pensi allo sviluppo del suo carattere nell’arco del tempo, sempre più iroso, non è strano il suo virare verso uno stato depressivo. Anche prima era un po’ eccessivo, ma nell’ultimo periodo lo era particolarmente. Troppo furibondo!
Gino Paoli mi ha detto che forse Luigi Tenco si è sparato per provare a emularlo. Erano molto amici. Ti sembra plausibile come versione?
Questo non lo so, ma so che quando Luigi Tenco è salito sul palco, in quel Sanremo, ha cantato malissimo ed è andato via a metà della canzone. Non lo aveva mai fatto. Chissà se si è sparato per emulare Gino o si è ammazzato e basta. Nessuno può entrare nella testa di Tenco. A me piaceva molto come scriveva e le sue melodie vicine al jazz. Al di là del motivo della sua morte, però, l’ho sempre ritenuto un soccombente. Era la sensazione che suscitava.
Con Gino Paoli hai rivelato di aver avuto «un rapporto tanto intenso quanto faticoso, uno di quei rapporti che ti puoi permettere solo quando sei giovane. Bisogna avere tanta tanta energia per le pene d’amore. E anche molto tempo libero». Quando è finita tra voi, chi ha sofferto di più?
Ah, certamente io! Lui era all’apice del successo. Cantava sempre alla Bussola. Io, invece, me ne sono andata perché ho sentito che non era il caso di proseguire. Era venuta da me sua moglie a piangere, quindi, in quelle condizioni, ho preferito andarmene.
Eppure quando siete insieme sembra scattare qualcosa di speciale.
Ma certo, poi abbiamo continuato a sentirci. Ci sentiamo ancora e mi piace molto sua moglie Paola. È grazie a lei se è rinato il legame con Gino e ho ricominciato a frequentare casa Paoli e tutti i suoi amici. Poi, come dice sempre lui, gli amici non li ha più perché sono tutti morti, e ripete: «Cosa esco a fare? Con chi parlo?». Non è che sia così aperto Gino…
Un altro grande amore è stato Giorgio Strehler. La prima volta che si dichiarò ti disse: «Io ti amo, alla follia». Da quel momento hai sentito che la tua vita sarebbe cambiata.
Abbiamo vissuto momenti bellissimi, altri faticosi e difficili, e quando è diventato tutto troppo difficile non l’ho più voluto e me ne sono andata. Ci sono stati molteplici fattori che mi hanno portato a quella decisione. Sai, non era per nulla un uomo semplice. Con lui non sarebbe potuta durare a lungo, non poteva neanche sopportare l’idea che io diventassi una cantante di canzoni. Forse voleva che facessi come Milva, che cantava Brecht. Poi, tra gli eccessi di droghe ed erotismo, mi sono stancata. E anche l’amore si è sgretolato.
Non manchi di raccontare di tuo figlio Cristiano, che hai avuto con Lucio Ardenzi: «Ha sempre pensato che di lui ai suoi genitori non fregasse niente. Non posso biasimarlo, avrei pensato lo stesso al suo posto». Oggi invece che rapporto avete?
Un buon rapporto, non c’è male. Mi ha fatto pensare la serie Adolescence, che ho visto di recente. Tra i genitori e i figli, allora, non c’era il gap che c’è oggi. I ragazzi adesso sono cresciuti in un mondo che è l’opposto di quello dei genitori, non possiamo capirlo. Ci sfugge.
Un altro aspetto interessante è la solitudine, che hai definito «come un tratto somatico, come gli occhi blu». Come ci si può sentire soli con sempre intorno qualcuno?
Ci si può sentire soli, eccome. Quando sei in mezzo a tanta gente o quando non c’è nessuno. C’è chi la sente sempre e chi non la sente mai. Io la avverto spesso. Poi passa, anche perché adesso mi basta anche solo frequentare una persona e non ci penso. Per fortuna ho tanti amici.
Nonostante questa costante presenza della solitudine, ammetti che, con il passare del tempo, consideri la tua vita sempre più «luminosa».
La mia adesso è bellissima, non posso lamentarmi. Mi sento molto amata. Da quando vado da Fabio Fazio a Che tempo che fa è venuto fuori che io non ho un autore. Quello che dico me lo invento al momento. Quindi la gente, dopo avermi conosciuta meglio sotto questo aspetto, ha scoperto Ornella e dimenticato la Vanoni. E finalmente ho un rapporto intimo con le persone.

Con Gino Paoli nel 1965. Foto: Mondadori via Getty Images
Sei ironica e autoironica, ma che cosa ti fa ridere?
Oggi mi fanno ridere poche cose. Trovo l’umorismo attuale un po’ troppo povero. Ogni tanto qualcuno mi fa sorridere. Antonio Albanese ha detto a Virginia Raffaele, una mia amica a cui voglio molto bene, che sembrava una liquirizia perché era magra magra e tutta vestita di nero. Battute del genere mi fanno ridere, ma in televisione capita sempre meno di sentirne.
Non mi sembra ti abbiano divertito i due incontri con Silvio Berlusconi, di cui parli nel libro, visto che arrivi a dire che «non tollerava chi non era d’accordo con lui».
Certo, ma come fanno i politici a non tollerare chi non è d’accordo con loro? Prima non era mai esistito questo atteggiamento. Oggi purtroppo la sinistra non esiste più in tutto il mondo. Dov’è finita? Prima o poi me lo dovranno spiegare. Fatto sta che la sinistra non c’è più, c’è solo la destra ormai. Do la colpa alla sinistra di essere sparita. Tu sai come ha fatto?
Non saprei, ma so che abbiamo una donna premier. Però non è di sinistra.
A me Giorgia Meloni non dispiace affatto, non mi sembra per niente una cretina. Il suo problema, secondo me, è che è mal circondata. Anzi, molto mal circondata.
Con Bettino Craxi sei indulgente: «Operava in un sistema in cui per incidere, per essere influente, dovevi sbagliare. Ha pagato lui per tutti».
Intanto lui era socialista! E ha pagato per tutti. Non so se ti ricordi il suo discorso in Parlamento, quando si alzò e disse: «È vero che il mio partito ha preso i soldi delle tangenti, ma come tutti gli altri partiti». Gli altri cos’hanno detto? Tutti zitti. Lui ha detto la verità, perché tutti avevano preso soldi per i partiti. La gente ha tirato le monetine solo a lui, quando invece avrebbe dovuto tirarle a tutti i politici che avevano fatto parte del sistema.
In Vincente o perdente descrivi anche con grande sincerità il tuo rapporto con la morte. L’hai soprannominata «la Musona» e cerchi di farla sorridere, scherzandoci, per distrarla dal sopraggiungere.
C’è poco da distrarre. È come nella canzone di Roberto Vecchioni: il soldato, scampato alla guerra, vede una donna vestita di nero e scappa a Samarcanda. Ma lei, la morte, è proprio là che lo aspetta.
Hai la fede come conforto?
Sono credente a ondate. Però mi piacciono molto i Vangeli. Li trovo illuminanti. Tutti dovrebbero leggerli, credenti o non credenti. Sono importantissimi.
So che sei un’amante dell’arte in generale. Compensa la mancanza di fede?
Non credo, perché le opere d’arte mi piacciono, ma al massimo mi danno delle emozioni. Come l’arte contemporanea, che ti fa pensare. Se non mi fa neanche pensare, non mi interessa. A volte vedo un quadro di Caravaggio e rifletto: come si fa a dipingere dopo di lui?
Intanto l’Università Statale di Milano ti conferirà l’11 giugno la laurea honoris causa in Musica, culture, media, performance.
Mi fa molto piacere. Sono emozionata, contenta e orgogliosa.
Ma un sogno ce l’hai ancora, oppure li hai realizzati tutti?
Ma no, figurati. Ho fatto cose importanti, dall’America con i grandi jazzisti al disco in Brasile, ma i sogni ci sono sempre. Mi piacerebbe recitare un monologo, ma non ti dirò su che cosa. È ancora un segreto. Se sopravvivo lo faccio, altrimenti ciccia! Ma invece dovresti chiedermi: con chi vorresti cantare?
Con chi vorresti cantare e non è ancora successo?
Ecco, bravo. Allora io ti rispondo: un duetto con Sting!
Gli mandiamo un messaggio?
(Si mette a cantare) Message in a bottle… message in a bottle…