Beyoncé, il vecchio West diventa nuovo: la recensione del Cowboy Carter Tour | Rolling Stone Italia
Qui L.A.

Beyoncé, il vecchio West diventa nuovo

Cronaca del primo concerto del Cowboy Carter Tour, uno spettacolone teatrale formato stadio curato nei minimi dettagli per celebrare le radici nere della cultura country. E sconfiggere in duello i pistoleri conservatori

Beyoncé, il vecchio West diventa nuovo

Beyoncé

Photo: Julian Dakdouk

A un certo punto, durante la prima data del Cowboy Carter Tour, lo spettacolone a tema western di Beyoncé, appare sullo schermo la scritta “Non chiedere il permesso per qualcosa che t’appartiene già”. È la sintesi perfetta dell’approccio dell’artista verso quella che qualcuno ha liquidato come un’incursione nel country. Beyoncé non rivendica alcunché, ma celebra le radici nere della cultura country e la sua evoluzione.

Il concerto di ieri sera al SoFi Stadium di Los Angeles è stato monumentale, tre ore di musica in cui la popstar ha dimostrato una volta ancora l’unicità del suo percorso e ha integrato nella scaletta i pezzi country dell’ultimo album e quelli del precedente Renaissance ispirato alla ballroom culture. «Voglio ringraziare chi è venuto prima di me», dice Beyoncé a un certo punto, mentre sullo schermo scorrono le immagini di Linda Martell e di altre pioniere nere del country. «Grazie ai miei fan per avermi permesso di realizzare quest’album. Grazie per avermi dato la libertà di mettermi alla prova».

Cowboy Carter è molto più di uno spettacolo country. È teatro. Durante Ya Ya Beyoncé si toglie il cappello da cowboy e sfodera i suoi beyoncenismi fatti di capelli al vento e di mosse coreografate. E sì, ci sono i suoni di banjo (Texas Hold ‘Em) e quelli dei fiddle (II Most Wanted, Blackbiird), ci sono pantaloni con le frange, i cappelli da cowboy e le fibbie oversize, ma resta pur sempre uno show da stadio alla Beyoncé e quindi fuori dai canoni di qualunque genere musicale e con un sacco di coreografie spettacolari affidate a un corpo di ballo di 24 elementi.

Tra visual, intermezzi e scenografie elaborate, Beyoncé si ritaglia il ruolo dell’outsider in un vecchio West ostile che non la vuole. Alla fine del concerto fa a pezzi questa narrazione e sconfigge in duello un cowboy bianco e più vecchio di lei in una scena da film in cui i proiettili le rimbalzano addosso. È parsa una metafora della sua esclusione dai Country Music Association Awards e, più in generale, dall’industria musicale bianca di Nashville. Il messaggio è forte e chiaro: Beyoncé non ha bisogno dell’approvazione di nessuno. È oltre.

Il tema del patriottismo è usato in modo simbolico. S’inizia con American Requiem e si passa prima a Blackbiird e poi a una versione spiazzante dell’inno nazionale americano sulle note distorte della chitarra di Jimi Hendrix a Woodstock, un anno dopo l’omicidio di Martin Luther King. È un omaggio e un monito: l’America è un Paese dalle ferite ancora aperte. È giustamente seguita Freedom, il pezzo usato da Kamala Harris nella campagna delle presidenziali dell’anno scorso. America Has a Problem è accompagnata da una scenografia in stile conferenza stampa, Formation dalla dichiarazione «non riusciranno mai a togliermi il mio essere country».

Durante questo pezzo, Beyoncé canta con orgoglio “I like my baby heir / with baby hair and afros”, un riferimento alla figlia Blue Ivy che non solo balla al fianco della madre, ma ne replica la celebre coreografia di Déjà Vu. Anche la piccola Rumi Carter sale sul palco durante Protector, il pezzo dove appare la sua voce. Alle loro spalle la scritta “Avevo mille desideri / Ma nel desiderio di conoscerti / tutto il resto è svanito”. Non si tratta, insomma, di parlare solo dell’America e delle radici nere del country, ma anche di famiglia.

Il cuore pulsante di Renaissance batte anche in questo concerto, in pezzi come Cuff It e nei richiami all’estetica del precedente tour. In Tyrant Beyoncé cavalca un toro meccanico, in un altro momento un robot le versa del whisky su un trono. Torna anche Reneigh, il cavallo di Renaissance, questa volta in versione dorata. «Benvenuti di nuovo nella Renaissance, gente», dice Beyoncé mentre il palco si trasforma in una festa in stile ballroom.

In Thique si sentono accenni di Bills, Bills, Bills delle Destiny’s Child, anche se la reunion arriva solo sotto forma di immagini del gruppo agli esordi in un videointerludio. Nel segmento dedicato a Dolly Parton, Beyoncé vola su un ferro di cavallo per cantare Daddy Lessons, la prima esecuzione live dal 2016. Nel gran finalem una versione remixata di Texas Hold ‘Em fusa a Crazy in Love. Sono tre ore di show che sembra non fermarsi mai, con l’esecuzione di quasi tutto Cowboy Carter e ogni singolo momento calibrato al millimetro, con poco spazio per l’improvvisazione. È una rappresentazione teatrale formato stadio che conferma che Beyoncé è una performer unica.

Nel finale Beyoncé sorvola lo stadio a bordo di una vecchia auto con la bandiera americana mentre il pubblico canta 16 Carriages. Torna per i bis in un abito con la bandiera statunitense e canta Amen di fronte a una Statua della Libertà con naso e bocca coperti. Ogni dettaglio è studiato con cura per trasmettere il messaggio del tour e dell’album monumentale che l’ha ispirato. Non sono passati nemmeno due anni dalla tournée di Renaissance e Beyoncé continua a giocare in un altro campionato.

Da Rolling Stone US.

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