È passato alla storia come il concerto senza pubblico, quello immaginato e realizzato dal regista franco-scozzese Adrian Maben dopo esser stato folgorato dalla visione al tramonto dell’Anfiteatro degli scavi di Pompei, mentre era in visita con la ragazza. I Pink Floyd hanno accettato la sfida: realizzare un film-concerto i cui spettatori sarebbero stati i fantasmi del passato in un luogo che si sarebbe risvegliato con la loro musica, in anni in cui i live cominciavano ad essere eventi per centinaia di migliaia di persone. Pink Floyd Live At Pompeii (fino al 30 aprile al cinema in versione restaurata) sarebbe stato una sorta di anti-Woodstock, anti-Isola di Wight, anti-Altamont: un concerto per nessuno spettatore. Ma così in verità non è stato.
Oltre ai tecnici, ai roadie, a Maben e al fotografo Jacques Boumendil, una decina di ragazzi allora poco più che adolescenti hanno assistito alle riprese e sono diventati amici e compagni di svago della band in quei giorni di ottobre del 1971. Sono ricordati nella cittadina alle pendici del Vesuvio come i ragazzi degli scavi: Matteo Apuzzo, Enrico Carotenuto, Pinuccio Senatore, Peppe Acanfora, Silvestro Sorrentino, Mario Radio, Franco Petricelli… A loro si aggiungono Salvatore il tabaccaio, il pizzaiolo del ristorante Zi’ Caterina adiacente gli scavi e i giovani studenti responsabili della Federazione Universitaria Cristiana Italiana (F.U.C.I.) di Pompei.
Uno di quei ragazzi, Matteo Apuzzo, vive a Miami da tempo, ma i contatti con i Pink Floyd e con il loro entourage da quei giorni di 54 anni fa non si sono mai interrotti. All’epoca aveva appena compiuto 18 anni ed è diventato con gli altri ragazzi amico di Adrian Maben, David Gilmour, Roger Waters, Nick Mason, Richard Wright. «Eravamo un gruppo di amici cresciuti insieme, tutti residenti nei dintorni del grande Santuario della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei», racconta Matteo in collegamento video dalla Florida. «Entravamo nel sito archeologico grazie a uno di noi, Giuseppe Acanfora, figlio dell’allora custode degli scavi per trascorrere il tempo, stare insieme, giocare a pallone, fumarci qualche sigaretta, ma soprattutto per conquistare le turiste straniere».
Matteo era già all’epoca un grande appassionato di musica rock. Era, tra tutti i ragazzi, quello che aveva viaggiato per assistere ai concerti dei suoi miti. «A 15 anni mi sono fatto anticipare dei soldi come regalo di compleanno dai miei genitori e sono andato a maggio del 1968 al Teatro Brancaccio di Roma a vedere Jimi Hendrix, trovando solo il biglietto per il concerto del pomeriggio e non della sera. Il 5 luglio del 1971 sono andato al Vigorelli di Milano per i Led Zeppelin, in quella serata passata tristemente alla storia per via della guerriglia esplosa con gli autoriduttori per i quali un biglietto di 1500 lire era inammissibile».
Nonostante la passione per il rock, Matteo aveva solo sentito parlare dei Pink Floyd. «Faceva caldo quella mattina nonostante fossero i primi giorni di ottobre. Con Enrico, Pinuccio, Peppe, Silvestro, Mario e Franco ci siamo fermati al bar di fronte gli scavi per prenderci un caffè e per parlare del Napoli che avrebbe giocato in campionato con la Fiorentina, quando abbiamo visto arrivare dei grossi camion con a bordo capelloni sudati e a torso nudo più o meno della nostra età, solo qualcuno di poco più grande. Ci siamo guardati tra noi stupiti per capire chi fossero. Abbiamo chiesto a Peppe che era il figlio del custode degli scavi se suo padre gli avesse detto qualcosa, ma neanche lui ne sapeva niente».
«Incuriositi, ci siano seduti di fronte su un muretto e dopo un po’ abbiamo seguito i camion in un’area adiacente gli scavi per vedere cosa dovevano scaricare. Abbiamo visto un’attrezzatura live che per noi era pura fantascienza, sembrava provenisse dal futuro: flight case contenenti casse di tutti i tipi e di tutte le grandezze, strumenti, impianti audio, mixer, monitor, chilometri di cavi, fari… c’era di tutto, incredibile. Da un bus più piccolo sono scesi affaticati, accaldati David, Roger, Nick e Richard, anche se ancora non avevamo capito chi fossero. Accompagnati da alcuni dello staff, sono andati al Grand Hotel del Rosario, che oggi si chiama Habita 79 MGallery Pompeii».
Matteo che amava (e ama ancora oggi) i Genesis aveva letto qualche mese prima un articolo su una rivista musicale in cui a proposito della scena progressive e psichedelica si citavano i Pink Floyd con tanto di foto. «D’un tratto mi sono reso conto che i quattro ragazzi che avevamo visto erano i Pink Floyd, band ancora non famosissima in Italia e sconosciuta dalle nostre parti. Che ci facevano lì? Lontani dalla loro Londra? Negli scavi archeologici? Nei miei, nei nostri scavi? Così nelle ore e nei giorni successivi, sempre più incuriositi, siamo entrati di nascosto nel sito, raggiungendo l’Anfiteatro dove un po’ alla volta i tecnici avevano scaricato e montato il materiale. Hanno impiegato un giorno per allestire il set. David, Roger, Nick e Richard venivano ogni tanto a controllare come procedeva il tutto e poi tornavano in albergo».
«Un giorno abbiamo capito che qualcosa non andava: non c’era l’energia elettrica. Solo dopo abbiamo saputo che per non farlo sapere alla band e prendere tempo in attesa di trovare una soluzione, Maben aveva organizzato delle riprese sulle fumarole e tra i fanghi della Solfatara a Pozzuoli. Ma i musicisti erano incazzati per un altro motivo, come mi hanno detto qualche giorno dopo. Le riprese alla Solfatara erano state organizzate per domenica 3 ottobre, proprio nel giorno delle processioni per la Supplica alla Madonna. La band era rimasta intrappolata nel traffico sotto il sole per ore, non comprendendo cosa stesse accadendo. Adrian è riuscito a risolvere il problema prendendo la corrente da una vicina cabina Enel che forniva l’elettricità alla Tipografica operante nell’adiacente proprietà del Santuario della Beata Vergine della Madonna. Come si sa, l’intoppo ha ridotto i tempi effettivi di ripresa e di lavoro a soli quattro giorni, da lunedì 4 a giovedì 7 ottobre».
Dalla tarda mattinata di lunedì 4 ottobre i Pink Floyd hanno iniziato a suonare nell’Anfiteatro. «Siano entrati negli scavi», continua Matteo, «e abbiamo raggiunto senza dare troppo nell’occhio l’Anfiteatro. Siamo saliti in alto per goderci lo spettacolo e abbiamo scattato anche una foto da lassù. Siamo stati ore ad assistere a quello che facevano fin quando quasi al tramonto si è alzato un vento fortissimo che ha fatto cadere in terra una grande colonna LEM delle luci. La band si è fermata. Mentre i tecnici provavano a rimettere tutto a posto, un roadie ha tirato fuori un frisbee e si sono messi tutti a lanciarlo e a giocare. Noi non avevamo mai visto un frisbee in vita nostra, abbiamo deciso di farci vedere e siamo scesi giù. Abbiamo iniziato a giocare con loro, Richard Wright mi ha spiegato come lanciarlo. Da quel momento noi ragazzi degli scavi siamo stati ammessi alla corte dei Pink Floyd, che ci hanno accolti divertiti».

I Pink Floyd a Pompei fotografati dai ragazzi degi scavi. Foto per gentile concessione di Matteo Apuzzo
In quei quattro giorni i ragazzi hanno trascorso gran parte del tempo con la band. «Un pomeriggio abbiamo portato David, Roger, Nick e Richard nella sala della Federazione Universitaria Cristiana Italiana (F.U.C.I.) di Pompei perché lì c’erano sia un tavolo da ping pong che il calcio balilla. Abbiamo giocato a lungo, sfidandoci tra di noi. Ricordo una memorabile partita a ping pong di Peppe Acanfora contro Nick e Roger. David ed io ci siamo sfidati a biliardino. Una sera non avendo tanti soldi, abbiamo deciso di fare una colletta e comprato loro come segno di ospitalità delle pizze al ristorante Zi’ Caterina. Una pizza all’epoca costava 50 lire. Il pizzaiolo era un nostro amico così per fare bella figura con gli inglesi gli abbiamo chiesto di mettere più mozzarella di bufala, più pomodoro e grandi belle foglie verdi di basilico fresco. Con i soldi raccolti ne abbiamo comprate una decina e abbiamo mangiato tutti insieme».
«Un’altra sera Pinuccio Senatore, che ora non c’è più, si è presentato con un paio di sfilatini imbottiti di broccoli e salsicce e con due bottiglie di vino rosso locale. Eravamo sugli spalti in basso vicino a David Gilmour che ci ha guardati incuriosito: lo abbiamo invitato con noi a mangiare la marenna. Poi sono arrivati anche gli altri. Quando David ed io ci siamo rivisti nel luglio del 2016 in occasione dei suoi due live all’Anfiteatro degli scavi, gli ho portato lo stesso panino e lui abbracciandomi si è messo a ridere, ricordando quella sera di tanti anni fa».

Richard Wright all’entrata degli scavi Pompei. Foto: Enrico Carotenuto
In quei giorni pompeiani i Pink Floyd e la loro crew sembravano agli occhi dei cittadini degli extraterrestri con i loro jeans attillati e stracciati, i loro anelli, le loro collane, spesso a torso nudo per via del caldo, con i capelli lunghi e baffoni alla messicana. «Una mattina sono andato da Salvatore il tabaccaio per acquistare non ricordo più cosa e lì ho trovato Richard con un grosso cappello scuro a falde larghe per ripararsi dal sole, giacca, maglietta e collanina girocollo e Nick con una canotta dello stesso colore dei baffoni neri. Salvatore mi ha detto, sapendo che io mezzo americano parlavo bene l’inglese: “Mattè vir ca’ vonn sti dduje, nun ‘e capisc’” (Matteo vedi cosa vogliono questi due, non li capisco). Nick cercava uno shampoo ma Salvatore non ne aveva. Siano usciti e abbiamo fatto due passi insieme nei dintorni. Abbiamo incontrato anche Enrico Carotenuto che con la sua Olympus ha scattato una foto a Richard all’ingresso degli scavi».
Matteo – come altri dei ragazzi degli scavi – da allora ha mantenuto i rapporti con la band al punto che ha fatto sì che Adrian Maben nel 2015, David Gilmour nel 2016 e Nick Mason nel 2023, ricevessero la cittadinanza onoraria di Pompei in riconoscimento del ruolo della band nella storia della cittadina. «Ora sto facendo di tutto grazie anche al supporto dell’amministrazione e dei miei figli Fabio e Ornella per farla dare anche a Roger, purtroppo Richard non c’è più. Se ci riesco, si avvererà un mio sogno e si chiuderà un cerchio».