Due concerti della coppia formata da Jonny Greenwood dei Radiohead e Dudu Tassa previsti per il 23 e 25 giugno rispettivamente al Beacon di Bristol e alla Saint Church di Londra sono stati cancellati. Non è stata comunicata la ragione ufficiale, ma la Palestinian Campaign for the Academic & Cultural Boycott of Israel (PACBI-BDS), organizzazione che opera per il boicottaggio accademico e culturale di Israele, ha diffuso la notizia facendo intendere che la cancellazione potrebbe essere causata delle pressioni degli attivisti pro-Pal. I due artisti non hanno finora commentato. Il promoter Form non ha risposto a una nostra richiesta di chiarimento.
«I palestinesi accolgono con favore la cancellazione dei concerti», si legge sull’account X di PACBI-BDS, dove si spiega che «artisti e organizzatori si sono sono mobilitati» affinché il concerto non si tenesse a Bristol, città dalla lunga storia progressista. Se si fossero tenute, le due esibizioni di Greenwood e Tassa sarebbero state atti di «whitewashing del genocidio di Israele contro 2,3 milioni di palestinesi a Gaza e del regime di apartheid coloniale». In un altro tweet i concerti della coppia vengono etichettati come «artwashing», termine simile a greenwashing che indica in questo caso specifico l’uso della musica per legittimare l’azione del governo israeliano.
In passato, il chitarrista dei Radiohead e l’israeliano Dudu Tassa, autori dell’album Jarak Qaribak, non hanno accolto le richieste degli attivisti di BDS (Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni) affinché non si esibissero a Tel Aviv. Tassa ha cantato anche per i militari israeliani. Greenwood è sposato con Sharona Katan, artista israeliana un cui nipote è morto nell’esercito israeliano combattendo contro Hamas.
«Questo non è attivissimo, è intimidazione», ha detto al Telegraph un portavoce della Campaign Against Anti-Semitism britannica. «Gli organizzatori che si piegano alle richieste di fanatici ossessionati da Israele dovrebbero ricordare che simili tattiche non servono a portare la pace in Medio Oriente, ma non fanno altro che rendere più difficile la vita della gente. I locali non devono capitolare di fronte a campagne di pressione che cercano di intimidire chi sta molto semplicemente a fianco dell’unico Stato ebraico al mondo».
L’account della PACBI-BDS chiede ora anche il boicottaggio dei prossimi concerti degli Smile (il gruppo di Greenwood e Thom Yorke con Tom Skinner) e dei Radiohead «finché non si convinceranno a prendere le distanze» dalle scelte del chitarrista.
Non sono scelte del solo chitarrista. Già nel 2017 Roger Waters, acceso sostenitore della campagna di Boicottaggio Disinvestimento Sanzioni chiedeva inutilmente ai Radiohead di non esibirsi in Israele. Quando a ottobre 2024 Yorke ha interrotto un concerto dopo essere stato fischiato da un manifestante pro-Palestina, Waters l’ha definito senza mezzi termini «un coglione» dicendo di aver cercato inutilmente di dialogare con lui sull’argomento. «Pensa di essere brillante, ma non lo è, non è in grado di sostenere una conversazione».
Simili polemiche sono emerse poco meno di anno fa, quando Greenwood e Tassa si sono esibiti a Tel Aviv e hanno partecipato a una manifestazione per il rilascio degli ostaggi israeliani in mano ad Hamas e nuove elezioni in Israele. «Esibirsi nell’Israele dell’apartheid, che brucia vivi i rifugiati palestinesi a poca distanza da lì, a Gaza, è profondamente immorale e copre un genocidio», si leggeva sul sito di BDS.
Greenwood ha risposto dicendosi convinto che «un progetto artistico che unisce musicisti arabi ed ebrei sia utile. E che sia altrettanto importante un progetto che ricordi a tutti che le radici culturali ebraiche in Paesi come l’Iraq e lo Yemen risalgono a migliaia di anni fa. (…) Si tratta di musicisti provenienti da tutto il Medio Oriente che si rispettano, che lavorano superando le frontiere che li separano, che condividono l’amore per il vasto catalogo di canzoni arabe, non importa se scritte da compositori musulmani, ebrei o cristiani».
«Altri invece scelgono di credere che questo tipo di progetto sia ingiustificabile e chiedono di mettere a tacere questo o qualsiasi altro progetto artistico fatto da ebrei israeliani. Non posso unirmi a questo appello: mettere a tacere i cineasti/musicisti/ballerini israeliani quando il loro lavoro va in tour all’estero – soprattutto quando avviene su sollecitazione dei loro colleghi cineasti/musicisti/artisti occidentali – mi pare ben poco progressista. Anche perché gli artisti di cui parliamo sono invariabilmente i membri più progressisti delle società».
È vero, scriveva Greenwood, che nessuna espressione artistica è importante quanto «fermare la morte e la sofferenza, ma non fare nulla è un’opzione peggiore. E mettere a tacere gli artisti israeliani perché sono nati ebrei in Israele non sembra un modo per raggiungere un’intesa tra le due parti di un conflitto apparentemente senza fine».