Lucio Corsi potrebbe avere il raffreddore. O forse la linea a tratti gracchia, ma quando ci sentiamo nella mattina di un novembre che non si è ancora capito cos’è, ma solo che ha fatto ammalare tutti, la cosa capiterebbe (purtroppo) a fagiolo. Manco glielo chiedo, rimango nella mia fantasia. La coincidenza sarebbe quella con il video del suo ultimo singolo, Tu sei il mattino, che è una canzone d’amore che di fatto si ambienta in una scuola ma poi viene raccontata con immagini che assomigliano più a un B movie dove si scannano. Il tutto per un raffreddore in ascensore in una anonima azienda fantozziana.
A un certo punto compare Carlo Verdone – nel video, non nella telefonata. Se il sodalizio tra il cantautore più freak d’Italia e un maestro della commedia sembra esso stesso una favola strana, di quelle che si raccontano per far rimanere gli amici a bocca aperta, non avete ancora visto la terza stagione di Vita da Carlo, da settimana scorsa interamente disponibile in streaming su Paramount+. Lì il gioco viene al contrario: a un certo punto, nella serie comedy in cui Verdone interpreta sé stesso (vi avevamo parlato della prima stagione qui) compare Lucio Corsi. E anche Tu sei il mattino.
Hanno una missione, calata dall’alto: salvare Sanremo, o meglio, i gusti musicali degli italiani, o meglio, l’edizione del Festivàl a cui l’attore è stato fittiziamente messo a capo come direttore artistico. Perché il musicista maremmano è uno che vola come un aquilone: irraggiungibile, ma legato alla terra da un filo quasi invisibile, però tenace. È la razza che rimane a terra cantata da Eugenio Montale in Falsetto: quando le illusioni son passate, si può solo mettersi comodi, meglio se immobili, a osservare la realtà e conservarne le storie, le stramberie, le cose che non tornano. E metterle in una poesia, oppure una canzone.
Ma non per, citando un’altra poeta, Patrizia Cavalli, cambiare davvero il mondo. Le poesie non cambieranno il mondo, le canzoni potrebbero ugualmente non farlo. Forse l’errore sta nell’articolo: le poesie, le canzoni potrebbero cambiare un mondo. Quello di ognuno, financo la realtà, solo girandola un po’, facendola vedere da un altro lato. Chissà se è troppo, per Sanremo. Nella finzione di Vita da Carlo, intendiamo. Perché, tornando sulla terra, Corsi sul tema non ha dubbi: come tutti gli artisti, ha un sacco di dubbi.
Intanto, dopo l’ultimo album del 2023 (La gente che sogna) si riparte dalle radici, che per la verità non si sono mai perse: la Maremma, un nuovo disco da chiudere, la voglia di imparare a scrivere ancora più attaccato alla terra, per raccontare storie che volino sempre più alte. E anche dal ristorante della nonna, che assomiglia un po’ a una trattoria vecchia Milano.
Sulla cover del pezzo ci sei tu che cucini, il video strizza l’occhiolino agli slasher movie, e poi Tu sei il mattino è una canzone d’amore ambientata tra i ricordi di una scuola.
Penso che il bello sia che ogni cosa può andare dove le pare. Così una sola canzone si esprime in tre modi diversi. Sono strumenti che mi stimolano, queste diverse forme d’espressione, mi mettono in moto la fantasia. Sul video nello specifico ho lavorato con Tommaso Ottomano, che l’ha diretto e con cui ho co-scritto il brano, lavoriamo insieme da anni e siamo come fratelli. Ci siamo detti che già il testo era così romantico che non serviva assecondarlo nel video, serviva qualcosa per andargli contro. La canzone andrà per la sua strada. Il video è un’altra cosa, è come portare un brano dal vivo, è un’altra situazione. Insomma volevamo demolirla, distruggerla.
E alla fine Carlo Verdone vi fa secchi tutti.
Sì, ci faceva ridere. Il senso del video era ricreare una fantomatica azienda, e mettere lui come fantomatico direttore. Si svolge tutto in un ascensore con un percorso dal basso verso l’alto mentre succede il patatrac. Di sicuro c’era anche l’intenzione di usare questa leva per dissacrare, per mostrare la vita umana sotto una lente tragicomica, perché alla fine è così. Tutte le imposizioni da azienda vengono demolite da un raffreddore.
E la cucina?
Quelle sono foto scattate da Francis Delacroix nel ristorante di mia nonna e della mia famiglia, dove sono cresciuto. Lo hanno da una vita, per me è un ambiente molto legato alla canzone, quel luogo fa parte di me. Allora mi ci sono messo con un altro lavoro, che poi è quello che faccio ed è il musicista, ma era un modo per incrociare i cammini. Per questo sto cucinando ma mescolo in una pentola con il manico di una chitarra.
Però la canzone mi suona anche vicina a La gente che sogna. Ci sono quelli che stanno svegli, quelli che no, …
Tu sei il mattino è abbastanza vicina all’ultimo album, che alla fine è del 2023. Quindi credo ci siano delle somiglianze tematiche. In realtà su questa canzone ho lavorato molto più con i piedi per terra, cercando di ancorarmi al suolo. Non volevo raccontare qualcosa che fosse extra-ordinario, ecco. Ma è una cosa che sto imparando a fare. Ivan Graziani, Paolo Conte, Lucio Dalla… parlano di cose straordinarie con immagini terrene. È un’arte difficile e affascinante.
Hai spesso detto che la tua visione della realtà è disincantata, terra-terra. Poi però elogi il sogno e chi ci si perde.
La dimensione della musica sta da un’altra parte. Fuori da quella trovo fondamentale un attaccamento al reale, a ciò che ci circonda. La musica ci consente di trasformarlo, e non bisogna cadere nel tranello di raccontarlo davvero per com’è. È un confine sottile, quello tra le cose che bisogna tenere e che cosa invece si deve modificare in una canzone. È una cosa anche della vita, secondo me. Bisogna tenere i piedi per terra, poi sul palco ci si può trasformare, essere qualche altra cosa, scordarmi della mia vita. Fuori di lì però meglio non avere illusioni, non assumere una posa, non credersi chissà chi. Lo trovo importante anche per raccogliere le storie che ci sono intorno, metterle nelle canzoni, farle diventare parte della mia infanzia com’è avvenuto con Tu sei il mattino. Infatti si tratta di un’infanzia a tratti vera cioè mia, a tratti presa da altri. Ma tutto è raccolto nella vita reale con i piedi per terra. Spesso invece vedo il contrario: sul palco si tende alla normalità, oggi, e nella vita si tende a farsi delle divinità, dei supereroi, per nulla. Per me bisogna fare il contrario.
I numeri dicono che non hai fatto molte canzoni d’amore, finora.
Una canzone d’amore può essere sulle onde, sul vento. Non ci devono per forza essere gli umani. Questa qui è una canzone d’amore per il ritornello, che parla della prima volta, della prima esperienza. Ma anche e soprattutto per il tempo che passa all’interno del brano, è lì che trovo l’amore, molto più che nell’atto fisico. I lati che la rendono una canzone d’amore sono il tempo che passa, imparare qualcosa del mondo, guardare gli ulivi che stanno fermi con la rete intorno per le olive. Portare lo stesso nome di mio nonno che praticamente non ho mai visto. Qui trovo la definizione di canzone d’amore.
È un amore romantico?
Sì. L’amore romantico può arrivare in mille modi.
Senti, come va adesso a Milano?
Guarda, la sto lasciando. Me ne torno in Maremma, registrerò il disco nuovo e farò base lì, mi farò lo studio. La provincia per me è importante. Spesso viene vista in chiave negativa, anche solo il termine è spregiativo. Invece è in quei posti che si comincia a cercare, a trovare nuove forme d’espressione. Perché lì c’è la noia, che va a braccetto con la pace. Non c’è molta differenza tra le due. Imparare ad annoiarsi da piccoli è fondamentale, si fa in quei luoghi lì. Ma poi la provincia è piena di storie interessanti, con i piedi per terra. Storie di persone e alberi, di chi è ancorato al suolo ma sale in alto per sbirciare lontano, anche con la fantasia. Immaginano senza aver visto. Questo è affascinante. Questa non conoscenza ma comunque cercare di crescere all’insù per immaginarsi qualcosa.
Comunque mi sembra che in Maremma succedano delle cose, che ci sia del fermento.
Non è facile dirlo. È un posto selvatico, ed è una caratteristica importante, da preservare. Sia a livello di caratteri che di ambiente, è polverosa, ci sono i butteri che sono dei cowboy. Non è la Toscana verde che ti immagini sulle cartoline, sembra più un campo brullo con le trombe d’aria che sollevano i detriti. Trattori inseguiti da aironi che mangiano i vermi sollevati dalla terra – questi aironi sono un po’ gli angeli custodi dei trattori. La magia deriva dalla scarsa concentrazione di persone. Anche rispetto all’altro lato dell’Italia, alla stessa altezza, la Romagna, lì le persone sono vicine e si ingegnano per farne arrivare altre da di fuori, attirano, fanno star bene. Noi siamo più incontaminati. Colline di macchia e cinghiali e poche case.
Arriviamo alla serie: com’è andata?
Sono stato chiamato da Carlo così, dal nulla, per il ruolo. Mi ha fatto piacere, ci ho pensato un attimo perché era una cosa fuori dal mio mestiere. Ma aver avuto le prime scene davanti alla telecamera con Carlo Verdone è stato un grande onore. È stato anche bello a livello formativo, la telecamera ha un occhio diverso da quelli a cui sono abituato, che è quello delle persone dal vivo. Con loro interagisci, la telecamera è fredda, non fa trasparire nulla. Tutto un altro paio di maniche.
E vieni “eletto” per salvare Sanremo e i gusti musicali degli italiani. Questa corona di nuova promessa ti è stata affibbiata anche nella vita reale.
Mi interessa poco, sai. Bisogna guardare prima di tutto a quello che si fa, bisogna esserne fieri e non trovare compromessi. Tutto il resto non conta. Voglio essere contento delle canzoni che faccio, le corone sono tutte finte, anche meno insomma. Si sta parlando di musica, non di qualcosa che è davvero importante.
Sanremo, oggi: che cosa vuol dire per te?
A Sanremo negli anni sono andati artisti che stimo molto, Dalla, Rino Gaetano, Vasco, e allo stesso tempo non ci sono andati artisti che stimo molto, quindi è difficile. Si tratta comunque di un Sanremo a me lontano, che ho vissuto recuperandoli una volta grande. È una vetrina molto grande, e per stare in vetrina devi essere un manichino. In pochi sono stati capaci di non esserlo. E quindi anche da qui, come nella serie, le lotte interne di chi vuole andarci, poi non vuole, eccetera. È una battaglia interiore.
Un’altra battaglia è quella attorno alla parola “giovane”.
Ah-ha! Eh sì. Io ho un piede nella fossa per esempio. Una parola davvero troppo larga. Ho 31 anni, come faccio a essere giovane? Poi questa storia che il tempo passa non mi piace. Forse usiamo il termine in maniera impropria anche perché tendiamo a non prendere sul serio chi è giovane sul serio, invece dovremmo farlo. Dovremmo fidarci. Forse è una cosa che mi ha passato la mia famiglia. Quando iniziai a far musica non entrarono mai nel mio ambito anche se avevo solo 18 anni. Sapevano che sapevo cose che loro non sapevano, mi riconoscevano una competenza.
Ritorni in Maremma da vecchio: che cosa sentiremo?
Le canzoni ci sono, devo registrare quelle che mancano. Tu sei il mattino farà parte del disco. Il cambiamento maggiore l’ho ricercato nelle parole, nei testi, cercando di raccontare storie fantastiche, non quotidiane, ma con termini invece quotidiani, che si trovano per terra. Volevo avere altri modi per raccontare delle cose in musica, volevo parlare più di persone che di favole. Ecco per dire, le persone: tornando al ristorante della mia famiglia, loro ce l’hanno del ’59, ho sempre visto che il cibo ci fa avvicinare. Io ho ritrovato questa dimensione in una trattoria di Niguarda, è un’oasi, un punto di contatto tra gente senza fronzoli o fuffa. Che poi vuol sempre dire ancorati alla realtà, per me. Allora diventa un’ispirazione mangiare con il signor Mario detto Millelire che mi racconta la sua giornata, per dire. Questo mi piace, questo fa i luoghi. Comunque voglio chiudere il disco a breve perché voglio tornare a suonare.
Vorrei sapere di più di Mario Millelire.
È un signore con la barba bianca, sembra Marx o Verdi, ci mangio praticamente tutti i giorni. Gli voglio bene, a lui come ad altri personaggi della trattoria. Una volta che ho suonato all’Alcatraz è anche venuto a trovarmi nel backstage. Poi c’è Mario il tassista, Giusy la cuoca, il macellaio, il farmacista del quartiere… mi piace avere attorno queste persone. Mi fa sentire a casa.