Lucio Corsi, la recensione del concerto all'Alcatraz di Milano | Rolling Stone Italia
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Lucio Corsi e il nostro disperato bisogno d’immaginazione

La differenza fra un suo concerto di due anni fa e quello di ieri sera all’Alcatraz di Milano? Siamo noi

Lucio Corsi e il nostro disperato bisogno d’immaginazione

Lucio Corsi in concerto nel tour 2025

Foto: Giuseppe Craca per Rolling Stone Italia

È l’unico concerto che ho visto da cui la gente esce ballando il twist, con gli altoparlanti che sparano Shake a Tail Feather di Ray Charles e grandi sorrisi sui volti. «Questa sera ci hai guariti», scrive qualcuno in una storia di Instagram che Lucio Corsi condivide. È accompagnata da un video di uno dei suoi generosi e goffi tentativi di fare stage diving e intanto suonare l’armonica e bocca e cercare di non perdere il cappello.

Lucio Corsi è tornato all’Alcatraz di Milano dopo quasi due anni. A maggio 2023 portava le canzoni di La gente che sogna, il disco in cui approfondiva la passione per il glam rock. Un tendone divideva il locale a metà. Anche se il numero di biglietti staccati non misura la riuscita d’un concerto, era impossibile non chiedersi perché mai il pubblico di Corsi lo si contasse in centinaia e non in migliaia di persone. Ieri sera il locale era sold out, si replica domenica 4, in estate ci sarà l’assalto agli ippodromi di Roma e Milano. Qualcuno dice che è una mossa audace, i prezzi sono popolari, vedremo. Del resto, se non ora quando?

La differenza fra il concerto del 2023 e quello di ieri sera l’ha fatta il pubblico. Se qualcosa è cambiato, non è sul palco dove c’è la band di magnifici provinciali che accompagna Corsi e riesce nel miracolo di far muovere le persone con boogie vecchio stile e frasi di chitarra all’unisono, alternando rock anni ’70, pezzi cantautorali al piano elettrico, una sezione folk. Se qualcosa è cambiato, è sotto il palco. Non è solo il numero delle persone, è il coinvolgimento, l’affetto, è l’accoglienza che ricevono le canzoni dell’ultimo album Volevo essere un duro, sono i cori che accompagnano Sigarette o Situazione complicata, come se le si conoscesse da sempre, come se fossero uscite nel 1975 e non nel 2025. È insomma la più ampia comprensione di quel che rappresenta Corsi.

Foto: Giuseppe Craca per Rolling Stone Italia

“A volte usare l’immaginazione stanca, ma è stancante anche chi non la usa”, canta nel talkin’ blues alla Woody Guthrie Senza titolo. È questo il punto. Queste canzoni strambe eppure famigliari, perché non nascono nel vuoto ma sono piene di riferimenti e prestiti, colmano il nostro disperato bisogno d’immaginazione. Là fuori, nel mondo reale e in quello della musica, è tutto terribilmente prosaico e prevedibile. Lo si dice da tempo che non riusciamo più a pensare un mondo diverso. Andare ad ascoltare uno che immagina che d’autunno a Lugano spazzino le strade non per pulirle, ma per salvare un ragazzo talmente secco che potrebbe essere portato via da una foglia volante, andare a sentire uno che guarda le cose da una prospettiva diversa, colorata e tenera ti fa sperare che esista qualcosa di meglio.

Lucio Corsi è candido nell’usare l’immaginazione di un bambino, forse siamo noi infantili nella nostra incapacità di vedere altro nel mondo. Se alcune di queste canzoni fanno venire un filo di magone non è solo una questione di scrittura, di accordi, di interpretazione. È perché nascondono una lotta segreta tra il mondo reale e quello che vorremmo. In un concerto di Corsi c’è il senso di divertimento e la cazzonaggine degli amati Blues Brothers, ma anche la tenerezza di chi ha bisogno di sognare per vivere.

Foto: Giuseppe Craca per Rolling Stone Italia

È verissimo quel che ha scritto su Rolling Alberto Piccinini che ha visto Corsi una ventina di giorni fa a Roma: il concerto è imperfetto, se non rocambolesco. C’è qualcosa di comico nel modo in cui due roadie «risolvono i guai che combino» e cioè inseguono il cantante per sbrogliare i fili della chitarra e del microfono ed evitare che abbattano aste, tastiere, strumenti. C’è qualche buco nelle canzoni. Alcuni attacchi sono incerti. Corsi si siede al piano elettrico, si rialza, dice qualcosa alla band, si risiede. La prima Francis Delacroix rivisitata è un magnifico casino, la seconda è un casino e basta (sì, la fa due volte, come Freccia bianca, sono veri bis).

Alla fine del concerto mi convinco con un po’ di fantasia che l’approssimazione è un piccolo atto di ribellione contro le abitudini e le regole razionali che instraderebbero Corsi altrove, ora che è popolare. Lui è rimasto fermo, sono gli altri che gli sono venuti incontro. Domani chissà, ma oggi può continuare a raccontare le sue storie improbabili ma vere come se fossero nuove.

Set list:

Freccia bianca
La bocca della verità
Danza classica
Radio Mayday
Questa vita
Trieste
Cosa faremo da grandi?
Sigarette
La gente bassa (Short People)
Amico vola via
Il re del rave
Orme
La ragazza trasparente
La lepre
Senza titolo
Nel blu dipinto di blu
Situazione complicata
Volevo essere un duro
Francis Delacroix
Magia nera
Il lupo
Nel cuore della notte
Tu sei il mattino
Astronave giradisco
Altalena Boy
Freccia bianca
Let There Be Rocko
Francis Delacroix

La band: Iacopo Nieri (piano, cori), Giulio Grillo (tastiere, cori), Filippo Scandroglio (chitarra), Marco Ronconi (batteria), Filippo Caretti (basso, cori), Carlo Maria Toller (polistrumentista, cori), con interventi alle chitarre di Tommaso Ottomano e Francis Delacroix.

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