Arrivo all’indirizzo concordato per l’incontro con John 5 senza sapere esattamente a cosa corrisponda, nonostante il classico sopralluogo preventivo con Google Maps mi abbia fatto pensare a una residenza privata. Parcheggio e vedo John che mi aspetta davanti alla porta d’ingresso: sono senza dubbio a casa sua. Una casa molto lussuosa ovviamente, con un bel giardino, Cybertruck e Porsche d’ordinanza davanti al garage e un cerimoniere, lui, che mi accoglie sorridente, radioso, come impone l’etichetta di uno che di mestiere fa il chitarrista dei Mötley Crüe e che nel curriculum vanta una serie infinita di collaborazioni prestigiose.
Fino a pochi mesi fa suonava al fianco di Rob Zombie, un sodalizio che si è interrotto bruscamente quando è stato annunciato il suo ingresso nei Crüe. «Con lui ho suonato per ben 17 anni, sono tantissimi, mai avuto nemmeno una discussione, di nessun tipo, né musicale, né tantomeno personale». Prima di Rob Zombie, John William Lowery ha suonato con Marilyn Manson, che gli ha dato il nome John 5 un po’ perché era il quinto membro della band, un po’ per il riferimento alla Bibbia. Per via di Zombie e Manson, molti associano John 5 all’industrial. Chi lo conosce bene, invece, sa che non c’è nulla di più sbagliato che pensare che suoni in un solo stile. Si è formato con country, bluegrass, jazz e flamenco. Il rock è arrivato dopo. Sa suonare di tutto. Come ha detto qualche tempo fa a Guitar Player, «la gente viene ai miei concerti strumentali perché magari segue quello che faccio con Zombie, poi mi vede suonare dei lick bluegrass e va fuori di testa. Questa cosa mi riempie di gioia».
La casa in cui ci troviamo è il suo santuario. C’è la classica sala con il biliardo e i dischi d’oro alle pareti, il giardino con piscina e fontane. I cliché della perfetta rock star ci sono tutti, inclusi vari gatti Sphynx che girano indisturbati e fanno le fusa. Ma c’è una stanza che finora era stata aperta solo alla sua cerchia di amicizie ed è quella per cui siamo qui oggi: quella dedicata ai Kiss, una delle più grandi passioni di John. Negli anni ha accumulato talmente tanto materiale che a maggio inaugurerà un vero e proprio museo dedicato alla band, un museo dal nome altisonante, Knights In Satan’s Service (occhio all’acronimo), che sarà allestito in una location segreta a Los Angeles e al quale si potrà accedere sborsando 500 dollari a cranio, per una visita guidata di due ore con lui.

Foto: Enzo Mazzeo
John 5 è un tipo decisamente ospitale, si vede che ama condividere i suoi spazi, e da ogni sua parola si percepisce un grande amore per la musica e la soddisfazione di un uomo nativo del Michigan che a Los Angeles ha coronato i suoi sogni. Colleziona materiale dei Kiss da quando aveva 7 anni, una mania che chiaramente è decollata quando quel ragazzino è diventato una rock star danarosa.
Appena mi fa entrare nella stanza in cui custodisce i suoi preziosi cimeli, che verranno poi trasferiti nella località segreta di cui sopra, mi rendo conto del livello di maniacalità. Non so nemmeno dove volgere lo sguardo, per un fan dei Kiss probabilmente il paradiso assomiglia a questo luogo. Rompo il ghiaccio chiedendogli di farmi vedere i pezzi clou. «Questi stivali sono gli unici ad essere sopravvissuti dell’era di Destroyer, sono del 1976», mi dice, mostrandomi appunto gli stivaloni appartenuti a Gene Simmons. C’è veramente di tutto: portachiavi, specchi, addirittura scatole di cereali provenienti dall’Australia, che secondo John valgono 7000 dollari l’una. «Mi ha sempre affascinato l’idea di raccogliere questa roba e metterla sotto lo stesso tetto, altrimenti molti di questi oggetti sarebbero andati persi, qualcuno li avrebbe buttati via». Gli chiedo qual è il pezzo che ha acquisito per primo. «Questo quadretto di Love Gun». Poi mi mostra un vecchio espositore di cartone, a quanto pare rarissimo. «Mia sorella aveva un fidanzato che lavorava alla Warner Bros., qui in California, e i Kiss all’epoca erano con loro. Si fece dare il cartonato e me lo spedì. Recentemente ne ho visto uno su eBay per quasi 8000 dollari».

Foto: Enzo Mazzeo
John ha adornato le pareti con cura: c’è quella dedicata ai manifesti pubblicitari, quella con i poster dei concerti, e poi i tour book, i pass, fibbie di metallo, tracolle per chitarra, volantini fatti a mano e qualunque articolo di merchandise immaginabile. In mezzo alla sala ci sono degli espositori pieni di vinili, divisi per Paesi. «Apparentemente le copie dello stesso titolo sembrano uguali», mi dice, «invece ci sono piccoli dettagli che rendono ogni singola copia diversa dall’altra. Potrebbe essere soltanto un piccolo logo, magari identificativo dello stabilimento in cui è stato stampato il disco».
Le riviste sono divise con lo stesso criterio, per Paesi di provenienza. Sbircio alla voce “Italy” e trovo vecchie copie di Ciao 2001 e Metal Shock. Ma questo è niente: c’è un banner di stoffa, incorniciato, con KISS ARMY scritto a mano. Mi mostra la foto di alcuni ragazzi che lo esibiscono in quello che sembra una specie di corteo. «Nel 1975 sono andati di fronte alla sede di una grossa radio con questo banner, per spronarli a trasmettere la musica dei Kiss. La band venne a saperlo e li invitò a un loro concerto, per conoscerli. Quella scritta li colpì molto, la autografarono e se ne ricordarono per gli anni a venire. Era nata la Kiss Army».
Noto degli appendiabiti pieni di t-shirt, pantaloni, pigiami, tute, giacche: «Tutta roba originale degli anni ’70». Gli chiedo come fa a esserne sicuro: «Ogni pezzo che acquisto deve passare un rigoroso processo di selezione, controllo le etichette, i materiali, a volte anche foto del pubblico dei concerti, dove si vedono alcune delle magliette che possiedo». Ci sono anche due flipper d’annata, li osservo e John subito me li accende, invitandomi a giocarci. Non è uno di quei collezionisti iperprotettivi, a chi viene a casa sua ed entra in questa stanza è permesso maneggiare tutto, dice che il tatto è parte integrante dell’esperienza. E lo stesso farà con i visitatori del museo, ovviamente sotto stretta sorveglianza.
Per ora qui dentro ci sono io e il suo sguardo non mi molla un secondo: intanto mi passa dei polsini, le bacchette di Peter Criss, la borsa di Paul Stanley. Tra i pezzi più introvabili che mi permette di accarezzare, ci sono le ali da pipistrello di Simmons. «Quello è un costume del 1974, l’unico posseduto da Gene all’epoca, indossato tantissime volte. Erano gli albori della band, suonavano e poi tornavano a casa in metropolitana». Mi cade l’occhio su una pelle di batteria. «È quella che si vede sulla copertina di Alive!», mi dice. «I Kiss si trovavano al Michigan Palace di Detroit per la sessione con Fin Costello, successivamente avrebbero girato il video di Rock and Roll All Nite. Dopo aver scattato le foto decisero di cambiare questa pelle perché era un po’ rovinata, la buttarono in un angolo. Ed eccola qui».

Foto: Enzo Mazzeo
Lì accanto c’è un Monopoly appartenuto ad Ace Frehley. Sopra, un costume di scena del chitarrista datato 1974 come quello di Simmons. La cosa che salta subito all’occhio sono le dimensioni di questi costumi: sono piccolissimi, sembrano essere appartenuti a dei bambini. «Sia Gene che Ace oggi sono uomini di grande corporatura, fa strano vedere come erano minuti all’epoca». D’altronde è passata una vita, niente, qui dentro, è più recente del 1983. «Nel 1982 uscì Creatures of the Night e dopo quel disco si tolsero il make-up. È stato un punto di svolta nella carriera della band e per me uno spartiacque. Dovevo darmi un limite, o non ne sarei mai venuto a capo». Gli chiedo anche quel è il pezzo che ancora gli manca e che vorrebbe più di ogni altro. Non ha dubbi, me lo dice, ma mi prega anche di non scriverlo, perché per ottenerlo ha fatto un’offerta di ben 100 mila dollari che è stata rifiutata e pensa che se si spargesse la voce tra i collezionisti sarebbe ancora più difficile, un giorno, trovare un accordo vantaggioso. Si tratta di un oggetto dal valore intrinseco nullo, ma che essendo passato innumerevoli volte sotto gli occhi di ogni fan del gruppo che si rispetti, è una sorta di piccolo tesoro. Mi fermo qui.
Nel corso degli anni, durante i quali ha anche collaborato con Paul Stanley ed Ace Frehley, la passione di John per i Kiss non è affatto scemata. E guai a riferirsi a loro con i soliti discorsi sul marketing o sul gossip. «Cinquanta anni dopo non parleremmo dei Kiss se non fosse per le canzoni, la musica, il talento. È tutta una questione di musica. La gente si avvicina a questo gruppo per la prima volta comprando un disco». Giusto. Eppure, c’è una band che, almeno musicalmente, lo ha influenzato ancora più dei Kiss, e si chiama Van Halen. «I Van Halen avevano Eddie. Certo, c’erano anche Dave, Michael e Alex, tutti musicisti incredibili che hanno dato al gruppo un contributo unico, ma Eddie ha reinventato la ruota, da quel momento niente è stato come prima. I Van Halen hanno completamente cambiato la mia vita, il mio mondo». E non c’è da meravigliarsi che proprio David Lee Roth abbia dato a John 5 il battesimo del fuoco, prendendolo nella sua band nel lontano 1998, prima di Marilyn Manson e Rob Zombie. «Ci siamo divertiti moltissimo in studio, a scrivere e registrare, io e Dave siamo ancora grandi amici, così come lo sono di Michael Anthony, e lo ero di Eddie. Non è incredibile?».

Foto: Enzo Mazzeo
Dopo aver passato qualche ora con lui, non ho dubbi sul fatto che, oltre a essere un chitarrista talentuoso, John 5 è anche cool, gentile, simpatico, uno che chiunque vorrebbe anche solo come amico. Non stupisce che le band facciano a gara per accaparrarselo. Mentre mi accompagna alla porta, mi dice che a breve uscirà un suo nuovo album solista (ne ha fatti una dozzina) e che farà un lungo tour per promuoverlo. «Ho detto ai miei agenti di farmi fare quante più date possibile, anche 20 di seguito, tanto non mi pesano affatto. Sai, suono comunque la mia chitarra tutti i giorni, se non sono sul palco lo faccio comunque sul divano di casa o nelle stanze d’hotel».