Alle Azzorre c’è una stramba orchestra di sintetizzatori modulari che suona solo una sera l’anno, senza prove | Rolling Stone Italia
Storie

Alle Azzorre c’è una stramba orchestra di sintetizzatori modulari che suona solo una sera l’anno, senza prove

L'Orquestra Modular Açoriana è un folle e intrigante progetto che unisce comunità e ricerca sonora, insegnamento e performance. Siamo stati al suo unico concerto del 2025: è durato 8 ore

Alle Azzorre c’è una stramba orchestra di sintetizzatori modulari che suona solo una sera l’anno, senza prove

L'Orquestra Modular Açoriana

Foto: Vera Marmelo

Una selva di cavi, jack, minijack, adattatori. E ancora potenziometri, mixer, tastiere, lucine che pulsano indemoniate da piccoli mostriciattoli elettrici. Tutto appoggiato su un grande tavolo al centro di una sala ristorante addobbata in perfetto stile portoghese tradizionale. Il pubblico girovaga per il locale o è seduto ai tavolini con le tovaglie rosse che dal piano rialzato si affacciano sul tavolo. Una mirrorball ruota sospesa in mezzo alla sala: qualcuno dice sia stata la prima ad arrivare a São Miguel, Azzorre, decenni fa.

Si racconta anche che il Solar da Graça, il ristorante che ospita questo evento del Tremor Festival (ve ne abbiamo parlato qui), sia stata la prima sala da ballo dell’isola. La prima vera discoteca. Qui, in un lungo pomeriggio d’aprile, una ventina di persone – artisti professionisti e amatori – si sono ritrovati per una performance lunghissima, ciò che nel gergo è chiamato durational. L’idea è lasciare vivere per un giorno solo un’orchestra post-moderna che scavalca l’idea stessa di orchestra per farsi esperienza collettiva, accessibile, orizzontale.

L’Orquestra Modular Açoriana. Foto: Vera Marmelo

L’Orquestra Modular Açoriana. Foto: Vera Marmelo

Per suonare nell’Orquestra Modular Açoriana infatti non serve essere un genio dei sistemi modulari, un virtuoso del synth, uno smanettone incallito. L’unico requisito richiesto è quello di avere un sintetizzatore, un modulate, una tastiera. E rispondere a una open call. Il resto consiste nello stare nel momento. Suonare. Jammare.

«Non ci sono prove, io mi sono iscritto e mi sono presentato con un Volca», racconta Louis, uno dei non-musicisti coinvolti in questa maratona sonora lunga ben otto ore. «Non sono un esperto, ma mi piace smanettarci. Il mio strumento è economico, portatile, facile da usare». Louis è stato coinvolto da un amico che, ironia della sorte, poi non si è presentato per colpa di un’influenza. Nella vita Louis lavora con Vaga, un centro per le arti di São Miguel, e per diletto costruisce flauti e si perde in lunghe nuotate nel freddo oceano. Il trovarsi con altri appassionati e curiosi, per lui, è una scelta comunitaria, l’idea che creare qualcosa assieme, condividendo uno spazio e un tempo, sia sempre fonte di arricchimento personale.

L’orchestra infatti non ha alcuna velleità artistica: non è questo il suo scopo. Seppur a dirigere sia stato chiamato Peaking Lights, progetto americano dei coniugi Aaron Coyes e Indra Dunis, a cui spetta l’arduo (e divertente) compito di tenere insieme questa cascata di creatività elettrica, l’obiettivo dell’Orquestra Modular Açoriana è quello di introdurre musicisti più o meno navigati alla sperimentazione libera, all’esplorazione della propria voce creativa in un ambiente sicuro, libero.

Foto: Vera Marmelo

L’Orquestra Modular Açoriana. Foto: Vera Marmelo

È come assistere all’apertura di una scatola nera. Il pubblico è sdraiato sui puff, o gira attorno al tavolo per sbirciare cosa succede, chi fa cosa, con che strumento. I musicisti parlano tra loro, si danno dritte (a un certo punto sbuca pure un bambino che suona un arpeggio a un synth), spiegano al pubblico come funzionano le macchine. E le macchine sono tantissime: Eurorack più o meno intricati, tastiere ricercate o entry-level, laptop aperti su schermate di Max for Live, microfoni, toy keyboard, pedali ed effetti più o meno noti. Rimanerne affascinati è molto semplice.

L’Orquestra Modular Açoriana è una follia musicale che succede una sola volta l’anno, qui a São Miguel, al Tremor Festival. È performance, workshop, lecture destrutturata sul mondo magico della sintesi sonora e del DIY elettronico. È ispirazione, è comunità, è crescita. E forse la musica dovrebbe ripartire proprio da qui: da progetti che sono insieme scoperta, aggregazione e ricerca. Per fortuna, da qualche parte, c’è ancora chi sceglie di fare le cose semplici. Nel modo più caotico possibile.

Altre notizie su:  Tremor