Scrivere per capirsi: Any Other racconta ‘Per te, che non ci sarai più’ | Rolling Stone Italia
«A far musica, bisogna star bene»

Scrivere per capirsi: Any Other racconta ‘Per te, che non ci sarai più’

Abbiamo chiesto ad Adele Altro di spiegarci le storie dietro le canzoni del suo ultimo EP. «Voglio scrivere in lingue diverse, esplorare altri modi di approcciarmi agli strumenti, provare cose che mi fanno paura»

Scrivere per capirsi: Any Other racconta ‘Per te, che non ci sarai più’

Any Other

Foto: Carmen Colombo

Non è facile scrivere di se stessi e del proprio lavoro. Non è facile in generale, ma è ancora meno facile se il destinatario di quello scritto non è un diario personale, ma qualcun altro. Devo mettermi davvero a nudo? Oppure devo performare anche nell’autoanalisi di quello che scrivo?

Se ci rifletto un po’ più a lungo, non è così diverso dallo scrivere una canzone. O almeno, quello che scrivere una canzone significa per me: prendo una buona dose di caos ed esperienze che non ho ancora metabolizzato del tutto, e provo a dar loro una forma che possa essere compresa da chi mi ascolta. E da me stessa.

Quando ho iniziato a scrivere Per te, che non ci sarai più non sapevo bene dove volessi andare. I primissimi versi del pezzo che dà il titolo a questo EP li ho scritti dieci minuti dopo aver chiuso una relazione durata sei anni. Era estate ed ero seduta sul divano della casa in cui vivevo fino a un paio di anni fa. Era la prima volta che scrivevo così di getto qualcosa in una lingua che non fosse l’inglese, ma quei pochi versi sono rimasti lì più o meno fino all’autunno scorso, mentre facevo le ultime date del tour di Stillness, Stop. Ero molto frustrata, in quel momento, perché tutto il processo di creazione di quel disco era stato veramente sofferto e mi aveva affaticata tantissimo. Avevo voglia, e non solo bisogno, di invertire l’andamento con cui stavo affrontando il fare musica per me stessa. Ho deciso che avrei affrontato questa urgenza come un’urgenza, e non come la premessa per un disco che doveva essere “perfetto” a tutti i costi.

Ho chiesto a Marco, Nicholas e Giulio – amici e compagni di musica – di affrontare insieme e senza troppe sovrastrutture l’arrangiamento di questi pezzi. Ci siamo trovati a Milano, per un totale di cinque o sei giorni di prove tra novembre e febbraio, con in mano solo melodie, testi e accordi. Ognuno ha messo sul tavolo la propria parte: le scelte musicali prese sono state semplicemente le scelte che suonavano giuste a tutti quanti, senza che ci chiedessimo «quello che stiamo scegliendo è la migliore scelta possibile?», ma decidendo come approccio che, se in cuor nostro una soluzione funzionava, non serviva cercarne delle altre.

Con questa gigantesca premessa, metto qui qualche riflessione su ogni pezzo.

Distratta

Che forma ha lo spazio ormai vuoto lasciato dalla scomparsa di qualcuno? Un numero di telefono che non si può più usare, o magari un angolo di pavimento vuoto.

Nel 2021, tra febbraio e marzo, ho perso prima un mio carissimo amico e poi il mio cane. Sono stati due mesi devastanti. Ricordo che, tornata a casa la mattina dopo aver salutato per l’ultima volta la Nani (questo era il nome della mia canetta), ho dormito per un paio di ore, piangendo a dirotto. Mi sono svegliata quella mattina di primavera e la sua cuccia non c’era più. Al suo posto, un raggio di sole sul pavimento. Mi sembrava uno scherzo. Ho preso il telefono e ho scritto: «non so se il sole di questa mattina devo prenderlo come un insulto alla tua memoria o come la sua celebrazione».

Una nota sulla musica in senso stretto. Dal punto di vista armonico, Distratta è una canzone molto semplice (le strofe, se vogliamo chiamarle così, sono letteralmente composte di tre accordi), e avevo quindi bisogno di camuffare questa semplicità e la sua “brillantezza” per poterla rilasciare solo in chiusura. La prima volta che abbiamo provato questo pezzo, non ci è venuto subito. Non capivamo come rendere l’armonia un po’ più sneaky senza intellettualizzarla troppo, quindi ci siamo concentrati di più su un gioco di incastri ritmici e storture melodiche. Penso che alla fine siamo riusciti a renderlo un pezzo che, pur portandosi dietro una certa pesantezza, ha un’aria e una voglia di aprirsi a quello che viene dopo.

このままでいい

このままでいい

Ricordo di aver scritto per la prima volta in vita mia dei “testi” in inglese quando ero alle medie. Sono certa che aver iniziato presto a esprimermi in una lingua diversa dall’italiano, e quindi rendere quello che stavo studiando qualcosa di vivo e che potessi usare nella realtà, mi abbia fatto avanzare molto nell’apprendimento dell’inglese. Scrivere per se stessi è fare pratica.

Studio giapponese da quattro anni. È una lingua tanto bella quanto difficile, ma una delle cose che più mi affascina (da persona occidentale ed europea) è come la diversità grammaticale e sintattica di una lingua ti obblighi a organizzare i pensieri in un modo diverso. Studiando giapponese, e provando a scrivere in giapponese, mi sono resa conto a posteriori di una dinamica che c’è anche tra scrittura in italiano e in inglese. Ogni lingua, con le sue specificità, ti porta ad organizzare il pensiero e a leggere la realtà in un modo suo specifico. Oltre alle differenze palesi del timbro vocale nel cantare in lingue diverse (del resto, per emettere suoni diversi si usano muscoli diversi), c’è una differenza nel modo in cui si attinge al materiale “grezzo” che sta alla base della scrittura. Chissà, forse è anche per questo che alcune cose in una lingua suonano tremendamente imbarazzanti, e in un’alta incredibilmente poetiche.

Lazy

Da sempre, dentro di me, ci sono due forze perennemente in conflitto: da una parte la tendenza molto autocritica e quasi demolitrice che ho nei miei confronti, dall’altra la spinta costante a voler superare questa tendenza ad affossarmi e voler correre in avanti verso un posto migliore. Il titolo, che significa “pigra”, è infatti uno dei modi in cui mi giudico più spesso quando non riesco a far qualcosa: non ci riesci perché sei pigra, non ti applichi abbastanza – e per estensione quindi non sei abbastanza. Allo stesso tempo, però, sono consapevole di essere una persona che è capace di mettere amore nelle cose e nel mondo intorno a sé, e non ho intenzione di farmi portare via questa cosa, nemmeno da me stessa.

Se non avessimo avuto l’approccio estemporaneo che abbiamo avuto nell’arrangiare questi pezzi, Lazy avrebbe avuto sicuramente degli arrangiamenti più ricchi (scherzando, durante le prove ci siamo detti che questo era il pezzo alla Bacharach), con degli archi o dei corni o entrambe le cose.

Per te, che non ci sarai più

Per te, che non ci sarai più

Questo pezzo per me rappresenta una fine, ma anche un inizio. È una dedica, ma anche in qualche modo un augurio a trovare delle cose belle dopo che si chiudono quelle che si dovevano chiudere. Credo sia la prima canzone di Any Other dove faccio cantare anche qualcun altro: sulla parte finale della canzone, c’è una risposta melodica che hanno fatto Marco, Nicholas, Giulio e Alessandro. Avevo bisogno di fare questa cosa insieme non solo per un motivo estetico (penso che quel controcanto sia venuto molto bene!), ma anche e soprattutto per un motivo umano ed emotivo: in questo momento ho bisogno di fare quello che amo con le persone che amo, e questo EP è stata la dimostrazione che questa cosa la so e la posso fare.

Non è facile scrivere di me stessa e del mio lavoro. Per qualche ragione, ora che ho trent’anni mi sento minuscola e gigantesca allo stesso tempo. Ma sono davvero contenta di aver fatto questo EP in un modo così estemporaneo, senza pormi troppe domande su come dovessi farlo. Ho voglia di prendere le cose per quello che sono, sia nella mia quotidianità che nel fare musica. Sinceramente, ora come ora non voglio razionalizzare troppo: voglio abitare questa zona grigia in cui scrivo canzoni in lingue diverse, esploro modi diversi di approcciarmi agli strumenti che suono, provo a fare delle cose che mi fanno paura. Penso che devo imparare a sbagliare, per accorgermi che anche se sbaglio non succede niente, e che comunque il mondo va avanti, tutti vanno avanti (e anche io posso andare avanti). Chi se ne frega delle aspettative sui dischi, sul lavoro. Alla fine, a far musica, bisogna star bene. Va bene così.

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