10 cose di ‘Live at Pompeii MCMLXXII’ di cui discutere con altri fanatici dei Pink Floyd | Rolling Stone Italia
L’anti-Woodstock

10 cose di ‘Live at Pompeii MCMLXXII’ di cui discutere con altri fanatici dei Pink Floyd

Com’erano Waters, Gilmour, Wright e Mason prima dell’era dell’alta fedeltà. I tagli, il suono, il mito, i momenti Spinal Tap

10 cose di ‘Live at Pompeii MCMLXXII’ di cui discutere con altri fanatici dei Pink Floyd

Roger Waters coi Pink Floyd a Pompei

Foto press

Torna (di nuovo) lo storico live a Pompei, e in pompa magnissima. Sono i Pink Floyd prima della Luna, degli Animali, del Muro, e ovviamente del Taglio Finale. È il primo risultato del recente passaggio alla Sony del catalogo Pink Floyd per l’inezia di 400 milioni di dollari (ma sono esclusi i diritti d’autore). Ora però si chiama Pink Floyd at Pompeii MCMLXXII, con la vezzosa aggiunta del numero romano che segnala la data della prima uscita nei cinema. Ma cosa stiamo per vedere e sentire, di preciso? Di cose da dire ce n’è tante, ragion per cui cerchiamo di dissimularle col birichino espediente della lista delle 10 cose di cui potreste discutere con gli altri malati di Pink Floyd – ehi, non lo siamo tutti?

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Cosa succede

Dal 24 al 30 aprile sarà possibile vedere in oltre 200 cinema italiani il film – in una versione ripulitissima in 4K partendo dalle bobine originali (“miracolosamente ritrovate”, come si usa dire) e con l’audio remixato in Dolby Atmos ovviamente dall’eccelso Steven Wilson. Subito dopo, dal 2 maggio, saranno disponibili DVD, Blu-Ray, LP (doppio) e CD (doppio anche lui). Le versioni su disco non erano mai uscite prima, a differenza del video. E qui iniziamo le divagazioni.

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Cosa si vede

Questa è una quarta versione del film-concerto. Se, come chi scrive, vi siete persi la versione originale del 1972 per squallidi motivi anagrafici, sappiate che quella prima uscita fu un fiasco e indusse il regista Adrian Maben a realizzarne una seconda nei mesi successivi con la preziosa aggiunta di interviste ai quattro Floyd, e dei “dietro le quinte” realizzati ad Abbey Road mentre incidevano The Dark Side of the Moon. E questa seconda versione del 1974 fu vista da un po’ più di gente (ma non proprio masse oceaniche). Nel 2002 è poi uscito un Director’s Cut con alcune aggiunte non essenziali (immagini spaziali della NASA, un po’ di Golfo e Vesuvio assenti nella prima take) e altre invece più interessanti, con qualche intervista in più e le immagini di Gilmour e Wright che sovraincidono le voci per Echoes. Per questa versione del MMXXV (cioè, ora) è stato fatto un passo indietro. Non sapremmo dirvi con certezza perché, anche se ci viene da fare alcune illazioni. Probabilmente squallide, come tutte le illazioni.

Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII - Echoes - Part 1 - Edit

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Cosa si sente

Nell’ottobre 1971 i Pink Floyd non erano ancora uno degli emblemi dell’Alta Fedeltà, erano nella fase post-Barrett della credibilità sperimentale. Erano un animale stranissimo, forse l’unico gruppo rock realmente amato dagli intellettuali, che li cercavano con insistenza – da Antonioni a Roland Petit, da Polansky a Nureyev. Di hit non se ne parlava, avevano ancora una fama underground ma stavano già diventando puntigliosi per l’aspetto sonoro. Tuttavia, Steven Wilson avvisa: «Ho lavorato per restituire la naturalezza originaria dell’esecuzione, ma la registrazione è molto elementare: la musica fu incisa tramite quattro fonti mono. Poi andarono a Parigi per gli overdub delle voci e qualche aggiunta strumentale, ma per l’85% i nastri erano quelli di un gruppo strumentale su quattro piste, quindi non avevo gran margine di manovra».

In effetti, Set the Controls for the Heart of the Sun e Careful with That Axe, Eugene, nel film proposte con uno sfondo pompeiano fittizio, furono registrate in studio a Parigi all’inizio del 1972 (come anche Mademoiselle Nobs). A Pompei furono eseguiti tre brani: due del disco Meddle in uscita all’epoca, ovvero Echoes (astutamente divisa in due parti) e One of These Days, più la (relativamente) vecchia A Saucerful of Secrets, richiesta dal regista ma sempre presente nelle setlist del gruppo. Le differenze acustiche sono intangibili, anche se i testimoni parlano del silenzio irreale dell’anfiteatro (in quei giorni dell’ottobre 1971, chiuso al pubblico) e di come la musica riverberava in modo unico sulle pietre circostanti. Ma presumiamo che si debbano avere orecchie veramente finissime per cogliere queste sfumature anche nello splendore del Dolby Atmos. In compenso si ha la sensazione che Wilson abbia enfatizzato gli strumenti, cercando di farli spiccare singolarmente. A volte pare che, come il regista, simpatizzi per Nick Mason: la batteria spesso sembra sovrastare tutto. In Echoes, va parzialmente a coprire uno dei momenti-clou del brano, il riff di Gilmour dopo il lungo build-up centrale. Ma forse siamo (inevitabilmente) distratti da quanto suggeriscono le immagini. Quindi, torniamoci.

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Nick Mason a Pompei

In realtà uno dei motivi per cui per quasi mezz’ora di girato assistiamo alle mazzate del batterista non è solo perché in quel momento è l’unico dei quattro che sembra realmente un rocker. Tra le bobine “miracolosamente ritrovate” non ci sono quelle che riequilibravano la situazione a vantaggio degli altri. Così per esempio in One of These Days è lui il protagonista assoluto anche nella parte in cui vorremmo vedere le minacciose folate di chitarra di Gilmour o il basso martellante di Waters.

Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII - One of These Days (Official Music Video)

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In compenso, Waters

Non ci è del tutto chiaro il motivo per cui sono state tagliate alcune delle interviste presenti nel Director’s Cut: i motivi possono essere diversi, dalle (tante) ferite aperte che possono essere ulteriormente ravvivate da certe frasi all’epoca semplicemente oneste sui rapporti personali all’interno del gruppo, al fatto che mentre dà alcune risposte, il bassista si diverta a fare giochi con gli sbuffi mentre sta sconvenientemente fumando (non escludiamo nessuna ipotesi, per quanto strampalata). Essendo comunque nella posizione privilegiata di chi sa come va a finire, è affascinante notare qualcosa che forse negli anni ’70 nessuno poteva cogliere, e cioè che affiancato da tre musicisti quieti (e ben lungi dall’essere rock’n’roll animals), il tipo nero e gramo è quello con la licenza di artista, che va ad accanirsi sul gong o sui cimbali, che porta i maggiori aspetti di fisicità e istinto, fino a quando entriamo quasi letteralmente nella bocca di Waters per il grido primordiale di dolore di Careful with That Axe. È anche uno dei momenti in cui il regista usa le immagini nel modo migliore. Anche se poi il brano, e non lo diciamo in senso negativo ma fatalista, oggi suona antico come gli affreschi pompeiani.

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Momenti Spinal Tap

La corsetta dei quattro sulle pendici del vulcano, ridacchiando monelli come i Beatles degli inizi, ha un che di bizzarro – in realtà anche più di uno dei momenti deprecati da Nick Mason, l’ineccepibile freestyle del cane Mademoiselle Nobs: una lezione per tanti autentici cani ai quali viene dato un microfono nel 2025. In ogni caso, tutto quel vento i Pink Floyd se lo meritavano, visto quante volte ce lo hanno fatto sentire nei dischi. Peccato però che non venga documentata la realissima ansia vissuta da tutta la produzione in metà dei giorni passati a Pompei, per la Processione della Vergine che bloccò i camion, o per l’insufficienza energetica della zona, problema risolto con un cavo interminabile che, a seconda delle interviste, correva dall’anfiteatro fino al Municipio di Pompei o alla chiesa più vicina. Comunque, una delle cose amabili da vedere è la quantità di cavi necessari al rock’n’roll per giungere al mondo. Si potrebbe anche dire: tolti i cavi, finito il rock’n’roll.

«Rischiamo di diventare una reliquia del passato, vorremmo sfatare questa sensazione»

Nick Mason, 1971

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Il muro

Il film, ha detto più volte il regista, nasce come risposta semi-polemica ai film musicali dell’epoca, soprattutto Woodstock, quelli con il concerto davanti alla folla osannante, che erano la norma «insieme a quelli che raccontavano il gruppo come A Hard Day’s Night». Si potrebbe discutere un bel po’ su questa convinzione (c’era stata la fase cinema-verité di Let It Be coi Beatles o One Plus One coi Rolling Stones). Ma sempre col senno di poi, vedere la muraglia di amplificatori WEM e pensare a un gruppo che si sottrae al pubblico è una affascinante premonizione di quello che sarebbe successo per The Wall. Per non parlare del fatto che potrebbe essere la prima vera “arena” in cui si esibiscono i Pink Floyd, che davanti alle arene piene di gente riservategli dal futuro prossimo avrebbero avuto sempre sensazioni di straniamento. Mason: «Di colpo c’erano più di 10 mila persone che ci chiedevano Money perché volevano scuotere le chiappe, e facevano casino durante i pezzi degli altri dischi». Questo avrebbe portato Roger Waters a un noto episodio catartico (con sputo incorporato), ma questo non c’entra con Pompei.

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David Gilmour a Pompei

In compenso, il suo complemento e arcinemico Gilmour a Pompei ci è tornato nel luglio 2016 per due concerti estremamente spettacolari, e con un folto pubblico pagante. Si potrebbe dire che se il Live at Pompeii doveva essere un anti-Woodstock, Gilmour a Pompei è stato un anti-Live at Pompeii. Sia chiaro, le cose cambiano, la gente cambia, la musica cambia eccetera, e insomma gli vogliamo bene lo stesso, anche per come dà sui nervi a Waters, al quale vogliamo altrettanto bene. Se non si fossero mai incontrati, non sarebbero successe tante cose interessanti.

Pink Floyd at Pompeii – MCMLXXII - Recording The Dark Side of The Moon - Clip

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I maglioncini di Wright e il prisma che incombe

Malgrado i suoi affascinanti maglioncini Richard Wright è, tristemente, il componente del gruppo spinto a margine dalle immagini (non da Waters, per una volta) e dalla collocazione delle tastiere, mentre la batteria è quasi sempre al centro di tutto, cosa curiosa se si pensa che nella classifica dei batteristi con un ego ipertrofico, Mason non entrerebbe tra i primi mille. In compenso c’è molta malinconica bellezza nei frammenti in cui suona il piano durante la registrazione di Dark Side of the Moon, il disco che sta arrivando come un’eruzione sui quattro, e che a suo modo ricoprirà di tanti strati di musica e popolarità e paranoia e rock’n’roll molte delle cose che vediamo in questo film. Ma è proprio grazie al sempiterno prisma che questo film sta tornando nelle sale, questo è chiaro a tutti.

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Pompei, a margine

“Scese la notte. Avresti udito i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti. Vi erano coloro che per timore della morte, la invocavano. Molti supplicavano gli déi; molti ritenevano che non ve ne fossero più, e che quella fosse l’ultima notte del mondo”. Questo era Plinio il Giovane – nipote di quell’altro, morto durante l’eruzione del 79 d.C. per crisi cardio-respiratoria, a Stabia. Ci era andato sia perché affascinato dal fenomeno e dalla curiosità di vedere che diavolo stesse succedendo, sia per tentare di portare in salvo un’amica durante l’apocalisse. Questo lo inseriamo per sottolineare che sì, gli affreschi, l’anfiteatro, d’accordo… ma nel film solo il titolo dice al pubblico qualcosa del luogo dove si svolge il concerto, e della sua storia. Forse siamo eccessivi, però insomma, almeno un minimo di accenno. Anche perché le muraglie di amplificatori con scritto perentoriamente “Pink Floyd. London” danno la sensazione di – boh, è troppo dire appropriazione culturale? Sì, probabilmente avete ragione. Ma grazie per aver letto fin qui.