Al concertone del Primo maggio in Piazza San Giovanni, a Roma, i Patagarri hanno lanciato un messaggio pro Palestina, e l’hanno fatto utilizzando il brano ebraico Hava Nagila: «Quando abbiamo scoperto la storia di questo brano, che risale al 1917 e che è legata alla legittimazione delle prime comunità ebraiche in Palestina, abbiamo capito che l’unico modo per suonarlo oggi era accompagnarlo con un messaggio chiaro: Palestina libera», ha detto il gruppo ad AGI.
Un messaggio che ha creato delle polemiche con la comunità ebraica: «Appropriarsi della nostra cultura, delle melodie a noi più care, per invocare la nostra distruzione, è ignobile. C’è qualcosa di davvero sinistro, macabro, nell’esibizione dei Patagarri. I più grandi nostri odiatori nella storia sono quelli che hanno strumentalizzato la nostra cultura e mentalità», ha scritto Victor Fadlun, presidente della Comunità ebraica di Roma.
Ma ora la risposta della band è arrivata da Instagram:
«Siamo esseri umani che non riescono a stare in silenzio di fronte alla morte e alla distruzione, musicisti che hanno imparato dalla musica a cercare quello che unisce e non quello che divide, a far funzionare un insieme composto da diversità. Abbiamo suonato una canzone della tradizione ebraica, che da tempo fa parte del nostro repertorio e ne fa parte perché noi non siamo mai stati contro una popolazione o l’altra. Ma abbiamo sentito la necessità di privarla del testo originario, che parla della gioia di stare insieme, per sottolineare che da troppo tempo, nel Medio Oriente, quella gioia non esiste più».
«Abbiamo così voluto testimoniare le storie dei civili, cioè di chi paga il prezzo più alto durante la guerre, perché vittime innocenti. Qualsiasi report internazionale sottolinea che il prezzo in termini di morti, feriti, mutilati, che la comunità palestinese sta pagando in seguito alla guerra è inaccettabile. Con la nostra testimonianza non abbiamo fatto altro che ribadire dati oggettivi. A chi ha definito la nostra esibizione di ieri macabra rispondiamo che per noi macabro è un mondo nel quale migliaia di bambini vengono ammazzati, gli ospedali bombardati, i civili sterminati».
«Un mondo nel quale chi chiede la pace viene accusato di creare divisioni e di generare odio antisemita. Mettiamoci allora d’accordo su quali sono le parole giuste per chiedere che i bambini non muoiano più, che gli ospedali non vengano più bombardati, senza essere accusati di invocare la distruzione del popolo israeliano, senza finire in questa trappola retorica dell’antisemitismo, accusati per tramite di sofismi insopportabili, mentre la gente continua a morire».
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