‘The Last of Us’ non è più la stessa cosa (e va bene così) | ‘The Last of Us 2’, la recensioneRolling Stone Italia
Future Days

‘The Last of Us’ non è più la stessa cosa (e va bene così)

Con la seconda stagione e dopo la morte di "voi sapete chi", la serie è diventata qualcos'altro: non più un character study su due solitudini che si riconoscono in una post-apocalisse che di umano non ha più nulla, ma una riflessione sull’inutilità della vendetta e sulla violenza che non può che portare violenza

‘The Last of Us’ non è più la stessa cosa (e va bene così)

Bella Ramsey (Ellie) durante il plot twist di 'The Last of Us 2'

Foto: Liane Hentscher/HBO

Non ci crede manco Pedro Pascal che sia successo davvero: “Sono in una fase di negazione attiva (…) E, no, non passo molto tempo a pensarci perché mi rattrista”, ha detto l’attore dopo il plot twist dei plot twist nella seconda stagione di The Last of Us (dal 14 aprile su Sky e NOW, in contemporanea con gli Stati Uniti). Come forse non ci credeva nemmeno Sean Bean, alias Ned Stark, quando gli hanno detto che avrebbe perso la testa (letteralmente) verso la fine della prima stagione di Game of Thrones, persino prima del Joel di Pascal, ma – certo – è diverso: cast corale vs coppia di protagonisti il cui rapporto era l’anima dello show. Eppure GoT resta ancora l’unico riferimento possibile in termini di audacia della narrazione seriale.

Non è un caso che lo stesso Pascal abbia avuto il suo breakout role a Westeros e che, anche lì, sia durato il tempo di una sola eppur gloriosa stagione: il suo Oberyn Martell arriva nel quarto capitolo, conquista tutti, poi cerca vendetta (parola chiave, ci torniamo) e viene ucciso in modo terrificante da Gregor Clegane, aka la Montagna, in una delle scene più feroci e brutali della storia della tv. “Mi ammazzano spesso, mi piace morire. Penso però che questa (TLoU) sia la mia morte migliore”, ha scherzato Pedro all’indomani del fattaccio. “No, anzi, è in competizione con quella di GoT, per forza”.

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Già, perché nella seconda puntata della seconda stagione di The Last of Us Joel muore (e in modo leggermente diverso dal gioco: sorry, ma ormai non è più spoiler). E muore malissimo, prima torturato e poi ucciso con una mazza da golf (“A questo punto inizierò a giocarci”, ci ha riso su l’attore) da Abby (Kaitlyn Dever), la figlia del medico a cui il personaggio di Pascal aveva sparato nella prima stagione per salvare Ellie (Bella Ramsey), destinata a essere sacrificata per trovare una cura contro il famigerato fungo assassino, a cui lei è immune. Per Abby insomma è un atto di giustizia, un modo per riscattare la sorte del padre e delle tante vite spezzate dall’atto egoistico di Joel.

Pedro Pascal (Joel) in ‘The Last of Us 2’. Foto: HBO

È una fine imprevedibile e brutale come sa essere imprevedibile e brutale il miglior cinema. Durissima, silenziosa. È il passato di Joel che torna a fare i conti con lui e lo trova impreparato quanto noi, che evidentemente non abbiamo imparato nulla dal Red Wedding e nemmeno dal mondo di The Last of Us, che non ha mai nascosto di essere crudele, spietato, disumano. Come disumano è quello che succede a Joel: non muore sul campo di battaglia, combattendo “da eroe” contro gli Infetti, non c’è nessuna sequenza d’azione. Anzi, è una scena al chiuso intima, velocissima, fredda, scioccante. E cinematograficamente devastante è la reazione di Ellie, con la telecamera che si concentra sul suo volto mentre assiste all’orrore e lancia un grido totalizzante che non sentiamo, ma che ci attraversa inesorabile, come la bomba in Oppenheimer.

Bella Ramsey (Ellie) in ‘The Last of Us 2’. Foto: HBO

Ed è in questo preciso istante che The Last of Us diventa qualcos’altro: non sarà mai più quello che è stato, e cioè un magnifico character study su due solitudini umanissime che si incontrano e si riconoscono in una post-apocalisse che di umano non ha più nulla. È proprio qui che la serie diventa un’altra cosa: una riflessione sull’inutilità della vendetta, sugli abissi del trauma e sulla violenza che non può che portare violenza. È stato il desiderio di vendetta di Abby a uccidere Joel e sarà il desiderio di vendetta di Ellie a portare avanti la storia, a diventare il nucleo emotivo della seconda stagione.

Vedremo Ellie deteriorarsi fisicamente ed emotivamente, incapace di lasciare il suo dolore, nel tormento di cercare giustizia per Joel anche a costo della propria umanità (“If I ever were to lose you / I’d surely lose myself”, cantano i Pearl Jam in Future Days, il pezzo-simbolo del rapporto tra Ellie e Joel). E ne riconosceremo il riflesso nella stessa Abby, con cui riusciamo in qualche modo a empatizzare, fino a capire che quel regolamento di conti non è stato catatartico come sperava, ma ha segnato soltanto l’inizio di qualcosa di inesorabile: è il prezzo che la sete di rivalsa impone a chi le soccombe, anche se non può, non riesce a fare altrimenti. Perché in The Last of Us tutti perdono, quasi sempre. A partire da Joel.

Kaitlyn Dever (Abby) in ‘The Last of Us 2’. Foto: HBO

Certo, chi ha giocato al videogame sapeva (quando il gioco è uscito a giugno 2020, la reazione dei fan è stata altrettanto WTF), lo stesso Pascal sapeva che sarebbe successo ancora prima che gli offrissero la parte (“Faceva parte dell’accordo. Mi hanno detto: ‘Non preoccuparti, morirai’, e io ho risposto ‘Okay, andata!’”). Ma questo non rende la morte di Joel e tutte le sue implicazioni, passate e future, meno sconvolgenti: ha scelto di salvare Ellie e, così facendo, ha messo in moto una catena di eventi mortali, non solo per lui e per lei, ma per ognuno dei personaggi che ha toccato. Joel se n’è andato, ma la sua fine è il catalizzatore, il fulcro emotivo della storia.

È una tragica conseguenza delle sue decisioni, che però tira fuori questioni morali (a cui una sola risposta non c’è) e plasma gli archi dei protagonisti. L’ossessione di Ellie per la vendetta, la ricerca di giustizia di Abby (non vediamo l’ora di questo face to face tra Ramsey e Dever) e la ferocia senza fine possono essere ricondotte a quell’unico, straziante momento. Quindi la morte di Joel è stata giusta? Ma chi decide cos’è giusto in un mondo in cui l’unico credo possibile è la sopravvivenza? Riformuliamo la domanda: la morte di Joel era necessaria per lo storytelling? La risposta è sì. Siamo pronti per i Future Days di una serie che può restare grande. Ma lasciateci qualche flashback di Pedro, almeno per abituarci all’idea.