Com’è che non ne sbagliano una, dalle parti di Apple TV+, è un mistero. Oppure no, se consideriamo l’equazione “bei giovanotty (sic, includendo) + lussuria da cibo + intrighi di palazzo + Francia + Napoleone Bonaparte”. Questa è la formula dietro Carême, la nuova serie originale della piattaforma, in arrivo il 30 aprile.
Il protagonista è Benjamin Voisin, vincitore di un Premio César e principino d’Oltralpe dopo l’interpretazione di Illusioni perdute (dove faceva la sua figura: vale la visione). À côté, cioè dalla parte destra, nobile e notevole, sta tutto il resto: il cibo, montagne di, godurioso e gargantuesco. In direttissima dalle cucine del palazzo di Napoleone, ché a un certo punto avranno anche mangiato brioche, prima di lui si intende, ma comunque il gusto per la tavola ai francesi non è mai mancato.

Foto: Apple TV+
A noi neppure. Mica solo per l’italianità: ormai siamo condizionati alla (e dalla) visione del cibo. Sui social, al restò, dans la rue. Ogni cosa è illuminata di piccoli faretti collocati per bene, allora è un vetrina. Qualcosa ce lo vogliono vendere, con il cibo è sempre difficile capire che cosa. Proviamo ad arrivarci con il giro opposto.
Ovvero partendo dalle avventure del magnifico Carême, Marie-Antoine meglio conosciuto come Antonin. Fu uno dei primi celebrity chef della storia (non dico il primo per ragioni che abbiamo già riassunto qui). Anche se, probabilmente, la definizione migliore per il personaggio sarebbe quella di gastronomo: uno che non solo c’aveva il gusto in cucina, ma pure il palato a tavola. Che, insomma, avrebbe funto da arbiter elegantiae di tutto un modo di intendere il cibo.
Con lui si raffina l’alta cucina, ecco forse, per meglio dire, comincia a mettere fuori il naso. Si pensa e si costituisce. Per inciso: dai ritratti, Voisin non sembra un mismatch, per Carême, quanto forse una sublimazione. Al suo fianco troviamo la “favorita” di Francia, Lyna Khoudri, amica nemica amante. La scena d’apertura della serie, loro due come statue morbide a intingersi di creme, è il Ghost di tutti i mangioni – come me: chiamiamo le cose con il loro nome.

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Presto però al dolce amore si sostituiranno gli intrighi amari: rivoluzione e contro-rivoluzione, il regno di Bonaparte non sta certo in campana. Tocca giocare d’astuzia, sempre e ovunque. Avere chi maneggia il cibo dalla propria parte, Storia insegna, è sempre prerequisito fondamentale. Carême lo vogliono davvero tutti (anzi, tutty): le donne, i funzionari, i collaboratori, ognuno per i suoi, immaginiamo validi, motivi. Lui vuole solo (o magari soprattutto) una cosa: far scarcerare il suo patrigno, colui che l’ha preso sotto la sua ala protettrice dopo la morte dei genitori e che gli ha insegnato il mestiere del pasticcere, da cui tutto ha inizio. È stato catturato con l’accusa di sovversione. Ma forse c’entra Madame de Stäel, notoria seducente pamphlettista. O piuttosto Charles-Maurice de Tayllerand-Périgord (Jérémie Renier), statista e diplomatico francese, prima uomo di Chiesa, poi tornato al secolo. Ha un segreto (come chiunque) che non vuole venga rivelato.
Per rimanere su di sé, Carême dovrà diventare come i suoi dolci: bellissimo all’esterno, divino all’interno, magari un po’ difficile da mandar giù. E destreggiarsi tra una battuta di spirito, una frase seducente, e quel terrore buio e di ghiaccio che stringe quando una parola detta in malo modo, o al momento sbagliato, potrebbe far crollare tutto. Nel suo caso, perfino la lama di una ghigliottina sul collo del suo patrigno.

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Liberamente tratta dal volume Cooking for Kings: The Life of Antonin Carême, The First Celebrity Chef di Ian Kelly, Carême è creata dallo stesso Kelly e dall’evidentemente italiano Davide Serino (The Bad Guy, M – Il figlio del secolo), e via che l’italico petto si gonfia nel poter vincere questa diatriba con i vicini – visto che ultimamente la bilancia sta un po’ in passivo, da queste parti.
Lo scopo non è, comunque, andare al centro della questione storica. Per meglio dire, non se ne sente la necessità, mettendosi davanti a questa serie tv. Se Carême non fosse mai esistito, la favola bella dello chef che spariglia tutte le carte – quelle della cultura, dei fornelli e pure della politica un po’ per piano studiato, un po’ per destino – avrebbe le carte, appunto, per attecchire. E qui torniamo al nocciolo: qualcosa ci vogliono vendere, in tutto questo bendiddio, che sia un croquembouche, sogni di avventure lontane, o, contorcendo un po’ il ragionamento, la nostra stessa passione per vedere le cose della tavola ben fatte, e golose. Aggiungeteci il dietro le quinte della situazione culinaria, ed ecco quell’equazione di partenza.

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Che poi magari alla fine è un algoritmo, una cosa progressiva che si replica e rigenera da sola. Trovato il funzionamento, lo ripropone. Ok: allora, che ci salvi. Dalla noia, dal brutto, dalle scontatezze che si ripropongono. Che ci porti davvero al fianco di Napoleone, e in questa precarietà ci renda felici, sazi ma sempre affamati. Carême, pensaci tu. Speriamo che questo stato di palese grazia per Apple TV+ non sfiorisca mai.