È giunta ieri la triste notizia che l’attrice Shelley Duvall è morta nel sonno per complicazioni legate al diabete. Aveva 75 anni.
“La mia cara, dolce, meravigliosa compagna di vita e amica ci ha lasciato”, ha dichiarato Dan Gilroy, il suo compagno di vita, in un comunicato. “Troppe sofferenze ultimamente, ora è libera. Vola via, bellissima Shelley”.
Duvall è stata una delle attrici più celebri e affermate degli anni Settanta. Robert Altman ha lanciato la sua carriera affidandole uno dei ruoli principali nel suo classico Anche gli uccelli uccidono (1970). Ha continuato a lavorare con lei negli anni successivi nei Compari, Gang, Nashville e Tre donne. Woody Allen le diede l’opportunità di mostrare le sue doti comiche in Io e Annie (1977), tre anni prima di riunirsi con Altman per interpretare Olivia Oyl accanto a Robin Williams in Popeye – Braccio di Ferro.
Ma la sua più grande impronta nella cultura pop l’ha lasciata poco prima di quest’ultimo film, quando Stanley Kubrick le affidò il ruolo di Wendy Torrance nel suo adattamento del romanzo horror di Stephen King Shining. Fu un film lungo e faticoso, in cui il personaggio della Duvall viveva in uno stato di isteria per gran parte del tempo.
“Affrontare giorno dopo giorno quel lavoro così straziante era quasi insopportabile”, disse Duvall a Roger Ebert nel dicembre del 1980. “Il personaggio di Jack Nicholson doveva essere sempre pazzo e arrabbiato. E io dovevo piangere 12 ore al giorno, tutto il giorno, per nove mesi di fila, cinque o sei giorni alla settimana. Sono stata su quel set un anno e un mese, e il giorno dopo la fine delle riprese ho pianto altre dodici ore… Dopo tutto quel lavoro, quasi nessuno o quasi ha parlato della mia interpretazione. Le recensioni parlavano solo di Kubrick, come se io non ci fossi”.
Una delle scene più famose si svolge circa a metà del film, quando la donna scopre che il romanzo a cui sta lavorando il marito non è altro che “il mattino ha l’oro in bocca” scritto più e più volte (un’invenzione di Kubrick assente nel romanzo originale). È costretta a difendersi con una mazza da baseball mentre lui si lancia verso di lei. “Wendy, tesoro, luce della mia vita”, ringhia Jack Nicholson. “Non ti farò niente. Solo che devi lasciarmi finire la frase. Ho detto che non ti farò niente. Soltanto quella testa te la spacco in due! Quella tua testolina te la faccio a pezzi!”.
Secondo la tradizione di Kubrick, girarono questa scena 127 volte. E secondo quanto dichiarato da Duvall, il duro trattamento che Kubrick le riservò sul set – raccontato nel documentario di Vivian Kubrick Making The Shining – contribuì ai problemi di salute mentale che l’attrice ebbe in seguito. Ma Duvall ha sempre insistito sul fatto che tutto questo non era vero. All’inizio di quest’anno, ha dichiarato al New York Times di avere un bel ricordo di quando mangiava da McDonald’s con Kubrick e giocava a scacchi con lui. Non lo ha mai incolpato per i problemi che ha avuto decenni dopo le riprese.
Ha anche detto di essere rimasta scioccata di fronte al film finito. “Ci sono state scene che non ho visto girare”, ha detto. “Avete presente la scena con le due gemelline in fondo al corridoio che poi si allontanano? E vedete cosa c’è dietro di loro? Era spaventosa, molto spaventosa…”.
Molti critici dell’epoca furono delusi dall’interpretazione di Duvall nel film. Fu persino nominata come peggior attrice ai primi Golden Raspberry Awards del 1981, premio poi vinto da Brooke Shields il suo ruolo in Laguna blu (John J.B. Wilson, ideatore del premio, ritirò la nomination nel 2022 dopo aver saputo come Kubrick l’aveva trattata sul set). E anche a Stephen King il film non piacque molto. “È così misogino”, ha detto a Rolling Stone nel 2014. “Wendy Torrance viene presentata come una specie di straccio urlante”.
La maggior parte dei cinefili oggi non è d’accordo con i critici cinematografici del 1980 e con lo stesso King. Il film è considerato un capolavoro dell’horror e l’interpretazione di Wendy Torrance da parte di Duvall viene celebrata pressoché da chiunque. Guardate ancora una volta la scena della “mazza”. Cercate di immaginare di vivere quella prova emotiva per 127 volte. È difficile pensare che qualcuno, a parte Duvall, ci possa riuscire.