Di sfratto in sfratto: una mattinata milanese | Rolling Stone Italia
sei ancor la festa mia

Di sfratto in sfratto: una mattinata milanese

Ieri, 15 maggio, l'ufficiale giudiziario avrebbe dovuto imporre lo sgombero del centro sociale Leoncavallo. L'ingiunzione è stata rinviata, e noi eravamo al presidio dei resistenti. A loro abbiamo chiesto perché gridare viva il Leo, sempre

Leoncavallo

La giornata del 15 maggio al Leoncavallo di Milano

Foto: Instagram

Nello slalom tra i nubifragi che funestano Milano in queste settimane, testimoni di una mutazione ambientale che ha donato un sapore subtropicale al clima delle ultime primavere, la giornata sembra essere benedetta. In via Padova, al civico 76, su un carretto sta venendo montato un piccolo sound, davanti uno striscione: «Basta sfratti e caro affitti. Casa per tutt3». Attaccati, altri cartelli gridano nel nitore della mattina: «Dove crescono gli affitti non crescono i bambini», «La gentrificazione sta soffocando le nostre famiglie», «Milano abbandona le famiglie fragili».

Oggi è il 15 maggio e il mio appuntamento dovrebbe essere alle 9, in via Watteau, per il presidio contro l’ingiunzione di sfratto al Leoncavallo. Ma è da qui che ha inizio questa giornata, da via Padova, da un altro sfratto che è parte, però, della stessa storia.

«Questa famiglia ha due figli, la più piccola va alla scuola dell’infanzia insieme alla mia ed è così che siamo venuti a conoscenza della situazione». Giacomo, professore e membro del comitato Abitare in via Padova – collettore di realtà sociali e singoli che da anni si batte per il diritto all’abitare nel quartiere – mi parla accorato dietro le lenti degli occhiali. È asciutto, teso ma energico, saluta ognuno di quelli che si stanno radunando per il presidio, sono le 7:45. «Vivono qui da più di dieci anni, avendo accettato da parte del proprietario un contratto in nero che oggi gli viene revocato. Il proprietario ha venduto a un fondo di investimento immobiliare e così loro risultano nella posizione di occupanti senza titolo, condizione che peraltro blocca per cinque anni l’accesso alle case popolari. L’unica opzione che gli rimane è un mese circa di stanza d’albergo pagata a metà con il Comune. Una follia».

Ma il quadro che Giacomo dipinge è più drammatico e vasto di così. La gentrificazione che sta colpendo tutta l’area a Nord di Piazzale Loreto, dice, ha una ripercussione diretta sul tessuto sociale della zona. Nella scuola del parco Trotter in cui vanno i figli di Giacomo, della famiglia in questione e di molti genitori presenti al presidio è in atto un fenomeno di spopolamento: i figli di famiglie sfrattate o costrette ad allontanarsi a causa del caro affitti vengono ritirati e sottratti così a un diritto fondamentale in un contesto educativo, quello della scuola del Trotter, noto per la sua capacità di gestire e armonizzare i bisogni di integrazione culturale della zona. La lesione di un diritto ne provoca un’altra.

«Il nostro obiettivo oggi è ottenere una proroga dello sfratto che conceda di arrivare almeno alla fine della scuola, ma il problema è strutturale. Come comitato ci stiamo muovendo da tre anni, non possiamo pensare che le soluzioni a casi come questo vengano poste in capo ai singoli, abbiamo bisogno di risposte politiche». La città che racconta Giacomo è una in cui la vetrina ha sostituito la rete sociale, in cui mancano persone in grado di svolgere servizi pubblici ed essenziali – nella scuola, per esempio, così come nei trasporti – perché respinte da condizioni abitative inaccessibili, fenomeno evidenziato anche da Sarah Gainsforth nel suo ultimo saggio sulla crisi abitativa, L’Italia senza casa. Ma se la città espelle coloro che la fanno funzionare, come fa a sopravvivere? Me lo chiedo mentre saluto Giacomo e mi dirigo verso il Leoncavallo. Il marciapiede si è riempito di persone, l’area è gremita e si respira fiducia in quest’azione solidale che otterrà un successo.

 

 
 
 
 
 
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L’ufficiale giudiziario giunto a Greco di prima mattina ha detto che no, non verrà sfrattato oggi il centro sociale più vecchio d’Italia, ma l’ingiunzione è rimandata al 15 luglio. Si festeggia in via Watteau, parte la musica. Suonano i Brucherò nei pascoli e segue un set tenuto dai Punkreas, storica band punk che proprio al Leoncavallo deve i suoi inizi; la gente è stipata tra il sound in mezzo alla strada, gli stand dei produttori agricoli che dalla Lombardia alla Toscana vengono a sostenere il presidio e i cancelli aperti del Leoncavallo. Tuttavia, mentre mi inoltro tra la folla alzo lo sguardo e lo vedo.

In mezzo al cielo terso e al rimbombo della musica si staglia come una minaccia il palazzone dirimpetto i cui lavori sono terminati da pochi mesi. Un gigante silenzioso, anonimo e grigio, espressione di quella città artefatta ed esclusiva che presentivo nelle parole di Giacomo. Visto da qui mi sembra un animale pronto a fagocitare tutti noi lì davanti, mi sembra essere una profezia negativa che dice: «Anche la vostra festa finirà». Mi scrollo di dosso questa sensazione, perdendomi tra la gente che balla e infilandomi nel cortile del Leo.

Agata ha 19 anni, studia Giurisprudenza ed è la voce più giovane all’interno del direttivo del centro sociale. Condivido il sollievo della proroga con lei, che però si mostra turbata. «In verità il livello di preoccupazione è molto alto, lo sfratto è rimandato al 15 luglio, d’estate, insomma, quando in città non c’è nessuno. Questa è una prassi abbastanza classica e di certo più conveniente che agire oggi». La mente mi corre febbrile a una mattinata di agosto del 2017, quando, rimasto solo a Bologna prima delle vacanze, avevo appreso del violento sgombero degli occupanti del Labàs di Via Orfeo, un posto altrettanto caro che nessuno aveva potuto presidiare, perché in effetti in città non c’era proprio nessuno.

«Ma oltre che per luglio dobbiamo dire che la preoccupazione è più generale sul futuro del Leoncavallo», continua Agata. «La proposta del Comune è uno stabile in zona Corvetto che ci verrebbe dato in concessione. Però è pieno di amianto e ha bisogno di una serie di interventi tali per cui secondo i tecnici non sarebbe utilizzabile prima di tre anni e con la questione dell’amianto è esclusa pure un’occupazione. Per ora non ci sono altre offerte».

Dal sound suona di tutto, dal twist al punk, da Caparezza ai Meganoidi – Supereroi contro la municipale –, saluto Agata e dopo un po’ cerco rifugio dal sole oramai alto sotto lo stand de La Terra Trema, la fiera enogastronomica che si tiene al Leoncavallo ogni anno dal 2007. «La nostra è una storia lunghissima», mi racconta Laura mentre chiacchieriamo all’ombra. «La Terra Trema è realizzata senza sovvenzioni e senza sponsor, siamo completamente autonomi e autogestiti ed è un modo per mettere in relazione città e territorio fuori da un’ottica di puro consumo. E chiaramente per noi il rapporto con il Leoncavallo e la dimensione dell’auto-organizzazione è imprescindibile e rimane la linea tracciante, penso che sia l’unica volta in cui puoi vedere degli agricoltori che vengono dai luoghi più disparati a presidio di uno spazio urbano come questo. Per noi è importante salvaguardare questa indipendenza».

In una città in cui la cultura si sta riducendo a una dimensione di profitto e consumo, controllata sempre più spesso da grandi fondazioni o sponsor privati, e in cui mancano spazi e laboratori culturali di libera fruizione – come ha rilevato la rivista Scomodo attraverso una recente campagna di indagine e sensibilizzazione – resta fondamentale la resistenza di spazi come il Leoncavallo e iniziative come La Terra Trema: lo ha ribadito anche Manuel Agnelli – in coda a molti altri artisti come i Subsonica, Gemitaiz, Neffa, Piotta – nella campagna a sostegno dello spazio occupato.

È ormai mezzogiorno e sotto un sole alto e leonino, mentre al DJ set subentra una gara di freestyle, mi aggiro curioso e assetato tra gli stand di cibo e vini, imbattendomi in Paletta, il bassista dei Punkreas appena smontato dal set. Gli chiedo che impressioni abbia sulla giornata e sulla situazione: «Noi Punkreas abbiamo iniziato la nostra vita musicale nel ‘91 proprio al Leoncavallo di via Leoncavallo. Per noi è inammissibile venire privati di un posto in cui sono cresciute delle generazioni, dove i primi stranieri hanno potuto imparare l’italiano e dove è stato possibile realizzare un’integrazione meravigliosa. Oggi però qui si è vista una cosa interessantissima: ci sono tre generazioni unite in una stessa lotta, quindi, un futuro, per lo spazio e per la città che vogliamo, secondo me c’è ancora».

Il resto del tempo trascorre tra amici, musica e buon cibo fino a che il caldo vince la maggior parte delle persone, che trovano rifugio tra i pioppi del cortile o nella mensa. La giornata è splendida, ma mentre mi allontano verso Greco non posso fare a meno di tornare con lo sguardo e il pensiero al palazzone che incombe su via Watteau e ai suoi simili che hanno infestato l’area. E agli esposti che dai loro inquilini sono arrivati contro il “rumore” del centro sociale.

Da via Padova al Leoncavallo, dalla casa agli spazi sociali, ben oltre Milano, è chiaro che la lotta è la stessa. Una lotta contro un’idea di città che passa per l’esclusività, per il lusso, per l’estrazione di profitto e per la disgregazione sociale, in vista di spazi diversi, fondati sulla cura e la partecipazione, la prossimità e la rete sociale. Una lotta che passa per tutti, in tutti i luoghi.

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