Steve McQueen, come essere il più cool di tutti | Rolling Stone Italia
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Steve McQueen, come essere il più cool di tutti

... indossando originali scarpe ortopediche. Novantacinque anni fa nasceva il re dello stile, che avrebbe codificato il guardaroba maschile per anni a venire. Anche grazie a calzature di dubbio gusto

Steve McQueen

Steve McQueen

Foto: Bettmann via Getty

Nel 1966 Steve McQueen prese da parte la moglie Neile Adams e con tono serio le disse: “Ci ho pensato su, pupa. Ho intenzione di costruire per noi un impero”. L’anno seguente ai Golden Globe vinse il premio come “migliore attore del mondo”: forse non era davvero così, ma di sicuro era il più amato. Era già entrato nella storia di Hollywood con La grande fuga e aveva ottenuto anche una nomination agli Oscar per Quelli della San Pablo. Ma il meglio doveva ancora venire. Nel 1968 la sua celebrità divenne senza pari con Il caso Thomas Crown e Bullitt. Divenne l’attore più pagato dell’industria cinematografica e giustamente credeva di essere in procinto di qualcosa di molto importante. Un impero, appunto.

Per gran parte della sua carriera è stato chiamato “Mr. Box Office”, cioè una garanzia di successo al botteghino. Aveva superato Marlon Brando e rivaleggiava solo con Paul Newman e Sean Connery. Ma ci sono stante anche profonde crisi, come il primo divorzio e il fiasco del film Le 24 ore di Le Mans. Anni brutti seguiti però da un grande ritorno con una serie di eccellenti interpretazioni: L’ultimo buscadero, Getaway!, Papillon e L’inferno di cristallo. Infine, l’autoesilio e l’ultima cavalcata del nostro eroe ribelle verso il tramonto e la morte in Messico per un cancro diffuso ormai ovunque.

Quell’impero che McQueen si era immaginato, emancipato dalle grandi major, che doveva prosperare grazie alla sua casa di produzione cinematografica, la Solar, e fare di lui un autore di cinema di prim’ordine, si rivelò un’utopia. L’idea e i presupposti erano buoni ma le cose andarono male, anzi malissimo. L’impero crollò presto a causa delle sue gravi dipendenze da droga, sesso e alcol, a cui va aggiunta anche la violenza verso chi gli stava più vicino, in particolare nei confronti della moglie. Tuttavia, in un modo o nell’altro, un impero – anche se non proprio quello che lui intendeva come tale – l’ha creato e gli è sopravvissuto. Per questo dobbiamo ringraziare proprio Neile Adams, compagna e consigliera impareggiabile nella vita del divo. In cosa consiste il suo lascito? Ovviamente nei film, ma non solo. I confini di questo dominio sono vastissimi, ciò nonostante, cercheremo lo stesso di delinearli attraverso alcuni particolari interessanti e poco noti.

Steve McQueen è una sorta di re mida della moda. È stato un vademecum vivente di tutto ciò che il guardaroba maschile dovrebbe assolutamente avere e ha introdotto stilemi mai visti prima. È stato furbo, l’ha fatto per distinguersi e c’è riuscito. Un esempio su tutti avvenne con La grande fuga. Il film è ricolmo di star: James Garner, Charles Bronson, James Coburn, Richard Attenborough. Tutti vennero eclissati dall’interpretazione esplosivo-passiva di Steve McQueen, ma soprattutto da qualche trucchetto che escogitò insieme alla moglie e al regista. James Garner aveva più battute, un maglione a collo alto bianco e guidava un aeroplano? Nessun problema. Steve McQueen tirò fuori un guantone e una palla da baseball, una moto e divenne il protagonista indiscusso (difficile ricordare altro del film se non le sue scene).

Tranquilli, questo non è il solito articolo sullo stile di Steve McQueen, era solo una doverosa premessa. A onor del vero, prima di lui c’era stato già qualcosa di rivoluzionario: Marlon Brando aveva sconvolto il pubblico in Un tram che si chiama desiderio per aver indossato una t-shirt attillata. James Dean e il suo fantastico ciuffo in Gioventù bruciata avevano proseguito nel segno aggiungendoci anche una giacca Harrington rossa. McQueen capì e ampliò. In ogni film, foto o comparsata introduceva qualcosa di nuovo, da un gesto a un indumento, tutte caratteristiche che poi sono diventare iconiche. Grazie alla sua passione per i motori riuscì ad associare la sua immagine a quella del pilota, una carriera questa che riteneva più dignitosa rispetto a quella cinematografica.

Il suo stile nel corso degli anni è stato vivisezionato ed esaltato in ogni dove e oggi è impossibile non incappare su Instagram in un post che vi faccia riferimento. Sinonimo della sua estetica sono ovviamente il G9 della Baracuta, i Persol pieghevoli con lente azzurra, l’orologio Tag Heuer e un’infinità di altre cose. Meno noti invece sono altri esempi, come il primissimo mezzo che ha avuto da giovane a New York, non una moto ma una Vespa, o la collanina di San Cristoforo con l’incisione “Partire è un po’ morire” (regalo della moglie) o il dopobarba che era solito usare, Eau Savage, responsabile, secondo uno studio dei soliti super scienziati, del suo successo con le donne (pare che la fragranza agisse nell’ipotalamo di queste liberando ormoni sessuali – come se gli occhi azzurri, le moto ed essere la quintessenza del ribelle non bastassero).

Nella prima parte della sua carriera si presentava alla stampa come un patriota dalla gioventù burrascosa ora finalmente diventato (in apparenza almeno) un marito e padre esemplare. Indossava eleganti abiti Brioni e Cardin ed era sempre ben pettinato a dovere dal parrucchiere delle star e amico Jay Sebring, il quale, tra un taglio e l’altro, lo riforniva anche di cocaina. Nei primi anni ’60 in Francia impazzivano già per “le style Steve Mac-Queen” ed era noto in qualità di affascinante cowboy grazie alla serie tv Ricercato: vivo o morto e al film I magnifici sette.

Aveva quindi preso la palla al balzo commercializzando dei jeans ispirati a quelli che indossava nella serie tv. Con l’avvento del fenomeno hippie e la crisi di mezza età cambiò tutto. Lo stile del periodo prese il sopravvento con folte basette sotto capelli ribelli, camicioni colorati, pantaloni a zampa e collane di perline. Nel 1970, durante le travagliate riprese in Francia di Le 24 ore di Le Mans, il suo comportamento era ormai fuori controllo: sesso, droga e un ego smisurato lo avevano corrotto. Via Air France faceva arrivare sul set gli amati hamburger insieme a scatoloni pieni di vestiti (per uso personale) con dozzine di t-shirt Fruit of the Loom, camicie in cotone chambray e pantaloni di velluto a coste.

I jeans arrivavano a colpi di tre o quattro dozzine, venivano poi affidati al reparto costumi che prima li lavava allo sfinimento, al punto di restringerli, e poi li trattava per farli sembrare usurati. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1980, il binomio con i capi d’abbigliamento (e non solo) è continuato diventando un vero affare. Oggi, di prodotti fregiati con la sua firma se ne trovano a bizzeffe, da ultimi una linea di occhiali da sole e una miscela di caffè, a cui si aggiungono svariate partnership, da Barbour a Red Wing. Il nome Steve McQueen funziona ancora moltissimo e i ricavi, come un tempo al botteghino, sono assicurati, per la felicità dei suoi eredi.

Veniamo ora al punto forte. Tempo fa, mentre mi aggiravo su internet guardando le immagini del mio idolo, sono incappato in un particolare che mi ha colpito. Nel 1965 Steve e moglie andarono a Montecarlo per assistere al Gran Premio. Vennero anche invitati a un ballo organizzato da Grace Kelly e dal principe Ranieri, evento che finì in rissa perché Freddy Heineken (quello della birra) fece la corte a Neile Adams, rischiando per questo di essere preso a pugni da McQueen. Comunque, durante il weekend della corsa i coniugi erano spesso a bordo pista accanto all’amico Stirling Moss, ex campione di Formula 1.

Il divo si era recato nel Principato per una vacanza ma soprattutto per raccogliere informazioni e spunti per il suo sogno: era già tormentato dall’idea di realizzare il film definitivo sulle corse automobilistiche (ci riuscirà ma sarà la sua rovina economica e matrimoniale, vedi sopra). Nel guardare le foto della pit lane rimango piacevolmente sorpreso dal fatto che Steve indossi un look semplice ed essenziale: cardigan, camicia button down, pantaloni con piega e ai piedi un paio di desert boot (forse Clarks?). Scorrendo nelle foto arrivo al giorno seguente e noto che indossa una comunissima polo Lacoste blu, ma la mia attenzione si concentra subito sulle scarpe, diverse dalle precedenti: queste sono tozze, con una suola alta, venosi rigonfiamenti nel dorso e stringhe laterali. Stupito inizio a indagare su che tipo di scarpe siano e soprattutto sul perché colui che viene chiamato “King of cool” indossi delle calzature così bizzarre (per non dire brutte).

Dopo aver divorato l’autobiografia della moglie Neile Adams – Mio marito, un amico – ottengo la risposta. Si chiamano Space Murray Shoes e, come la signora McQueen spiega, sono state le scarpe predilette da Steve. Scarpe ortopediche per la precisione, la cui strana forma ricorda delle Birkenstock, con una suola platform che farebbe addirittura presumere a un rialzo per l’altezza. In merito, l’autrice del libro smentisce subito la questione sottolineando il metro e ottantasei di Steve e specificando che erano le preferite perché davano sollievo dai dolori a gambe e ginocchia causati dai numerosi incidenti dell’allora spericolato marito.

L’acquisto venne fatto su consiglio di Danny Kaye, celebre attore e ballerino, che ne aveva ben 40 paia. Il fautore di questo miracolo plantare è il signor Alan E. Murray, già pattinatore professionista prima di diventare calzolaio di successo. Nonostante la sua dipartita, l’azienda è ancora in affari e le calzature, ora come allora, sono realizzate su misura, attraverso un calco in gesso, tenendo conto delle irregolarità di ogni piede. Esiste anche un sito ufficiale – peraltro molto scarno e con una user experience da brividi – dove viene citato Danny Kaye ma incredibilmente non si fa alcun riferimento all’attore con più stile nella storia del cinema. Un’altra cliente soddisfatta era la divina Greta Garbo, ma nemmeno lei viene citata.

A ogni modo, anche io ho qualche rogna con gambe e ginocchia e ci sono giorni in cui mi servirebbero proprio un paio di scarpe di questo tipo. Dovendo scegliere tra le tante sul mercato, come sottrarsi al richiamo di indossare lo stesso brand di McQueen? Sono sicuro che anche altri in caso di necessità farebbero la medesima scelta. Ecco, questo è l’impero di Steve McQueen: a 95 anni dalla sua nascita detta ancora la moda, dalle giacche alle moto, dagli orologi al profumo, e ora addirittura anche per le calzature ortopediche.

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