Glen Powell, Paul Newman, e tutte le loro salse | Rolling Stone Italia
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Glen Powell, Paul Newman, e tutte le loro salse

Non solo lo stile di recitazione: i due attori hanno in comune anche la passione per i sughi. Lo dimostra il nuovo brand dell’attore di ‘Top Gun: Maverick’ e quello storico, che in pochi ricordano, del bello dagli occhi di ghiaccio

Paul Newman

Paul Newman e la sua salsa

Foto: Yvonne Hemsey via Getty

Nessuno si è sorpreso quando a luglio scorso Paul Schrader ha indicato in Glen Powell come il nuovo Paul Newman, specificando che per consacrarsi come tale gli manca solo il suo Hud, cioè fare un film drammatico interpretando un carattere forte, arrogante e selvaggio. Nessuno ha inveito contro Schrader perché lui di cinema e di icone maschili se ne intende: ha scritto e diretto American gigolò. Ma ci sono altri elementi a sostegno di questa investitura.

Di certo Powell si sta impegnando in questo senso. Proprio come Newman è un sex symbol con un pizzico di ilarità, come dimostra la rom-com Tutti tranne te al fianco di Sydney Sweeney. Ed è anche furbo, visto che di recente ha deciso di avvicinarsi ancora di più al pubblico e all’icona di Paul con una personale attività imprenditoriale extra-cinema, vale a dire Smash Kitchen, una sua linea di salse biologiche a prezzi accessibili. Questo, in un primo momento, può non sembrare un elemento di contatto con Newman: invece lo è eccome. In Italia è poco conosciuta la sua passione culinaria e ancora meno il suo brand di salse (e non solo), ossia la Newman’s Own. Negli Stati Uniti, invece, in alcuni casi il divo era conosciuto più per i suoi prodotti sugli scaffali dei supermercati che per i suoi film al cinema.

 

 
 
 
 
 
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La storia delle salse di Paul Newman è come lui: affascinante e divertente. Tutto inizia quasi per scherzo, la settimana prima del Natale del 1980 nella sua casa di Westport, Connecticut. Paul e un suo vecchio amico, lo scrittore A. E. Hotchner, si trovano nel fienile della casa e sono circondati da un secchio pieno di birre Budweiser gelate, da alcune bottiglie di olio e di aceto ma anche da senape e spezie varie. Decidono di riempire un lavello con quanto a disposizione (tralasciando la birra, che invece bevono) e preparano un condimento per insalate riempiendo delle vecchie bottiglie di vino vuote. Il risultato verrà poi regalato agli amici durante il tradizionale giro per il quartiere a suon di canti natalizi. Il condimento fu apprezzato da tutti, e da qui cominciò un’avventura che divenne una realtà imprenditoriale di successo, arrivando a ricavare oltre 600 milioni di dollari. Un profitto considerevole reso ancora più significativo dal fatto che sono stati tutti donati in beneficenza.

Prepararsi da solo le salse non era certo una novità per Paul Newman. Spesso disgustato dai prodotti chimici che imperversavano all’epoca (e imperversano tutt’ora), preparava lui stesso qualcosa arrangiandosi con quello che poteva trovare nella cucina di casa o del ristorante, senza alcuna remora per il luogo o l’occasione: che fosse al celebre Elaine’s di New York o a un ricevimento di nozze, poco importava. Se gli veniva servita un’insalata con un condimento che non lo convinceva, andava in bagno, lavava le verdure e procedeva con quanto di fresco aveva a disposizione.

Lo spirito di questa impresa filantropico-culinaria può essere riassunto con le parole del socio A. E. Hotchner: «Ci sono tre regole per iniziare un business, fortunatamente noi non ne conoscevamo nessuna». In questa bizzarra avventura i due amici non furono supportati da ingenti fondi, né da una solida industria o da accurate indagini di mercato. Il capitale iniziale era ridotto, le degustazioni vennero fatte con un gruppo di amici (tra i quali Martha Stewart) e nessuna pubblicità venne pagata. I punti di forza erano: ingredienti freschi e naturali, profitti destinati interamente in beneficenza e il sorriso di Paul Newman. «La mia faccia sull’etichetta di una bottiglia di salsa per insalata? Nemmeno per sogno». Chi avrebbe però capito che era proprio lui quel Newman e non un omonimo? Inizialmente contrario, decise poi che era dunque necessario esporre la sua immagine, questa volta per qualcosa di davvero importante: non per un film, non per i soldi, ma per il bene di altre persone.

Nessun prodotto chimico e un pizzico di umorismo. Mantenere questi due princìpi non fu certo facile. I consulenti suggerivano di introdurre conservanti, ma Paul si rifiutò categoricamente. Voleva che fosse “tutto naturale”, così come indicato sull’etichetta (in italiano per giunta!). Il noto carattere guascone dell’attore fu visibile fin da subito: la scritta in latino “Nomen vide, optima expecta”, cioè “Vedi il nome, aspettati il meglio” e il suo volto radioso vennero stampati su ogni bottiglia, mentre nel retro si potevano trovare divertenti storie di fantasia sull’origine del prodotto.

Paul Newman

Foto: Facebook

Alla presentazione del condimento per insalate della Newman’s Own a New York, all’Hanratty’s Bar & Grill, avrebbe dovuto presenziare addirittura Luciano Pavarotti, e non come ospite. Il tenore avrebbe dovuto cantare una canzone, dal testo ovviamente spiritoso, creata per l’occasione. Purtroppo non potè partecipare, e toccò all’attore stesso esibirsi davanti alle telecamere e ai giornalisti. Nella prima intervista con il critico culinario del New York Times, Paul non si smentì, e spiegò la sua passione per il cibo in questo modo: «Alcune persone hanno sogni sessuali, ma io sogno il cibo, e quando mi sveglio voglio mangiare quello che ho sognato. Ciò significa che devo avere una dispensa ben fornita, perché non si sa mai cosa sogno… Anche per la salsa è stato così: la parte più importante in un solo sogno di una lunga notte, il resto in sonnellini pomeridiani».

A quel punto, i clienti non sarebbero stati gli amici o i vicini, ma sconosciuti che vagano nei supermercati, potenziali acquirenti che non vogliono essere delusi. Paul venne messo in guardia: «Senza offesa signor Newman, ma solo perché è stato apprezzato come Butch Cassidy non significa che apprezzeranno il suo condimento per l’insalata». Le cose andarono diversamente: fu un successo, e non perché l’uomo sull’etichetta era Butch Cassidy, ma per la qualità di quello che conteneva ogni bottiglia.

Così dopo il condimento per insalate arrivarono i pop-corn e i sughi per la pasta. Comparirono sugli scaffali diverse scelte, tra cui il sugo “Bombolina” reclamizzato con “il compagno intimo che la tua pasta non dimenticherà mai” e quello ai cinque formaggi accompagnato dallo slogan “say cheese”. In questo reparto fu inevitabile uno scontro tra superstar con Frank Sinatra. L’attore e cantante italoamericano aveva messo in commercio un suo sugo, forte della discendenza tricolore che pensava bastasse per vincere. Non fu così, perché al cliché venne preferito il sapore della Newman’s Own. Inoltre, bisogna ricordare che le due stelle erano personaggi percepiti dal pubblico in modo molto diverso: Sinatra incarnava Las Vegas, i casinò, i drink, le donne, Newman invece – grazie anche alla moglie Joanne Woodward – era una figura più tranquilla, di cui avere fiducia.

Anche Joanne partecipò attivamente alla Newman’s Own, non solo supportando come sempre il marito in ogni occasione, ma anche fornendo una ricetta di famiglia per una limonata che entrò così in commercio. Ormai non era più “solo” un attore, un sex symbol e un pilota di auto da corsa, ma anche un filantropo. La carriera in questo ammirevole settore venne premiata diverse volte e gli valse anche un Oscar onorario nel 1994. In tutto, sia con la Newman’s Own che con altre iniziative caritatevoli, riuscì a racimolare circa un miliardo di dollari.

Direte voi: troppo facile con Paul Newman sull’etichetta! Invece la fama di chi produce e reclamizza un prodotto non è sempre sinonimo di vendite. Abbiamo già detto che Sinatra fece un fiasco con il suo sugo, ma accadde lo stesso anche con la sua linea di cravatte alcuni anni prima. Tuttavia, gli va riconosciuto il merito di una sagace risposta al giornalista che gli chiese se il suo sugo avrebbe avuto più successo delle cravatte: «Ci puoi scommettere, questo va giù per la gola, non intorno ad essa».

Altri esempi di fallimenti culinari celebri furono i sughi di Rocky Graziano, famosissimo pugile italoamericano campione del mondo (che tra l’altro Newman stesso interpretò nel film Lassù qualcuno mi ama), e la salsa bbq di Mickey Mantle, leggenda del baseball dei New York Yankees. Ma la lista è lunga.

La Newman’s Own è ancora oggi in attività, con un catalogo di prodotti variegato che comprende addirittura cibo per cani. Il segreto del suo successo è stato quello di rimanere fedele allo spirito di quel Natale del 1980, uno spirito scanzonato e sincero che ha spinto due amici a imbottigliare un gustoso intruglio naturale con il solo intento di fare felici i propri vicini.

Glen Powell questo l’ha capito, almeno in parte: la sua Smash Kitchen produce salse biologiche a prezzi convenienti e affonda il suo concept nei ricordi di famiglia, ma i profitti vanno tutti nelle tasche sue e dei suoi soci. Se vuole davvero diventare il nuovo Paul Newman, oltre a fare la sua versione di Hud il selvaggio, come diceva Schrader, dovrebbe dare tutto in beneficenza e farlo con un bel sorriso. Come faceva il divo dagli occhi di ghiaccio.

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