Intervista senza titolo ad Aldo Nove per non fargli perdere di nuovo il lavoro | Rolling Stone Italia
Di lotta e di poesia

Intervista senza titolo ad Aldo Nove per non fargli perdere di nuovo il lavoro

Ma ovviamente lui ne ha per tutto e tutti, dal sistema che crea personaggi e poi li vuole quieti ai trapper che «sembrano letteralmente dei subnormali». Una conversazione sulla poesia e chi la uccide

Intervista senza titolo ad Aldo Nove per non fargli perdere di nuovo il lavoro

Aldo Nove

Foto: Dino Ignani

Aldo Nove non ha mai avuto paura di guardare in faccia l’abisso. Né di caderci dentro. Con Inabissarsi (uscito per Il Saggiatore) lo fa di nuovo, più a fondo di prima e senza salvagenti. Ne viene fuori un libro urgente, spirituale e ruvido. Un’opera che è insieme saggio lirico, memoir e testamento per un Paese che sembra aver dimenticato la propria lingua madre: «La poesia non consola, ti consuma».

Lo abbiamo intervistato nel momento in cui la discografia gli appare implosa, le intelligenze artificiali scrivono versi e Franco Arminio, a suo dire, ha portato al successo «un canone dove basta andare a capo». Così rimarca la deriva della musica trap («è da deficienti, non è neppure suonata»), la censura («non siamo per nulla liberi»), la standardizzazione dell’arte («è diventata intrattenimento»). Ne ha anche per i giornali: «Il Corriere della Sera è come il Vernacoliere». E ci rivela il peso reale di certe prese di posizione: «Dopo la scorsa intervista ho perso lavori e anche il libro con Battiato. Hanno scritto su Wikipedia che ero un complottista e da lì è partito tutto».

Nel presentarci il suo inabissamento parla con la grazia brutale dei poeti e non fugge di fronte all’attualità. Parla di Morgan («artista vero, ma per esserlo bisogna uscire dal mainstream»), Bugo («Alice nel paese delle meraviglie e anarcoide»), Giovanni Lindo Ferretti («ha scritto cose bellissime e se ne frega della coerenza»), affronta la politica spiegando cosa pensa di Trump, Musk, Meloni, Schlein mentre cita Nanni Balestrini e Dorothy Parker, Edoardo Sanguineti e Milo De Angelis. Il risultato? Un confronto con uno degli ultimi intellettuali rimasti in Italia. Costretto dal 2022, suo malgrado, a vivere grazie alla Legge Bacchelli per difficoltà economiche e problemi di salute. E perché, purtroppo, «oggi anche la poesia è diventata un lusso».

Aldo ci ritroviamo sempre quando c’è di mezzo Trump…
No comment.

Ci torneremo. Intanto come stai?
Oggi sono contento, l’ho scritto anche su Facebook, sono arrivati tutti insieme i vinili che avevo ordinato nell’arco di vari giorni.

Dal tuo post: L’Egitto prima delle sabbie di Franco Battiato, Restoration e Kum di Giusto Pio, Live at Troxy di Fever Ray, ANBB di Alva Noto e Blixa Bargeld, Insen di Alva Noto e Ryūichi Sakamoto, Time to Lose e Half-Mute dei Tuxedomoon, Into the Labyrinth dei Dead Can Dance e Fossora di Bjork. E aggiungi: «Lo so, manca Tony Effe…».
Consiglio, in particolare, ANBB di Alva Noto e Blixa Bargeld. L’ho trovato sconvolgente. Effettivamente, in questa lista manca Tony Effe. Ma anche Rose Villain, Fedez e Lucio Corsi, che tutti dicono essere bravissimo. Vero, non essendoci nient’altro di buono.

A Sanremo Lucio Corsi è arrivato secondo, Brunori Sas terzo, primo Olly con un brano lontano dalla trap. Qualcuno ha visto nel podio una rinascita del cantautorato. O no?
Rinascita mi pare eccessivo. Mi sembra un ritorno almeno alla decenza. Io sono piuttosto radicale. Anche Olly è carino, ma quello che è carino a me non piace. Sanremo non l’ho guardato, ho smesso quando il mio amico Bugo ha abbandonato il palco nel 2020.

Bugo, che ha lasciato la musica pochi giorni fa con un concerto all’Alcatraz di Milano.
È commovente la sua volontà di chiudere con il carrozzone della musica contemporanea che «mi butta giù», come cantava un certo Franco Battiato. Lucio Corsi mi è arrivato tramite i social. Un amico mi ha mandato due pezzi e lo trovo dignitoso. Gli assegno un’ampia sufficienza.

Tu che lo conosci bene, ci credi che Bugo lascerà davvero la musica?
Bisogna vedere se sarà vero. Potrebbe anche essere una bugia. Intanto avevo sentito fin dall’inizio, ma era una sensazione mia, che Cristian ha grande sensibilità e sincerità. Un po’ Alice nel Paese delle meraviglie, ma con uno spirito anarcoide. Ha fatto delle mosse non commercialmente utili o furbe, e credo che questo, sotto diversi aspetti, abbia unito sia Bugo che Morgan. E forse non è un caso se si erano ritrovati insieme a Sanremo. Per queste personalità, che fanno una vera ricerca nella musica, che è più redditizia della poesia, ci sono anche più pressioni, condizionamenti e quindi meno libertà.

Ultimamente anche Morgan non attraversa un momento positivo dopo le accuse di stalking e aver perso tutti i contratti di lavoro.
Morgan è un vero artista. Ha una tendenza all’eccesso e a renderlo pubblico. Nel frattempo credo che la sua sofferenza sia reale e che, da artista, oggi non possa esprimere appieno il proprio potenziale. Oppure, deve abbandonare il mainstream. È difficile mantenersi se non fai il giudice di un talent. Non è una critica a Morgan, ma su come è congegnato il sistema odierno. Crea dei personaggi e poi li vuole quieti. Ma un lavoro di ricerca implica la sovversione dei canoni e la contraddittorietà. Tutto questo non è capito dalle masse. L’artista è sempre stato fondamentalmente solo, anche quando raggiunge il successo. Persino Andy Warhol, che ha avuto un successo enorme, era molto triste e solo.

«L’eccesso di digitale, di tecnica, di scorciatoie ci sta portando a credere che non serva più sapere, studiare, approfondire»

In Inabissarsi citi Giovanni Lindo Ferretti: “Certo le circostanze non sono favorevoli – e quando mai – Bisognerebbe / Bisognerebbe / Niente. Bisogna / Quello che c’è / Bisogna il presente”. E poi commenti: “Guardare dritto in faccia l’orrore della realtà…”.
Gli spiriti creativi sono inquieti. Basta ascoltare CCCP e CSI. Ho inserito Ferretti, anche se non è considerato puramente un poeta, perché anche cantante, ma ha scritto cose bellissime.

È stato molto criticato per le sue svolte, in particolare quelle politiche.
Sì, ma se ne è sempre fregato. Le sue canzoni sono state profondamente religiose, ma allora si ballava senza capire il reale significato. C’è una differenza tra la coerenza del personaggio e quella della persona. Se fai ricerca, rischi anche di cadere in contraddizione. E lui ha rischiato spesso e volentieri. Ma scusa, se non rischiano gli artisti, chi dovrebbe mai farlo?

C’è qualcuno fra rap e trap che salveresti?
Salmo, Thasup e Achille Lauro, che almeno sembrano avere qualcosa da dire. Ma la trap, in generale, è piena di valori come auto e orologi di lusso, figa e ostentazione criminaloide. E anche le donne, come Anna, cantano le stesse cose. Lo facevano anche i Club Dogo però almeno non venivano dall’oratorio. Oggi è musica da deficienti, tanto che non è neanche suonata. Prima stavo ascoltando William Basinski e pensavo che oggi non esiste una canzone italiana, se non assolutamente marginale. Bisogna tornare a Giorgio Canali, o a figure irregolari che possono ancora donarci qualcosa. Ma la musica italiana dov’è? Boh.

Alcuni studiosi trovano elementi rilevanti nei testi trap.
A me sembra un fenomeno tra il merceologico e lo psichiatrico. Qualcuno come Salmo, Lauro o Thasup sembra voler dire qualcosa di più, ma poi sono completamente dentro il sistema. Infatti collaborano con chiunque.

Se dovessi fare un’analisi dei testi trap?
Ci sento soltanto delle assonanze del cazzo, delle parole troncate senza motivo: sembrano letteralmente dei subnormali. In questo mi trovo in linea con Andrea Scanzi, ma semplicemente perché la musica di consumo oggi fa male, anche a chi la produce.

«La trap è da deficienti: sembrano letteralmente dei subnormali»

Inabissarsi invece è un libro che andrebbe letto nelle scuole, visto che recupera e fa conoscere i grandi poeti che hanno formato la nostra cultura.
Grazie! È quello che volevo fare. Ci ho messo parecchio, ho ricominciato il libro tre-quattro volte cercando una formula. Non volevo scrivere un saggio. Poi un giorno mi sono detto: ma raccontati, l’hai già fatto. Come ne La vita oscena, perché la vita di tutti noi è sfaccettata, almeno mi auguro. È stato bello perché io stesso, mentre scrivevo, ho riscoperto parti della mia stessa vita. E mi ha fatto ricordare cosa tiene insieme un po’ tutto: l’amore per quella roba lì un po’ strana che ogni tanto va a capo, ma non necessariamente.

Nel volume esprimi un profondo disincanto verso la società attuale, che ti appare dominata soltanto dalla finanza e dal consumismo che hanno sostituito l’umanesimo. L’unica forma di contrasto a questa deriva è la poesia?
Sì, perché ricordando non potevo distogliermi dal presente. Avevo delle cose da dire e le ho dette. L’importante è che la poesia non si faccia fagocitare. Già lo fa con la pubblicità, che usa tecnicamente questo tipo di linguaggio. Un altro discorso è quando la poesia diventa mainstream e si trasforma in intrattenimento. Non ho niente contro l’intrattenimento, solo che ci dovrebbe essere anche uno scavo interiore. Che è sempre individuale, anche se ciò non toglie che poi diventi condiviso da tanti altri individui. In un momento in cui la ricerca libera ha subito momenti di sconquasso, purtroppo, in questa epoca anche la poesia è un lusso.

Come mai?
Non vorrebbe esserlo, ma implica la necessità di ricerca personale e di tempo, che vanno in contrasto con l’epoca che stiamo vivendo che è molto veloce. Invece la poesia è inevitabilmente lenta, sia nella sua costruzione sia nella sua ricezione. Non è qualcosa da gratificazione immediata come può essere un post. E non mi riferisco all’album di Björk.

Qual è stato il tuo primo approccio alla poesia?
In un modo molto comune. Il primo amore è stato Gianni Rodari con la formula della filastrocca. Quella musicalità del testo è solo della poesia. Ero un bambino molto timido e chiuso. Oggi mi definirebbero problematico. Stavo sempre da solo e leggevo tantissimo, tutto quello che potevo. In particolare libri scientifici, naturalmente quelli per bambini. Caspita, in quei libri ho compreso che c’è tutto un mondo intorno, come cantano i Matia Bazar. Avevo circa 5-6 anni quando ho intercettato la poesia, un incontro fantastico con la sua assoluta semplicità e allo stesso tempo profondità e ricchezza. Che poi mi ha incuriosito con quel particolare “manca sempre qualcosa”. In seguito si è concretizzato quando ho approcciato con la poesia dell’epoca, che era quella sperimentale. Quindi l’incontro con quello che, per me bambino, era davvero magico. Tutti gli altri libri spiegavano qualcosa, invece qui cosa spiegano? Una magia che forse intuisce molto più facilmente un bambino che un adulto. Perché nell’adulto scattano tutta una serie di etichette che il bambino invece non ha.

Hai raccontato che il tuo maestro, Nanni Balestrini, ti disse: «Non andare a capo così vendi di più». Ma come mai poi torni sempre alla poesia?
Credo che ci sia una affinità elettiva con Balestrini, che ha sempre alternato poesia e prosa. Ma molta prosa di Nanni può essere definita poesia, e non viceversa. Io stesso non ho mai smesso di scrivere e insegnare poesia. La frase che hai citato di Balestrini è abbastanza da prendere alla lettera. Quando uscì Woobinda, che ebbe una grande eco, quasi nessuno si accorse che era composto da una lunga serie di endecasillabi, senza però andare a capo.

Con Franco Arminio, che oggi è considerato una rockstar della poesia, in che rapporti siete? Prima l’hai difeso, poi l’hai criticato. E adesso?

No, non l’ho mai difeso. Avevo scritto un post in cui dicevo quello che dicono tutti: che il suo lavoro come paesologo è molto interessante e che la sua prima raccolta, una scopiazzatura dell’antologia di Edgar Lee Masters, era un buon libro. Poi ha cominciato a istituire una sorta di canone, attraverso il quale puoi dire qualunque cosa perché basta andare a capo. A questo ha aggiunto le serate karaoke poetiche o le poesie in cambio di un salame e un formaggio. Fin qui è tutto folclore e va bene, ma finché non tende a diventare un canone. Diventando canone ha fatto sì che escano migliaia di libri di poesia all’anno sull’onda del suo successo. Se fai il musicista devi saper accordare una chitarra? Invece così basta scrivere: “Cara mamma / vorrei dedicarti una bella poesia / per te / perché ti voglio bene”. Ma questa non è poesia, è una cagata.

Arminio ha mai risposto alle critiche?
Mi ha scritto un paio di lettere, tutte sul personale, dicendo che mi ha sempre stimato e chiedendomi perché lo attaccassi, ma invece di scrivermi queste lettere sarebbe stata l’occasione per imbastire un discorso, un dibattito. Un tempo veniva definita dialettica. Io non ce l’ho con Franco Arminio. Ce l’ho con il successo che sta avendo. Lui e non Dante. Lui e non Montale. Lui e non Patrizia Valduga. Io mi metto da parte. E le conseguenze sono di fortissimo abbassamento del livello della poesia che circola. Per godere delle quartine e degli endecasillabi della Valduga devi sapere che cos’è una quartina e anche un endecasillabo.

Ai giovani cosa consiglieresti, visto che la poesia non è un ambito nel quale è così facile potersi mantenere?
La conoscenza integrale de La storia della letteratura italiana di De Sanctis. E avere idea di un processo storico e dei suoi mutamenti. Non si può stare nell’assoluto immediato se non c’è una tradizione dietro. Io ero appassionato di tutto, ma ci sono degli imprescindibili. I nomi che faccio sono quelli conosciuti: Dante, Petrarca, Foscolo. Poi la triade Carducci, Pascoli, D’Annunzio. Da lì in poi ognuno può iniziare un proprio percorso di ricerca personale.

C’è ancora un mercato che permetta a un poeta di poterci vivere?
È un po’ complessa la risposta a questa domanda. Andiamo indietro di cento anni. Il livello di scolarizzazione era bassissimo, poche persone sapevano leggere e scrivere. Il magnifico conte Giacomo Leopardi era un ultra privilegiato, oltre che un caso umano per colpa anche delle scelte del padre, che aveva capito di avere un figlio geniale. Oggi tutti hanno le basi per scrivere, anche se poi non so cosa scrivano. Si scrive anche troppo. Con la scrittura privata, dove butti fuori, in base al temperamento e agli studi, si può costruire qualcosa che susciti una empatia per creare una comunità di esseri che riflettono, ma serve anche la tecnica.

Riceverai molto materiale da aspiranti poeti. Qual è il livello?
Continuo a riceverne da tante persone che scrivono con il cuore. Ma non si scrive solo con il cuore, perché siamo legati anche a delle tecniche. Puoi dire a una persona «ti amo», che è la massima espressione per intensità. Ma da lì in poi serve ben altro. Sai quante persone mi danno il loro libro, solo che se gli chiedo «cos’hai letto prima?» questi mi rispondono «niente»?

L’ispirazione è nulla senza preparazione?
Mi torna alla mente Edoardo Sanguineti, quando disse: «Oggi il mio stile è non avere stile». Che è semplicemente il fatto di riuscire a porti con tutti i problemi che, inevitabilmente, nell’ambito dell’umano questi suscitano. E il fatto che gli altri percepiscano l’approfondimento di un pensiero, di un percorso. Ma perché dall’altra parte questo avvenga, ci vuole una consapevolezza tecnica. Prendiamo lo scandalo che suscitò il cubismo. Se vediamo le prime opere di Picasso erano piuttosto tradizionali. Ma solo una volta che conosci la tradizione, in seguito puoi addirittura sfasciarla. Prima, però, devi conoscerla bene.

C’è un altro aspetto che emerge da Inabissarsi: l’ombra del suicidio. La poesia non conforta?
Assolutamente no. L’idea melensa della poesia che ti consola è quasi opposta al grande lavoro di scavo interiore che sarebbe necessario per arrivare alla vera poesia. Più scendi dentro te stesso, più incontri quella che Jung chiamava l’ombra. Si tratta di parti oscure dove bisogna muoversi con estrema delicatezza, perché è facile che ci si perda. È qualcosa che possono constatare tutti, cioè di quanti poeti sono arrivati a togliersi la vita.

Su questo tema è interessante il libro di Claudio Morici, La malattia dell’ostrica, dove ripercorre le vite tragiche di molti artisti e fa capire come quella che per tutti è la perla, per l’artista, come per l’ostrica, è il tumore.
Ricordiamo lo Zarathustra di Nietzsche, che era scritto in versi. Credo che lui sia talmente sprofondato nei suoi abissi che poi si è perso. Non c’è stato un suicidio, ma negli ultimi anni di vita ha avuto la perdita totale di quel pensiero così ricco. La vera ricerca poetica spinge, inevitabilmente, sull’acceleratore. Più vai veloce e più è facile andare a sbattere.

Dalla biografia della tua pagina Facebook: “Suicidarsi in questa congiuntura è assurdo. Meglio diventare un poeta semisegreto”. Da Roberto Bolaño.
C’è anche una poesia di Dorothy Parker che recita: “I rasoi fanno male, i fiumi sono freddi, l’acido macchia, le droghe danno i crampi, le pistole sono illegali, i cappi cedono, il gas è nauseabondo… Tanto vale vivere”. È una posizione un po’ schopenhaueriana, pessimista, ma solo apparentemente. Nel senso che c’è tantissimo nella vita e dentro di noi. Si può scegliere di andare oltre alla mera superficie, oppure, come nella maggioranza dei casi, ci si può chiudere e adattarsi a degli standard. C’è un libro molto bello che consiglio di leggere sul tema, un po’ nell’ambito dell’esoterismo: Il regno della quantità e i segni dei tempi di René Guénon. Che cos’è la cultura, se non elaborazione di informazioni? Ecco, noi oggi riceviamo troppe informazioni, a meno che uno non riesca a vivere da eremita.

Tra tutti i poeti che affronti, e che ti hanno accompagnato nell’inabissamento, ce ne sono alcuni che ritieni più adatti a interpretare l’epoca che stiamo vivendo?
Milo De Angelis e Nanni Balestrini. Metterei anche Mario Benedetti. Sono stati miei maestri. Benedetti non l’ho mai conosciuto, ma per me ha una grande forza e molto da dire oggi.

Viviamo in una società apparentemente libera, ma nella quale hai detto di essere stato bloccato sui social una cinquantina di volte per aver espresso il tuo pensiero.
Non siamo per nulla liberi. Il livello di censura è altissimo. Staremo ora a vedere cosa farà il presidente degli Stati Uniti attuale, che vuole ristabilire la freedom of speech, e con Zuckerberg che è obbligato a bloccare i fact-checker. Negli anni ’60-’70, ma anche negli anni ’80 e ’90 c’era molta più libertà di espressione. Noi oggi abbiamo appena attraversato un periodo nel quale, se dicevi una parola tra quelle non consentite, potevi essere lapidato. C’è una censura fortissima, mentre c’è una grande libertà nel blablabla. Nell’epistolario di Sandro Penna, che era un emarginato, amico di Saba e Montale, quindi dopo il ’22, in una poesia c’era la parola pompino. Sia Montale che Saba lo invitarono a toglierla, ma alla fine uscì su un giornale dell’epoca e quello scritto è anche stato esaltato dalla critica. Non ha senso dire che siamo messi peggio oggi rispetto all’epoca del fascismo, perché è cambiato tutto, quello che è certo è che devi stare molto attento a quello che dici e che scrivi.

«Ho parlato con Battiato di un libro da fare assieme, ma il progetto si è arenato dopo l’intervista a Rolling Stone»

È vero che dopo la nostra precedente intervista hai perso diversi lavori, oltre alla possibilità di scrivere un libro con Franco Battiato e non solo su Franco Battiato?
È vero. Quando mi è venuta l’idea di quel libro l’ho sottoposta a Battiato e gli piaceva molto. Come artista l’avevo scoperto per caso, ho iniziato ad ascoltarlo nel ’72 quando in pochissimi lo ascoltavano nell’ambito del progressive. Per me era una figura di culto, che mi ha accompagnato nelle mie ricerche. Quando l’ho conosciuto e mi ha detto di avermi letto, per me è stato sconvolgente. Del libro su di lui ne abbiamo parlato assieme, ha visto la scaletta e letto il primo capitolo. Avremmo dovuto risentirci, pensando persino a un libro intervista. Poi, dopo quella tua intervista, il progetto si è completamente arenato. Sono andato avanti, ma quello che doveva diventare un libro con Battiato è diventato un omaggio a Battiato.

Come te lo spieghi?
Se vai su Wikipedia, qualche tempo fa, qualcuno ha scritto «poi è diventato un complottista». E da lì è partita tutta quella narrazione. E di conseguenza mi hanno trattato. Lo stesso trattamento che riservano testate come Repubblica, il Corriere o La Stampa, tutti giornali con i quali ho collaborato per anni e ora neanche mi citano. È anche vero che li attacco un giorno sì e uno no per tutte le cazzate che sparano, sono veramente imbarazzanti. Ricordiamoci che, mentre la Russia avanzava sull’Ucraina stravincendo, quei giornali raccontavano che i russi non avevano più le calze nella neve e combattevano con le pale. Solo che dopo un po’ la gente ha capito il loro gioco. Il Corriere ormai sembra una specie di Vernacoliere.

Non deve stupire, quindi, se sui social spesso sei d’accordo con Marco Travaglio?
Travaglio è il miglior giornalista italiano. Al di là di come la pensi, mi dà piacere leggerlo.

Sei ancora cattocomunista e tradizionalista, come ti sei autodefinito?
Il termine cattocomunista è complicato da spiegare nella società attuale. Ma c’è un tale caos che la tradizione è qualcosa a cui è ancora piuttosto salubre ancorarsi.

In questo inabissarsi, per stare in tema con il tuo libro, la politica non contribuisce alzando il livello del dibattito. Come ti spieghi una classe dirigente così svuotata?
Devono fare propaganda perché se non la fanno dopo poco vengono sostituiti. Devono dire soltanto cazzate, ma non sono neanche così sicuro che ci credano davvero… Parlo in generale, perché penso che valga un po’ per tutti: da Donald Trump a Giorgia Meloni e Elly Schlein. Non è nemmeno colpa loro: è il sistema che oggi funziona così.

Elly Schlein è stata criticata persino da Elodie, che l’ha accusata di avere poco carisma.
Elodie dovrebbe preoccuparsi di cantare con la voce e non con altre parti del corpo. Vedi che mi fai dire cose sconvenienti? Siamo talmente in un vuoto cosmico che è difficile ragionare.

Eppure oggi abbiamo diverse donne al potere, dopo che sono state invocate per anni, ma certe dinamiche non sembrano cambiare. Giorgia Meloni come la consideri?
Come una che ha detto per anni certe cose e poi si è rimangiata tutto. In particolare in rapporto con gli Stati Uniti. Lei si muove in equilibrio, ma in fondo gli italiani sono sempre stati equilibristi, quindi è in linea con lo spirito italico. È la solita storia: Franza o Spagna, purché se magna. Per me non c’è mai stata differenza tra uomini e donne. E lei sta affrontando un periodo storico molto complesso. Le rivolgo i miei più sinceri auguri.

Forse è anche la tecnologia che ci ha portato a una semplificazione estrema?
È questo eccesso di digitale, di tecnica, di scorciatoie, che ci sta portando a credere che non serva più sapere, studiare, approfondire. Non ci aiuterà l’intelligenza artificiale, né in politica né in poesia né in musica. Come con l’Auto-Tune: se non sai cantare lo fa lui per te.

Foto: Dino Ignani

All’inizio dell’intervista ti sei trincerato dietro a un no comment su Trump, ma in passato hai detto che era l’unica «resistenza in questa Terza guerra mondiale». Ora che è Presidente?
È un nuovo no comment in attesa di fatti. Ma i fatti succedono a una velocità incredibile. Non capisco in questo momento quale strategia stia adottando. L’aspetto positivo è che non mi sembra un uomo di guerra, ma un affarista. E questo è buono. Meglio fare affari che uccidersi, no? Il quasi duopolio Trump-Musk mi lascia perplesso e mi inquieta un po’.

In pochi si sarebbero aspettati, per esempio, che uno come Elon Musk arrivasse ad avere un ruolo istituzionale. Che sia un genio è indubbio, ma ci pensiamo a Leonardo da Vinci ministro delle Infrastrutture che casino avrebbe potuto combinare?
Il genio, spesso, inizia le cose e poi non le finisce. Perché le anticipa. È un fuoriclasse. In politica, invece, serve stare nella classe e organizzare tutto al meglio. Leonardo da Vinci alle Infrastrutture sarebbe un disastro. Avrebbe progettato bombe, feste in maschera, scritto poesie porno e altre sublimi. Andava bene alla corte di chi lo manteneva per progettare sistemi idraulici. Oggi qualcuno direbbe «è un genio, mettiamolo lì». Poi però sarebbe un macello.

Se un giorno ti capitasse di incontrare Elon Musk, cosa gli chiederesti?
Gli chiederei del rapporto con suo padre. E che cosa ha significato per lui aver subito quello che ha subito da piccolo. Lui era obeso e lo bullizzavano. È una storia molto complessa la sua. Per dimostrare al padre che era intelligente, un bel giorno, ha deciso che nella vita sarebbe diventato un genio. E ce l’ha fatta. Se potessi parlargli mi concentrerei sul suo privato. Cosa accade nella vita di una persona per far sì che alla fine diventi Elon Musk.

Non sarà che, in generale, siamo nel bel mezzo di una crisi della democrazia?
Esatto, si può condensare come una crisi del modello democratico dopo la caduta degli ideali. È una buona sintesi, ancora di più se unita alla crisi dell’ambito economico, cioè del modello liberista. Il sistema è in crisi. E non credo che il futuro sarà quello che possa prospettare Javier Milei in Argentina, un altro liberismo selvaggio. Mi pare che sarebbe più importante provare a stabilire dei valori comuni, ma soprattutto che non siano solo quelli finanziari.

«Elodie dovrebbe preoccuparsi di cantare con la voce e non con altre parti del corpo. Vedi che mi fai dire cose sconvenienti?»

Prima di salutarci ti chiedo qualche curiosità. Come mai, dopo tanti anni, hai lasciato Milano per trasferirti in Calabria?
Sono arrivato a Milano quando c’era la tanto deprecata Milano da bere, ma significava anche molta cultura, molto teatro off, molti locali con spettacoli dal vivo. Oggi non ritrovo nulla di quella città. Sono venuto in Calabria, invitato da amici, e mi sono stabilito qui. Non sto in una città come Reggio o Catanzaro, ma a Melicuccà, dove è nato il grandissimo poeta Lorenzo Calogero che è stato ingiustamente dimenticato. Con un festival ho portato qui, in questo piccolo paesino della Calabria, metà della poesia italiana e spero di rifarlo ancora.

Tra i poeti che hai valorizzato c’è anche Franco Costabile.
Certo, perché in questa terra ci sono almeno due grandi poeti dimenticati. Le antologie storiche dimenticano spesso Lorenzo Calogero e Franco Costabile. Di mio ho fatto quello che ho potuto per tornare a promuoverli. Amo la poesia, mi piace che si condivida, che abbia vita.

E da qualche anno ti è stata riconosciuta la Legge Bacchelli. Quando è uscita la notizia, nel 2022, ha stupito in molti, visto che sei uno degli autori più famosi in Italia.
Quando ho avuto una combo di malattie croniche ho chiesto a un amico, uno dei più grandi artisti italiani riconosciuti nel mondo come Mimmo Paladino, se avessi potuto chiedere la pensione di invalidità che è pari a 600 euro. E lui mi ha detto: aspetta, fammi verificare. Si è informato e mi ha proposto la Legge Bacchelli. All’inizio non ero d’accordo, solo che poi ho pensato: i requisiti fisici li ho, quelli economici anche, quelli artistici, se vediamo le persone che fanno parte della lista che sono una ventina, mi pareva di avere pure quelli. Quindi mi sono detto: perché no? Alla fine sono 2000 euro al mese, una volta che paghi l’affitto, altre spese e le cure, non è che ti rimanga molto. Anche se è vero che c’è gente che vive con 900 euro al mese. Per ottenerla ho attraversato una specie di processo, visto che ricevono 3500 richieste l’anno. Mi hanno controllato le cartelle cliniche, i conti correnti e le proprietà, non me l’hanno data perché sono simpatico. Si è trattato di una procedura lunga e seria.

Al Premio Strega, nonostante tutto, Aldo Nove ci pensa ancora o non è un sogno?
Sono arrivato in finale, poi ha vinto Vivian Lamarque, una stupenda poetessa. Se tre amici mi dicono «leggi questo libro», allora lo faccio. Per i libri dello Strega degli ultimi anni non è successo, infatti non li leggo. Vedo solo le copertine, come l’ex ministro Sangiuliano. Dei premi non mi interessa niente. Se me li danno, come già successo, ben venga. Se me li fregano artisti come Lamarque, nel caso dello Strega, sono contento perché le voglio bene.

Chiudiamo con una poesia. Qual è la tua preferita?
Di Milo De Angelis da Millimetri: “In noi giungerà l’universo, quel silenzio frontale dove eravamo già stati / Ora c’è la disadorna / e si compiono gli anni, a manciate, con ingegno di forbici e una boria che accosta al gas la bocca / dura fino alla sua spina / dove crede / oppure i morti / arrancano verso un campo / che ha la testa cava / e le miriadi / si gettano nel battesimo / per un soffio”.

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