Francesco De Carlo, la stand-up italiana in America e la reunion di Satiriasi: «Dopo gli Oasis…» | Rolling Stone Italia
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Francesco De Carlo, la stand-up italiana in America e la reunion di Satiriasi: «Dopo gli Oasis…»

Il comico con Mortacci Tour (e a settembre in otto città USA) mescola Storia antica e comicità moderna. Ci ha parlato di come si ride diversamente oltreoceano e della possibilità di un ritorno con Montanini e Giardina. E di come si vede l’Italia dal Comedy Cellar di New York

Francesco De Carlo, la stand-up italiana in America e la reunion di Satiriasi: «Dopo gli Oasis…»

Francesco De Carlo

Foto press

Partiamo da un traguardo finora ineguagliato: Francesco De Carlo è il primo comico italiano ad aver calcato il palco del celebre Comedy Cellar di New York, una delle vetrine più prestigiose per la stand-up comedy. E con il suo speciale su Netflix, Cose di questo mondo, disponibile in 190 paesi, e il tour che lo ha portato a esibirsi in 17 nazioni, ha fatto arrivare la nostra comicità sulla scena internazionale. Ma non gli bastava, ecco dunque incassato un altro primato: è il primo comico italiano a lanciare un intero tour negli Stati Uniti. Si intitolerà Live in America, partirà il prossimo settembre e toccherà otto città USA.

Ora, nel suo spettacolo Mortacci Tour – Storia di Roma per gente allegra (ultima date il 1° luglio all’Arena Est di Milano il 9 luglio al Teatro di Ostia Antica), affronta l’antichità con il consueto stile pungente mescolando eventi, personaggi e curiosità. «Roma riflette il nostro presente», ci ha spiegato. E infatti aggiunge: «La Storia è piena di scandali, di lotte politiche, di propaganda. Non erano tanto diversi da oggi». Ma non vuole fare concorrenza ad Alessandro Barbero. «Non è un programma didattico. È un racconto divertente, ricco di informazioni ma che non si prende troppo sul serio». È proprio questa leggerezza, mista a un pizzico di profondità, che rende il suo show unico nel panorama attuale.

Al comico romano, però, abbiamo chiesto anche se, un giorno, sarà possibile la reunion con gli ex Satiriasi, Giorgio Montanini e Filippo Giardina. «Ogni tanto ci sentiamo, ci mandiamo dei messaggi», rivela lasciando aperta la porta per un ritorno sul palco insieme. E sospira: «Ce l’hanno fatta gli Oasis…». Perché non loro?

Francesco, intanto com’è esibirsi al Comedy Cellar di New York?
Effettivamente è strano. Ma quando sei lì, in scaletta, non c’è molto tempo per emozionarti, perché la cosa più importante è che tutto vada per il meglio. Devi pensare solo a quello, quindi l’emozione rimane in secondo piano. Comunque è un grande passo, un’opportunità che molti sognano, ma quando arrivi in un posto del genere la parte emozionale viene un po’ messa da parte per concentrarsi sul lavoro.

Quando hai iniziato con la comicità, immaginavi di arrivare fino a New York?
Ti sorprenderà, ma io ho iniziato nel 2010 e sono andato subito a Londra. All’epoca pensavo che la stand-up non sarebbe mai arrivata in Italia, quindi ero convinto che avrei dovuto cercare un lavoro all’estero. Fortunatamente mi sbagliavo, e la stand-up è arrivata anche qui da noi e ora spopola. All’inizio ho deciso di andare all’estero perché pensavo che questa comicità fosse destinata a restare una cosa che non avrebbe mai attecchito nel nostro Paese. Poi la pandemia ha fatto esplodere tutto, ma a onor del vero ci stavamo già lavorando.

An Italian comedian in London - Francesco De Carlo (stand up comedy)

Sul tuo passato ci torneremo. Invece ora con Mortacci Tour colpisce che, già ai tempi, tenevano banco temi come “sexgate” e “cancel culture“. Insomma, sembra di rivivere il mondo di oggi.
Sì, il modello della nostra società occidentale è sicuramente nato a Roma, in quell’antichità che racconto. Mi fa effetto vedere come molte cose che succedono oggi si fossero già verificate duemila anni fa, soprattutto nella gestione del potere. Per esempio, la propaganda che facevano gli imperatori è incredibilmente simile a come la fanno i governanti di oggi. La politica populista, il potere che usa la propaganda, sono temi che, anche se sono cambiati nei dettagli, sono simili. D’altro canto è interessante vedere le differenze, perché, dopo duemila anni di Storia, il potere non è più concentrato in una sola persona. Però, a livello simbolico, ci sono delle analogie forti, in particolare nel comportamento dei potenti. La genialità dei romani era incredibile, dalla tecnica al diritto, dalla lingua alle infrastrutture. Dei pionieri.

Francesco De Carlo nel ‘Mortacci Tour’. Foto: Manuela Giusto

Se potessi tornare indietro, c’è un personaggio dell’epoca in cui ti piacerebbe rinascere?
Se potessi scegliere, direi Cicerone. Mi ha sempre affascinato perché ha attraversato il passaggio dalla Repubblica all’Impero, riuscendo a restare vicino al potere. Più di altri, è stato un grande oratore e il principe della retorica. La sua scrittura è davvero interessante. Era una personalità di cui probabilmente al liceo, quando lo studi, non capisci fino in fondo la sua grandezza. Ma oggi, leggendo i suoi scritti, ti rendi conto di quanto fosse rilevante, non solo politicamente ma anche culturalmente.

Non vorrai fare concorrenza ad Alessandro Barbero con la divulgazione storica?
Ma figuriamoci, lui è imbattibile. E io sono molto grato agli storici che mi hanno dato la possibilità di lavorare sui loro libri. Il mio spettacolo è un’opera di intrattenimento, non una lezione accademica. Il mestiere degli storici, come quello di Barbero, è fondamentale. Il mio approccio è diverso. La comicità è un po’ più irriverente, e se qualcuno si aspetta un documentario storico, sta facendo un errore. Lo spettacolo si concentra sul raccontare la Storia in modo ironico e provocatorio.

Francesco De Carlo al Comedy Cellar di New York. Foto press

Tu che ti sei confrontato con il pubblico americano, cos’è che lo fa più ridere rispetto agli italiani?
In effetti cambia parecchio. Il tipo di comicità che fa ridere gli americani non sempre funziona in Italia. L’umorismo americano tende a essere più sottile e richiede una partecipazione mentale maggiore. In Italia, invece, ci piace un tipo di comicità più immediata, più “grassa”. Le risate italiane arrivano più facilmente quando riconosciamo qualcosa che già sappiamo, qualcosa di familiare. In America, la stand-up si sforza di far ridere su temi più difficili, su cose che non sono di per sé divertenti.

E vista da fuori, cambia la percezione dell’Italia?
È un po’ diversa. In America c’è una competizione sana tra i comici, un ambiente che spinge sempre a migliorarsi. In Italia, invece, a volte la scena sembra stagnante. Certo, stiamo cercando di cambiare, ma è un processo lento. I locali stanno tornando, ma ci vuole tempo.

La stand-up a livello quantitativo è esplosa, ma a livello qualitativo?
A livello quantitativo, sicuramente è in buona salute. Ci sono tanti comici nuovi, ma per la qualità bisogna ancora darle tempo. In Italia, la televisione ha sempre giocato un ruolo molto importante. Però, per me, la stand-up non è un genere che deve andare in Tv. In America non tutti i grandi comici sono in televisione, anche se la Tv è comunque importante. I media tradizionali possono aiutare a far crescere la comicità, ma devono esserci anche i locali, i produttori e i manager che rendono questo mestiere sostenibile. In Italia, purtroppo, c’è ancora una certa difficoltà a vivere di stand-up, ma stiamo creando una scena sana.

Quali sono gli errori più comuni che commettono gli esordienti?
Il primo errore è l’abuso di parolacce. Il linguaggio dev’essere funzionale al contenuto. Se uso una parolaccia solo per stupire, non sto facendo un buon lavoro. Se invece la parolaccia è funzionale da un punto di vista più profondo, allora può avere senso. Ma l’abuso di parolacce è un errore comune. Un altro errore è la mancanza di tecnica. In Italia, i giovani comici sono molto avanti rispetto a quando ho iniziato io, ma spesso non hanno gli strumenti per far ridere il pubblico ogni sera. La comicità tradizionale italiana ha ancora molto da insegnare.

Francesco De Carlo in tour. Foto press

Il dilagare della stand-up in Italia è anche un po’ la vostra rivincita, da quando avete iniziato ai tempi di Satiriasi, rispetto a programmi Tv come Zelig o Colorado?
Non credo sia una “rivincita”. Perché non ho mai creduto che il problema fossero Zelig o Colorado, ma la mancanza di diversità. Nei programmi comici italiani, c’è stato un appiattimento e una tendenza a basarsi sugli stessi stereotipi e i medesimi luoghi comuni. È bello che ora si dia spazio anche ad altri tipi di comicità, diverse da quella tradizionale. Questo non significa che una sia migliore dell’altra, ma ci dev’essere spazio per tutti.

E un programma come Nemico pubblico, con le sue provocazioni anche estreme, troverebbe posto nel palinsesto televisivo di oggi?
Sì, penso che Nemico pubblico potrebbe ancora trovare una sua collocazione in Tv. Quello show aveva un linguaggio forte e un punto di vista critico che sarebbe ancora rilevante, in un periodo come questo, dove ci sono molte cose da mettere in discussione. I programmi come Nemico pubblico avevano il coraggio di sfidare il politicamente corretto, e credo che oggi ci sarebbe ancora gente interessata a questo tipo di comicità. In fondo, la satira serve proprio a fare questo: far riflettere e anche far ridere su cose che non sono mai facili da affrontare.

Francesco De Carlo con il pubblico del ‘Mortacci Tour’. Foto: Manuela Giusto

Dopo lo scioglimento di Satiriasi, sai che sono ancora tanti quelli che attendono una reunion tra te, Giorgio Montanini e Filippo Giardina? Sarà mai possibile?
(Ride) Ogni tanto ci sentiamo, ci mandiamo qualche messaggio. Non so se ci sarà mai una reunion ufficiale, però a me farebbe piacere. Intanto è bello che ci sia ancora questa sintonia tra noi. E magari, un giorno, torneremo pure sul palco insieme. Ce l’hanno fatta gli Oasis…

Prima di salutarci, tornando allo spettacolo, qual è l’ultima volta che hai esclamato “li mortacci…”?
Bella domanda! Ogni volta che sono di fronte al pubblico è un’esperienza incredibile e quindi può scappare, ma ti dico che c’è un momento che è quasi immancabile. E cioè quando vengo a Milano, perché piove sempre. È una maledizione o una tradizione, e quindi: “li mortacci…”.

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