Per Tunde Adebimpe è l’era della rabbia e della tenerezza | Rolling Stone Italia
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Per Tunde Adebimpe è l’era della rabbia e della tenerezza

L’album ‘Thee Black Boltz’ influenzato dalla morte della sorella, la diversità, le canzoni come «modellini in scala dei sentimenti». Intervista al cofondatore (non frontman perché «è volgare») dei TV on the Radio

Per Tunde Adebimpe è l’era della rabbia e della tenerezza

Tunde Adebimpe

Foto: Xaviera Simmons

I TV on the Radio sapevano che era arrivato il momento di prendersi una pausa. Era il 2019 e dopo quasi 20 anni e cinque album caratterizzati da un amalgama sperimentale di rock, post punk, elettronica e soul, le continue richieste di dischi e tour avevano presentato il conto a livello creativo e fisico. Il cofondatore Tunde Adebimpe (che per ragioni che spiegherò più avanti non chiamo frontman) ne ha approfittato per ricalibrarsi un po’ e frugare tra i demo che, per un motivo o per l’altro, non sono mai finiti in un album dei TVOTR.

A giugno di quell’anno, però, qualcuno si è introdotto nel garage di Adebimpe e ha rubato il suo laptop, 15 anni di lavoro contenuti in vari dischi rigidi e tutti i suoi backup. «Una quantità impressionante di demo, tutta roba che ha senso solo per me». C’è stata un’effrazione anche nel suo studio a downtown Los Angeles, presumibilmente non collegata alla prima. «Fatto sta che per un po’ mi sono sentito quasi maledetto».

Per oltre un quarto di secolo Adebimpe è stato, senza grande clamore, uno dei creativi più eclettici del pop. È stato uno dei primi creatori di Celebrity Deathmatch, il massacro in claymation di MTV di inizio secolo. Si è poi dato alla musica (è il co-vocalist e autore principale del gruppo, ha fatto numerose apparizioni come ospite e ha registrato vari progetti collaterali) e al cinema. Ha mescolato performance in film indipendenti, come il suo ruolo apprezzatissimo in Rachel sta per sposarsi del 2008, con altre in blockbuster come Spider-Man: Homecoming, Twisters e Star Wars: Skeleton Crew dello scorso anno. È stato regista, doppiatore, art director, cartoonist. E ora che da poco ha compiuto 50 anni, può aggiungere un nuovo titolo alla lista: quello di artista solista.

Co-prodotto da Wilder Zoby, Thee Black Boltz è un disco meraviglioso e devastante, segnato da un senso di perdita, eppure intriso di ottimismo. Nel 2021, mentre Adebimpe stava ancora preparando l’album, la sorella Jumoke è morta improvvisamente per un attacco cardiaco a soli 41 anni. «Tutto il disco è dedicato a lei. È probabilmente la persona più importante al mondo, per me».

La voce di Adebimpe ha sempre avuto un calore rassicurante che non tradisce i concerti hardcore nei seminterrati della sua adolescenza, ma brani come ILY, un’elegia scarna dedicata a Jumoke, e la scintillante Drop, che ha qualcosa di Kid A, sono pugni allo stomaco in musica. Il primo, uno degli highlight dell’album, potrebbe essere la colonna sonora sia di un matrimonio che di una separazione, un inno all’amore immortale o il suono dell’amore di un tempo ora scomparso. Nel disco, Adebimpe cerca di trasformare in qualcosa di vitale gli sconvolgimenti della vita sia a livello globale che personale. Pinstack suona come una rivisitazione un po’ scomposta di una canzone pop anni ’60, mentre Somebody New e Streetlight Nuevo virano rispettivamente verso la dance pop e sonorità oniriche a base di tastiere.

È marzo quando lo incontriamo nel suo garage a Los Angeles. Adebimpe tira fuori un taccuino pieno di disegni e di spunti musicali a cui si è ispirato per Boltz, dai Suicide agli Stooges, dai Nation of Ulysses a Nick Drake, Björk e Tom Waits. Siamo circondati da libri, oggetti d’arte, un Mellotron e un piccolo mixer, tutti elementi che riflettono i suoi interessi variegati. Vicino a lui c’è una bacheca con le foto di Toni Morrison, una delle sue eroine, e di Gerard Smith, il membro dei TV on the Radio morto nel 2011. L’anno scorso la band si è riunita, senza il membro fondatore Dave Sitek, per una serie di concerti molto apprezzati, ma, per il momento Adebimpe è decisamente in modalità solista.

Questo disco è stato rifiutato da parecchie label. Come mai, secondo te?
Sono felice che esca per la Sub Pop, è anche grazie ai loro dischi che ho cominciato a pensre di fare musica. Comunque era l’inizio della pandemia, c’era molta confusione a riguardo dei tour e nessuno voleva mettere sotto contratto nuovi artisti. E poi non sono esattamente una superstar giovane e sexy…

Frena, Tunde.
No, è così. E non è negativo. Arrivando ai 50 anni, si arriva a conoscere se stessi. Forse sono una vecchia popstar sexy.

È stato un brutto colpo per l’ego?
Sì, ma per soli due giorni. Il primo giorno mi sono detto: «Oh, è vero, non siamo più nel 2008 e questa non è la band». Ma va bene così, non ho idea di cosa pensi la gente e non devo lasciare che questo influenzi ciò che faccio. Vengo dalla scena punk-rock basata sul do it yourself, si facevano i concerti negli scantinati, se mi dici che non posso fare qualcosa, ti becchi una fortissima e lunghissima raffica di vaffanculo. È stato bello tornare al punto di partenza e dire: bello che a nessuno importi, facciamolo per noi, per divertirci.

Tunde Adebimpe - Drop (Official Visualizer)

Col disco solista ti sei allontanato consapevolemente dalla musica dei TV on the Radio?
Con le canzoni dei TV on the Radio, soprattutto quelle di Seeds (l’ultimo album della band del 2014, nda), mi ero abituato a fare dei demo lasciando degli spazi vuoti da affidare agli altri, perché sapevo che lo avrebbero fatto alla grande. Se ripenso alle cose dei TVOTR, so che le abbiamo fatte, ma non saprei dirti come. Cadiamo in una sorta di trance dove non pensi, ma senti. Credo di sapere come suona una canzone dei TV on the Radio, ma qualsiasi cosa io scriva è una combinazione di tutte le mie influenze musicali a partire da quando avevo 16 o 17 anni, quando quella roba inizia a trapanarti il cervello lasciando segni che poi emergono in qualsiasi cosa tu faccia. L’unico modo per fare qualcosa che non fosse assolutamente un disco dei TV on the Radio era fare un disco country-rap.

I concerti dell’anno scorso ti sono sembrati quasi una sorta di giro trionfale? Tipo grandi vecchi del rock che tornano sulle scene…
Definirli un giro trionfale sarebbe da sbruffone, direi che è stato un po’ come riallacciare i rapporti con le persone che sono state con te fin dall’inizio. Ma c’erano anche tanti nuovi fan. Ci siamo resi conto che ci sono persone che, strano a dirsi, non erano ancora nate quando abbiamo iniziato e questa è stata una delle cose migliori di quel ritorno.

Che differenze hai notato nel pubblico rispetto agli anni Duemila?
Una delle cose belle è che c’erano molti più neri e queer rispetto a quando abbiamo iniziato, è diventata una cosa normale invece di una strana anomalia. Parlavo con questi giovani punk e dicevo: «Avremmo potuto essere amici ai tempi del liceo, ma voi non c’eravate ancora. Felicissimo che quello che ho fatto vi abbia portati qui».

Vorrei fare una piccola deviazione sul tema della nostalgia, perché i TV on the Radio sono quasi un simbolo di un’epoca, di un tempo e un luogo particolari per i fan di una certa età. Che cosa significa per te la parola nostalgia?
Penso che rappresenti la gratitudine per tutto ciò che è successo e ha portato fin qui me, noi e chiunque ci ascolti ora. Bartees Strange ad esempio mi ha detto: «Quando vi ho visti suonare Wolf Like Me da Letterman, ho pensato: “Voglio farlo anch’io”».

TV On The Radio - Wolf Like Me ( Live on Letterman ) HD & in sync

Una volta, osservando delle tue vecchie foto, hai detto: «Non so chi sia quello lì».
È una strana sensazione, provo una certa gelosia per quella persona che non aveva idea che le cose potevano andare male. E così si è spinta al massimo senza paura di farlo, perché non aveva paura. È buffo sentir parlare di cose come l’electroclash come se fosse un movimento enorme. Ma l’electroclash è durato un mese e mezzo. La nostalgia non mi interessa, ora come ora. Durante la pandemia forse per la prima volta in mia vita in cui ho pensato: «Wow, sto guardando più indietro che avanti». È sgradevole.

In Magnetic c’è una frase significativa che parla di vivere “nell’era della tenerezza e della rabbia”.
Un fotografo inglese, Misan Harriman, fa scatti bellissimi e commoventi durante le manifestazioni di protesta. In una manifestazione di Black Lives Matter del 2020 ha fatto una foto a una persona con un cartello che diceva: “Questa è l’era della rabbia e della tenerezza”. Per me racchiudeva l’essenza del momento. A volte si ha l’impressione che ci siano ondate di male che vengono verso di noi, e bisogna affrontarle restando persone perbene e difendendo chi non può farlo da solo. Ma per riuscirci bisogna aprirsi a questi sentimenti. Se non si vuole essere travolti dal razzismo, dal sessismo e dal fascismo non ci si può chiudere in se stessi. Ci sono tante cose contro cui prendersela e la voglia di combattere viene perché si ha dell’amore nel cuore.

Tunde Adebimpe - Magnetic (Official Video)

Il giorno dopo l’elezione di Trump, lo scorso novembre, hai postato una citazione di Toni Morrison: “Questo è esattamente il momento in cui gli artisti si mettono al lavoro”. Che cosa significa lavorare per te?
C’è anche un’altra domanda: che ruolo ha l’arte in tutto questo? Non lo so. Forse è molto ingenuo, ma per me lavorare vuol dire far musica o arte che metta in contatto le persone e faccia capire che c’è un posto anche per loro e le incoraggi. Possono anche essere semplici brani dance, se al mattino hai bisogno di scatenarti nella tua stanza per riuscire ad andare là fuori e vedere tutti come esseri umani. Non sono uno che cerca di attirare l’attenzione, ma se qualcuno arriva a me per via di qualcosa che sto facendo e che gli piace, mi sento in obbligo di condividere delle cose. Se sento che qualcosa è sbagliato, lo dico. Il problema è comunicarlo offrendo un punto di vista che colpisca. Non ho ancora capito esattamente come funziona.

In ILY ti rivolgi a tua sorella. Quanto è stato difficile scrivere quel pezzo?
Le circostanze erano pesanti, ma scriverlo non è stato difficile. Ammiro molto le canzoni semplici ed efficaci, perché suonano come se fossero sempre esistite. ILY è sostanzialmente una lettera indirizzata a lei che dice che, alla fine, il nostro amore rimane. Pensi a chi se n’è andato ancora più di quando c’era. Dopo la sua morte non pensavo che avrei finito disco, non volevo fare nulla, ma questo è il bello dell’arte, offre una rete di sicurezza. Ho qualcosa, dentro di me, che mi fa dire: ti tormenterai finché non lo scriverai e lo metterai in un posto dove potrai guardarlo come se fosse un modellino in scala dei tuoi sentimenti.

Come pensi che si senta la sua presenza nell’album?
C’erano quattro anni di differenza fra noi, ma eravamo come gemelli… sono stato molto fortunato a essere il fratello di questa persona speciale e ad averla come sorella, abbiamo avuto modo di attraversare questa strana vita insieme, ci piacevano le stesse cose ed eravamo i più grandi sostenitori l’uno dell’altro. Ogni volta che uno di noi pensava «Questa cosa non mi convince», l’altro ribatteva: «Che cazzo dici? Tu sei il massimo. Sono in giro da 20 anni e tutto, di te, mi fa capire che puoi fare il cazzo che ti pare. E io sarò sempre qui a dirtelo». Dopo la sua morte mi sono spento. Una delle cose che mi ha dato una scossa è stato pensare che lei mi avrebbe detto: «No, devi spingere di più adesso. Devi mantenere la promessa che hai fatto a te stesso: questa è la tua strada e non ti tirerai indietro. E magari, se riesci a mettere ordine in tutto questo casino, sarà d’aiuto anche a qualcun altro». Vi do qualche consiglio, offro qualche parola di conforto e vi spiego come ho affrontato la cosa, in modo che sappiate che potete farlo anche voi.

In passato hai parlato spesso della tua paura del palcoscenico. Da solista, si amplifica?
Non saprei dire se ora è più facile, di sicuro è diventato normale. Se devi cavartela da solo devi essere molto attento a tutto. E io sono molto consapevole. Credo che si fondamentalmente si tratti di una leggera ansia di voler dare il meglio. Somiglia a uno stato di euforia che ti fa dire: «Oh, merda: e adesso cosa succede?». È eccitante. Qualche anno fa ho letto un articolo in cui Kim Gordon diceva che la musica e i concerti non sono più pericolosi e io sapevo esattamente di cosa stava parlando. Si riferiva a quei momenti in cui ti viene da pensare: «Ma farò bene a stare così vicino al palco?».

Parlando di fama e celebrità, visto da fuori sei sempre parso una rockstar riluttante. I TV on the Radio hanno sempre dato l’impressione di rifuggire i peggiori cliché legati a queste cose.
Io… non lo so. L’idea di rockstar mi è sempre parsa pessima. Una cosa negativa. Non mi interessano Jimmy Page, Bono o altri “maestri”. Non è roba che fa per me. Non mi piace nemmeno il termine frontman.

Perché no?
È volgare.

Tunde Adebimpe - Somebody New (Official Video)

Quando eri ventenne hai fatto la maschera al Film Forum di New York. Qual è l’aneddoto più bello di quel periodo?
Forse non dovrei dirlo. Era un cinema piuttosto tranquillo, tanto che io e un mio collega, quando andavamo a buttare la spazzatura, ci facevamo una canna e tornavamo dentro a chiamare gli spettatori facendo gli stupidi. C’è un film intitolato La maman et la putain, la madre e la puttana. È un bel film, ma eccoci ventenni del cazzo che urliamo: «Alle 6:30 inizia la proiezione di La madre e la puttana!». Non faceva molto da Film Forum. Il direttore ci diceva: «Ragazzi, potete andarci più piano?». E noi: «In che senso più piano? Stiamo solo facendo il lavoro delle maschere».

A che punto sono i lavori per un nuovo album dei TV on the Radio?
Al momento non stiamo facendo nulla, ma la cosa bella di questi concerti è che li affrontiamo dicendoci: «Non so cosa succederà e mi sta bene, è una cosa che sappiamo fare e con cui possiamo divertirci». Probabilmente ci chiariremo le idee sull’album durante il tour. È di nuovo una cosa divertente.

Riesci già a immaginare come sarà o in questo momento sei in modalità solista al 100%?
Sono in modalità solista, ma tutti noi scriviamo di continuo e io ho ancora un mucchio di roba che non è finita in questo disco, potrei sondare se alla band va di farla. Ogni volta che lavoriamo separatamente, e poi torniamo insieme, è come se ognuno fosse andato alla sua piccola università o avesse avuto la sua grande visione e poi applicasse quello che ha imparato.

Da Rolling Stone US.

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