10 dischi per capire il progressive folk britannico anni ’70 | Rolling Stone Italia
La terza via

10 dischi per capire il progressive folk britannico anni ’70

Avete presente Strawbs, Spirogyra e Mellow Candle? La musica tradizionale ripensata con tocchi rock e psichedelici? No? Ecco gli album da cui partire

10 dischi per capire il progressive folk britannico anni ’70

Gli Strawbs. Dall’alto in senso orario, Dave Lambert, John Ford, Richard Hudson, Blue Weaver, Dave Cousins

Foto: Michael Putland/Getty Images

Era inevitabile che la fame di nuovo provata dai musicisti britannici nella seconda metà degli anni ’60 finisse per interessare anche la frangia più conservatrice, quella del folk. Con ballate e melodie nate secoli prima, il folk inglese era una tradizione, spesso orale, di canti basati su una strumentazione acustica e su testi che, non di rado e pur partendo da storie quotidiane, si spingevano nel fantastico, quando non nel macabro.

Poi erano arrivate le chitarre elettriche e qualcosa era mutato, anche all’interno dell’immutabile panorama folk. Dall’altro lato dell’Atlantico Bob Dylan sapeva bene cosa voleva dire includere strumenti elettrici in una musica che, per sua caratteristica secolare, mai avrebbe dovuto imbastardirsi. Le proteste erano fioccate, ma non c’era stato modo di fermare l’uso di strumenti elettrici e il desiderio di aggiungere nuova linfa a un modo di fare musica che sembrava congelato nel tempo.

Ben presto si è cominciato a parlare di folk-rock anche nel Regno Unito con band come Fairport Convention e Pentangle a inspessire il suono acustico e arricchirlo di nuove sfumature, nel caso dei Pentangle suggestioni jazz, con non poco successo, anche in classifica.

Nel frattempo il rock andava incontro a sempre più consistenti mutazioni, dalla psichedelia al progressive. Generi, questi, che non lesinavano certo suggestioni folk, anzi. Si vedano certe schegge del Syd Barrett solista e certi innesti acustici nel tessuto schizoide dei primi King Crimson (che, non a caso, nella loro primissima formazione ospitavano Judy Dyble, ex Fairport Convention). Poi Genesis, Gentle Giant e Jethro Tull che facevano della fusione rock + folk + blues + jazz + classica (elementi distribuiti in maniera diversa dai singoli gruppi) il loro cavallo di battaglia.

Alle spalle di questi giganti, tutto un sottobosco di realtà più o meno underground che cercavano una terza via: quella di spingersi oltre il folk-rock dei Fairport/Pentangle con echi classicheggianti cari al progressive “canonico”, schizzi lisergici e sperimentali. Ed è proprio su queste band che la lista si sofferma, tutte attive in Gran Bretagna durante gli anni ’70 e autrici di album caratterizzati da quell’amalgama unico, e ancora oggi suggestivo, chiamato folk progressivo.

Friend’s Friend’s Friend

Audience

1970

Molto vicini ai Jethro Tull e ai Traffic, gli Audience fanno di un più ampio tessuto fiatistico (sax, clarinetto e flauto a cura di Keith Gemmell) l’elemento maggiormente distintivo. Ciò insieme alla voce stentorea di Howard Werth a offrire epicità, e a un uso del banjo a creare un gustoso mix tra folk inglese e americano. Il meglio dell’esordio Friend’s Friend’s Friend è costituito dai momenti più visionari (Priestess, la title track) e da quelli più dilatati e psichedelici (gli otto minuti di Raid).

The Garden of Jane Delawney

Trees

1970

Con i Trees ci si immerge in ballate dai toni inquietanti da ascoltare a lume di candela in un pub mentre imperversa la tempesta. Contraddistinto dalla splendida vocalità di Celia Humphris, il suono del quintetto si spande tra tappeti di chitarre a sei e dodici corde e clavicembali. Non mancano momenti più intensi ed elettrici che sposano tocchi alla Fairport con le avvisaglie dei Genesis periodo Trespass. Il top del disco si raggiunge con la title track, melodia di immenso candore a descrivere un’oscura vicenda di fantasmi. Del brano esistono due riuscitissime cover a cura degli All About Eve e di Françoise Hardy.

First Utterance

Comus

1971

Più che un album First Utterance è un rituale sabbatico. Un lavoro che pesca dal folk più tribale e immerge in un’atmosfera a dir poco straniante, un incubo nel quale pare di assistere a cerimonie dimenticate in ere arcane. Diana è demoniaca nel suo incedere ipnotico e anticipa il folk apocalittico dei Current 93 (che la riprenderanno). Poi The Herald cala in una sorta di calma tesa e spettrale. Da qui è un pozzo nero senza fondo.

Tudor Lodge

Tudor Lodge

1971

Folk sottilmente psichedelico con l’aggraziata voce di Ann Steuart e una fantasmagorica copertina apribile in più parti. Tudor Lodge è una bella festa hippy carica di elementi medievaleggianti (Madeline), musica da camera (Willow Tree, con anche un bell’incedere lisergico nella parte iniziale) e scenari incantati (Forest), come una bella giornata di sole nascosto dai rami minacciosamente intrecciati degli alberi.

Fuchsia

Fuchsia

1971

Altra copertina di gran pregio, perfettamente indicativa del contenuto: una figura bellissima e misteriosa (Lady Fuchsia Groan, personaggio del Gormenghast di Mervyn Peake) che ghermisce l’ascoltatore per condurlo nei reami inquieti della musica. Fuchsia si connota anche per l’inusuale formazione: tre uomini e tre donne, una piccola orchestra a dar vita a un sound che muta certi agganci al folk dei Pink Floyd (quelli di More, soprattutto) e poi si libra tra arrangiamenti orchestrali, scampanellate Sixities, particelle acide e sabba-folk alla Comus.

Mice and Rats in the Loft

Jan Dukes de Grey

1971

Gli Jan Dukes de Grey potrebbero essere considerati una versione folk dei Van Der Graaf Generator, con l’utilizzo di varia strumentazione gestita da soli tre musicisti, strambe armonie, cambi di tonalità e ritmi. Composto da tre lunghi pezzi, Mice and Rats in the Loft è ben rappresentato dalla suite Sun Symphonica, un viaggio di quasi 19 minuti che spazia tra diversi stati d’animo e colori, tra momenti solari e ritmi frenetici, quasi psicotici, fino a parti più oscure. Le altre due tracce si muovono tra folk con voci multiple e flauto, evolvendosi in jam energetiche con sax e chitarre wah-wah.

Swaddling Songs

Mellow Candle

1972

Misconosciuti e autori di un unico capolavoro, gli irlandesi Mellow Candle schierano le voci di Clodagh Simonds e di Alison Williams che, a seconda del momento, sanno trasformarsi in fate o streghe. L’alternanza dei brani lo conferma: oasi folk-sinfoniche (Sheep Season, Silver Song) si alternano a momenti sabbatici (The Poet and the Witch, Dan the Wing) ed esoterici (Reverend Sisters). Da segnalare una lussuosa ristampa in box con inediti del 2011, a cura della Rise Above Records di Lee Dorrian (Cathedral).

Grave New World

Strawbs

1972

Gli Strawbs diventano popolari anche grazie all’innesto in formazione di un giovanissimo Rick Wakeman. Nel ’72 il biondo tastierista è già passato da tempo agli Yes, ma la band di Dave Cousin non si è arrestata, offrendo il suo album più maturo. Il concept segue il viaggio di un uomo dalla nascita alla morte, esplorando le difficoltà e le riflessioni lungo il cammino. Il folk contaminato dal prog sinfonico è ben inquadrato dall’iniziale Benedictus, una delle loro canzoni più intense, caratterizzata da un forte senso di spiritualità sottolineato da un possente coro.

Bells, Boots and Shambles

Spirogyra

1973

Negli Spirogyra la voce femminile e quella maschile si intrecciano meravigliosamente, con Barbara Gaskin (futura Northette negli Hatfield and the North) che assurge a musa del folk progressivo. Bells, Boots and Shambles è un capolavoro di melodie evocative e sogni inquietanti. Malie acustiche e paesaggi sinfonici si fondono fin dall’epica The Furthest Point, conducendo verso il culmine della suite In the Western World, opera stratificata che richiama le atmosfere dei Renaissance con un pathos ancora più profondo.

Red Queen to Gryphon Three

Gryphon

1974

Questi sono i più sinfonici di tutti, ma non dimenticano per nulla il retaggio folk, solo lo traslano in un linguaggio arzigogolato alla Yes/Gentle Giant. Per chi è curioso c’è di che godere ad ascoltare dei veri rompicapo in musica nei quali la tradizione si incontra/scontra con la perizia strumentale più ardita. Si veda Lament, oltre dieci minuti con virtuosismi di fagotto (!) e ritmi impossibili in salsa gigantegentile, che poi sa farsi progressivamente più acustica e terminare nel Medioevo. Dei simpatici folli.