Considera l’ostrica: simbolo di lusso, passione e vita godereccia. Se ne è parlato molto nei primi giorni di marzo di quest’anno, quando il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, ha avanzato la proposta di abbassare l’aliquota IVA sulle ostriche dal 22% al 10%.
L’annuncio è stato fatto nel contesto di una degustazione di ostriche di Goro che si è tenuta in Senato, una scelta di sede e tempistica che ha fatto pensare a una furbata per ottenere un immediato sostegno politico e di pubblico. Il Ministro ha motivato la proposta sostenendo che le ostriche non dovrebbero essere considerate un bene di lusso, ma un prodotto accessibile che può rappresentare una nuova opportunità; argomentando che il costo elevato delle ostriche non derivi dalla loro natura intrinseca, ma da fattori di mercato e fiscali.
Se da un lato la proposta ha generato una comprensibile reazione di sdegno — l’IVA applicata ad altri prodotti come i pannolini e il latte in polvere sono stati portati al 10% dal governo Meloni, quella degli assorbenti femminili nemmeno toccata — dall’altro la proposta ha ricevuto un forte sostegno da parte di diverse associazioni del settore dell’acquacoltura, tra cui Fedagripesca e l’Associazione Mediterranea Acquacoltori (AMA).
È da tempo che le associazioni di settore sollecitavano un intervento fiscale di questo tipo, ritenendolo cruciale per migliorare la competitività dell’ostricoltura italiana nel mercato europeo: in molti paesi europei, infatti, le ostriche hanno aliquote IVA molto inferiori, come in Francia, nei Paesi Bassi e in Irlanda. Questa disparità fiscale mette gli ostricoltori italiani in una posizione di svantaggio competitivo, limitando il consumo interno e la possibilità di competere ad armi pari con i produttori esteri. Come conseguenza, l’ostrica italiana non è più di tanto conosciuta.
Secondo le stesse associazioni, la misura sarebbe fondamentale per sostenere gli sforzi di diversificazione delle attività di pescatori e aziende di acquacoltura duramente colpite dall’invasione del granchio blu: l’ostricoltura, in questo contesto, viene vista come un’alternativa produttiva più resistente e redditizia rispetto ad altre specie di molluschi, in particolare le vongole, che hanno subito ingenti danni. Le ostriche, infatti, sono considerate più resistenti all’invasione del granchio blu, probabilmente grazie ai loro gusci più robusti e al loro diverso habitat.
Relativamente alle informazioni disponibili in Gazzetta Ufficiale, all’oggi non è stata confermata esplicitamente la pubblicazione di un decreto che sancisca la riduzione dell’IVA sulle ostriche, ma è possibile che la misura verrà inclusa in un pacchetto finanziario più ampio.
Ma qual è la situazione dell’ostricoltura e del consumo di ostriche in Italia, oggi?
Al momento, il nostro paese dipende ancora significativamente dalle importazioni, principalmente francesi, con oltre il 90% delle ostriche consumate nel paese provenienti dall’estero. Il volume totale di produzione di ostriche è rimasto relativamente basso rispetto ad altri molluschi bivalvi, rappresentando circa l’1% della produzione totale italiana, ma per parlare di numeri si tratta di circa 500 tonnellate. Per intenderci, in Francia si producono circa 85.000 tonnellate di ostriche l’anno. La nostra cifra, inoltre, include le ostriche importate da altri paesi (principalmente Francia, Portogallo e Spagna) e poi re-immerse in acque italiane per la crescita finale e la vendita; una pratica completamente consentita.
Nonostante il volume di produzione relativamente basso, il consumo italiano delle ostriche è stimato sulle 10.000 tonnellate circa, mentre fino agli anni ‘90 la Fao stimava per l’Italia un consumo interno di 7-8.000 tonnellate. Questo vuol dire che agli italiani l’ostrica piace sempre di più. Si trova sempre più frequentemente nei menu dei ristoranti e sui banchi delle pescherie, e in molte città hanno fatto la loro comparsa le prime ostricherie. Sono proprio i giovani ad apprezzare questo prodotto di fascia alta, sia per la sua valenza di status symbol che, probabilmente, per il fatto che, per alcuni, si possa includere in una dieta vegana (Google: ostroveganismo).
Il Delta del Po è storicamente l’area di produzione più importante delle ostriche italiane, con particolare riferimento all’area di Goro, dov’è nata Milva. L’ambiente lagunare unico del Delta ha le condizioni ideali per la coltivazione delle ostriche, ma è stata gravemente colpita dall’invasione del granchio blu. Quest’anno è venuto fuori anche un altro pericolo: quello del Norovirus, che ha evidenziato potenziali problemi di sicurezza alimentare in questo polo produttivo. La Liguria, in particolare l’area di La Spezia, sta iniziando a vivere una notevole crescita nelle attività di ostricoltura, con nuovi progetti in corso, tra cui lo sviluppo di allevamenti offshore (“vivai fuori diga”) vicino alla foce del fiume Magra. Proprio a La Spezia, a maggio, si terrà la terza edizione del primo festival italiano dedicato all’ostrica, l’Italian Oyster Fest. Poi c’è la Sardegna, con la zona di Tortolì, riconosciuta in particolare per le “Ostriche Fabrizie Sandalia”. Oltre a queste regioni principali, stanno emergendo nuovi allevamenti in tutta Italia, come in Puglia e Sicilia.
Si può parlare di “rinascimento”? Forse è più opportuno dire che l’ostrica in Italia ha molto potenziale di espansione, grazie anche all’enfasi posta sugli aspetti di sostenibilità e sui benefici ambientali dell’ostricoltura, in particolare sulla sua capacità di catturare CO2. L’Italia ha una grande opportunità di capitalizzare questa tendenza globale aumentando la propria produzione interna e riducendo la forte dipendenza dalle importazioni. La redditività e la crescita a lungo termine del settore ostricolo italiano dipenderanno da un approccio olistico che affronti diverse sfide come le invasioni di specie aliene, il rischio di epidemie (come il Norovirus) e i potenziali impatti dei cambiamenti climatici, insieme a misure politiche di sostegno come la proposta di riduzione dell’IVA e incentivi strutturali. L’ostrica sovranista rappresenterà un punto di svolta? Staremo a vedere.