In ‘The Accountant 2’ i conti non tornano | 'The Accountant 2', la recensione del sequel con Ben AffleckRolling Stone Italia
A long equation with a missing number

In ‘The Accountant 2’ i conti non tornano

Il sequel del film starring Ben Affleck nei panni di un contabile/killer autistico è un pasticcio di umorismo superficiale e sottotrame fin troppo cupe

In ‘The Accountant 2’ i conti non tornano

Jon Bernthal e Ben Affleck in 'The Accountant 2'

Foto: WARRICK PAGE/PRIME

E se Rain Man fosse Batman? Sembra il presupposto per uno sketch comico che avrebbe fatto scintille nell’estate del 1989. Quindi vale la pena ricordare che The Accountant, il thriller d’azione del 2016 basato su quella premessa, era solo una cavolata assurda e non una sorta di offesa, per giunta datata. Quello che ha impedito al film di passare dalla stupidità all’essere offensivo è stata, inaspettatamente, l’interpretazione di Ben Affleck nei panni di Christian Wolff, un contabile autistico con una calcolatrice al posto del cervello e una vera e propria abilità matematica con i pugni e il fucile. La star è stata decisamente la scelta sbagliata per il ruolo; è molto più facile immaginare il suo amico Matt Damon interpretare un personaggio che è fondamentalmente un Jason Bourne-meets-Will Hunting. Ma Affleck ha affrontato la sfida con molta misura. Nessuna ostentazione, solo una deliberata repressione delle sue qualità più carismatiche. Ha quasi evitato la caricatura, più di quanto ci si potesse aspettare da un film di Hollywood su un supersoldato autistico.

The Accountant 2, uscito nei giorni scorsi dopo più di otto lunghi anni dall’originale, non si merita nulla. Affleck torna nei panni di Christian, alias il mitico contabile del titolo, un esperto di numeri che non sembra aver bisogno di conoscere i numeri. Ma dopo aver minimizzato le idiosincrasie del personaggio nel primo capitolo, come il modo in cui si soffia sulle dita prima di mangiare, la star ora le accentua per ottenere un effetto comico. Ha persino un tono diverso: la dizione forzata che l’attore ha sfoggiato nel primo capitolo qui sopraffà la sua interpretazione, al punto che giurereste di stare guardando Stephen Root in Impiegati… male! che balbetta a proposito della sua spillatrice rubata. Fa il pagliaccio, forza delle smorfie per far ridere. E tutto questo è in linea con un sequel che raddoppia gli elementi più esagerati del suo predecessore, finché non ci si dimentica di cosa abbia funzionato anche soltanto un po’ in quel successo del tutto inaspettato.

La trama dell’originale era altrettanto contorta? Ci sono meno flashback in The Accountant 2, perché ci siamo già goduti l’origin story di un ragazzo speciale addestrato per essere un uomo inarrestabile. Ma la cospirazione si fa più fitta, legando insieme un pericoloso cartello, persone scomparse e una misteriosa assassina (Daniella Pineda) in una crociata di vendetta. Per risolvere l’omicidio del capo del Dipartimento del Tesoro Raymond King (J.K. Simmons, che è scappato finché era tempo), il nostro leggendario eroe asociale stringe una difficile alleanza di comodo con la protetta del morto, Marybeth (Cynthia Addai-Robinson). Marybeth ha trascorso gran parte dell’ultimo film a rivelare informazioni davanti a uno schermo, quindi il fatto che ora sia sul campo, scuotendo la testa con disgusto mentre Christian infrange con nonchalance leggi e rompe braccia e gambe in sua compagnia, è considerato una promozione. Nulla in questo tizio è così improbabile come la premessa che un agente federale possa effettivamente disapprovare la tortura, il rapimento e lo spionaggio di cittadini americani.

The Accountant 2 | Trailer Ufficiale

Non contento di un solo rapporto à la buddy cop, The Accountant 2 riaccende anche la bromance tra Christian e suo fratello minore, Braxton (Jon Bernthal), un assassino spietato che in realtà è solo un tipo solitario. Ogni volta che i due sono insieme, come durante una conversazione a cuore aperto in un parco-roulotte di Los Angeles, si capisce che questo è il film che il regista Gavin O’Connor voleva realizzare: una storia d’amore fraterno fatta della stessa stoffa del suo film sentimental-macho Warrior. Le loro scene sono anche un giochetto sulla dinamica tesa di – sì – Rain Man, e O’Connor sembra molto più interessato ai due fratelli che all’azione (vedi le sparatorie, messe in scena in modo impeccabile ma che sembrano praticamente obbligatorie, all’inizio e alla fine).

Bernthal è così spassoso, nel suo stile da cowboy, che si può quasi ignorare che pronunci una battuta piuttosto superficiale: lo psicopatico coccoloso che ha solo bisogno di un abbraccio (il suo personaggio ci viene presentato mentre urla contro una giovane francese terrorizzata che lui le faccia del male: esilarante). C’è qualcosa di profondamente fuori posto nel calcolo emotivo di questi film. Vogliono che ci commuoviamo per una coppia di assassini impenitenti perché uno di loro ama gli animali e l’altro ha un disturbo dello sviluppo. Il primo Accountant, almeno, aveva Anna Kendrick come una sorta di surrogato del pubblico, incerto se guardare il duro einsteiniano di Affleck con soggezione, paura o desiderio. Il sequel potrebbe trarre molto di più dalla sua ambivalenza nei confronti del personaggio.

Tutto quello che di bizzarro e poco convincente c’era in The Accountant viene qui amplificato. (Forse è per questo che il titolo, così come appare sullo schermo, è in realtà The Accountant al quadrato. O forse sembrava semplicemente… più “matematico”.) Vediamo di più il responsabile di Christian, questa volta a capo di una squadra di sorveglianza junior-Bourne composta da preadolescenti autistici maghi del computer. In che cosa questo sia diverso dagli eroi americani tragicamente militarizzati da ragazzi non è chiaro, ma il film sembra considerare il loro programma di sorveglianza illegale dopo la scuola come una cosa positiva. Sebbene l’originale abbia certamente faticato a destreggiarsi tra i suoi vari spunti di genere (era più una commedia romantica che un film di spionaggio o d’azione), il colpo di scena del sequel è notevole: mentre i ragazzi litigano come fratelli di una sitcom, il film si incupisce con sottotrame su traffico sessuale, immigrati scomparsi e – per un cortocircuito purtroppo accidentale con l’attualità – una prigione a El Salvador. Nel frattempo, il finale action, presumibilmente avvincente, si basa sulla possibilità che i cattivi facciano fuori un autobus pieno di bambini e li gettino tutti in una fossa comune. Diciamo che lascia un sapore piuttosto amaro in bocca.

Per godersi The Accountant 2, bisogna credere a Christian Wolff. È un genio tostissimo, l’uomo più intelligente in ogni stanza, uno Sherlock Holmes della matematica. A un certo punto del film, impara a ballare la line dance solo guardando i piedi di tutti – e poi rimorchia anche una ragazza. C’è qualcosa che non sa fare, a parte forse mantenere il contatto visivo? La fantasia, una tempestiva risposta al disprezzo spregevole di RFK Jr., è che la neurodivergenza ti trasformi in un supereroe. Ma Affleck questa volta non ci riesce. È troppo impegnato a cercare la risata facile. E così il presunto divertimento del film non torna, come una lunga equazione con un numero mancante.

Da Rolling Stone US