Dice TJ Freda dei Gift che «New York non è il posto giusto per le droghe psichedeliche. È tutto intenso, le cose si muovono velocemente, vieni sballottato qua e là… Preferisco tenermi le esperienze psichedeliche catartiche per i momenti speciali». La cosa non ha impedito a lui e ai suoi compagni di prendere qualche funghetto, «ma non siamo di quelle band che si fanno e poi si mettono a jammare, eh».
Vengono da Brooklyn, sono in cinque e nel secondo album Illuminator fanno una specie di rock psichedelico pieno di ritornelli pop che può ricordare Cure, Spiritualized o Spacemen 3, a tratti anche My Bloody Valentine o Slowdive. Ma non chiamatelo shoegaze. «L’etichetta di band psichedelica ci andava stretta», dice il tastierista e chitarrista Justin Hrabovsky con una certa irritazione. «Quando finalmente ce ne siamo liberati, hanno cominciato a etichettarci come band shoegaze».
È una sera di novembre. Tornati da un tour europeo, i cinque sorseggiano vino e mangiano pasta in un ristorante italiano di Ridgewood, nel Queens. Non amano definire la loro musica e sono concordi nel chiamarla rock, e basta. L’importante, dice Freda, è che sia un’esperienza trasformativa. «Voglio far musica che sia un portale o che sembri ultraterrena. Il nuovo disco è stato concepito per essere ascoltato a tutto volume, non in cuffia». In quanto al nome, è ispirato al libro di Ram Dass Be Here Now: sii presente -> presente -> regalo -> Gift. «Non una scelta furbissima per il SEO», scherza Hrabovsky.
Il primo concerto l’han fatto nel dicembre 2019. Il secondo era previsto a marzo 2020 ma è stato cancellato non per colpa loro (presente la pandemia?). Freda ha usato la pausa forzata per produrre il disco di debutto uscito nel 2022 Momentary Presence a cui i compagni hanno partecipato solo in parte (presente il lockdown?). Quando finalmente il mondo è ripartito, loro erano pronti.

Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US
I membri dei Gift sono suppergiù trentenni che si sono trasferiti a New York da Utah, North Carolina, Massachusetts, California. Il batterista Gabe Camarano, quello coi capelli blu, è nato in Brasile e ha incontrato Freda in Massachusetts. «Sono super orgoglioso d’essere un musicista a New York, non è mica facile», dice Freda. «È difficile ovunque, ma qui è particolarmente tosta».
Si sono tutti o quasi fatti le ossa all’Alphaville, un locale di Brooklyn di cui il bassista Kallan Campbell è ora comproprietario. La chitarrista e fotografa Jessica Gurewitz suonava da appena un anno quando è entrata nella band. «È passata dal riuscire a malapena a suonare un accordo di Mi a esibirsi di fronte a platee sold out. Per questo ogni tanto le dico di cantare. Lei dice che non sa se è in grado. Ma quando lo fa è una bomba».
Gurewitz e Freda hanno collaborato alla stesura dei testi di Illuminator. Il titolo viene da una cosa che Freda ha detto durante una session di scrittura durata nove ore. «Buona parte di Illuminator ha a che fare con la vita che scorre velocemente», racconta Freda, «mentre Momentary Presence parlava di introspezione, tipo la meditazione che aiuta la gente. Il disco nuovo è proprio l’opposto. Dice: cavalca l’onda e abbandonati alle sensazioni, arrenditi alla velocità della vita».
Wish Me Away ha un significato personale per Freda. Parla infatti della sorella sopravvissuta a un brutto incidente motociclistico. L’ha scritta mentre andava da lei, sulla strada da New York a Boston. «Parla di vivere intensamente il presente e apprezzare quel che hai. Ma anche del fatto che ti accorgi che tre anni sono andati in un soffio e perciò ti chiedi: ho fatto tutto quel che volevo mentre il tempo volava via?».
L’incidente occorso alla sorella lo ha spinto a riflettere anche su altro. «Per troppo tempo mi sono concentrato solo su me stesso al posto di curarmi delle cose importanti. Mi sono arrivate addosso un sacco di emozioni e non mi sono dato il tempo per elaborarle». L’ha trovato nel periodo tra i due album, quando ha perso il lavoro di grafico, «un po’ perché sono stato licenziato e un po’ perché ho mollato io». La vita da musicista che va in tour non era granché apprezzata sul luogo di lavoro. «È stato un brusco risveglio, ho capito che dovevo darmi da fare». Si è quindi dedicato ai Gift, registrando a casa dalle 23 alle 5. «La cosa migliore che potessi fare», dice, perché gli ha permesso di concentrarsi su Illuminator. Ora riesce a integrare la sua carriera musicale con lavori di sound design e graphic design. I compagni di band gestiscono l’Alphaville da lontano, organizzando concerti dal sedile posteriore mentre girano l’America.
Quando li incontro a cena, hanno l’aura delle band appena nate, quelle che han fatto pochi concerti. E in un certo senso, visto che sono stati fermi, i Gift si sentono esordienti. I fan europei apprezzano la musica americana, dicono, si sono sentiti benvenuti. «È stato un gran tour», dice Gurewitz. «È stato bello in modo quasi inquietante. A ogni concerto ci chiedevamo: com’è che è tutto pieno? È pazzesco, come fanno a conoscerci?».

Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US
Da novembre, Freda ha passato un mese e mezzo a Los Angeles per scrivere ed è stato a Parigi in vacanza. Ha disegnato l’artwork di Mortal Primetime dei Sunflower Bean, dei quali apriranno i concerti a maggio negli States. «Bello avere in tour due band di, tra virgolette, rock psichedelico newyorkese», dice Freda. «Non molti gruppi condividono gusti e valori». È anche la chance per approfondire le idee musicali di Illuminator. «Non vogliamo rifare l’album com’è».
Freda vuol vedere fin dove può spingersi la band, visto che in passato ha fatto gran parte delle registrazioni da solo. Quando ascolta Illuminator, sente un disco senza genere, una fusione di pop, rock ed elettronica. «La prossima mossa sarà catturare la magia che scaturisce quando siamo tutti e cinque sul palco, che è una cosa diversal dal creare canzoni in studio e riproporle semplicemente dal vivo. In tour in Europa ci siamo fatti un sacco di domande: cosa stiamo facendo? Cosa vogliamo fare? Dove vogliamo arrivare? È come ricominciare da zero».
Da Rolling Stone US.