Perché un reboot di ‘Alta fedeltà’ ha più che senso oggi | Rolling Stone Italia
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Perché un reboot di ‘Alta fedeltà’ ha più che senso oggi

Nick Hornby scrive per 'Rolling Stone' e racconta come la serie con Zoë Kravitz tratta dal suo romanzo cult fa i conti con la contemporaneità

Perché un reboot di ‘Alta fedeltà’ ha più che senso oggi

Credit: Miles Donovan per 'Rolling Stone'

Se vuoi sopravvivere facendo lo scrittore, devi fare piani a lungo termine. La pubblicazione di Alta Fedeltà, nel 1995, era solo il primo passo di un ambizioso progetto della durata di 25 anni: il successo negli Stati Uniti nonostante il libro fosse ambientato a Londra (fatto); un amatissimo film hollywoodiano, seguito da una serie tv in cui si ribalta il genere del protagonista, interpretato da una donna che aveva sei anni quando il libro venne pubblicato, ma che già allora aveva le caratteristiche della futura star (fatto). È molto bello quando tutti i tasselli di quel piano vanno al loro posto.

Tutte stronzate, ovviamente. Non avevo idea di quello che stavo facendo. Ogni cosa che ho scritto sopra, a partire dal completamento del romanzo, mi sembrava altamente improbabile fino al momento in cui non è accaduta. E la serie realizzata da Hulu con Zoë Kravitz (negli USA in onda dal 14 febbraio, in Italia ancora non è dato sapere) è forse la più improbabile versione di Alta Fedeltà mai realizzata. Il fatto che sia perfettamente sensata, che riesca a parlare in maniera così diretta al pubblico contemporaneo, è un omaggio alla protagonista e al suo team, e racconta anche qualcosa sulla capacità del pop e del rock & roll di ispirare una devozione e un senso profondo di identificazione e appartenenza.

Quando ho scritto il libro, mi ero chiesto se tutto questo fosse sul punto di venire fuori. Il Rob Fleming originale – il cui negozio di dischi era appena fuori da Holloway Road a Islington, invece di Chicago o Brooklyn – non era soddisfatto del suo lavoro. Iniziava a sospettare di aver dedicato la prima metà della sua vita a una causa che non era più significativa o rilevante. I megastore di Virgin e Borders sostituivano i negozi di dischi indipendenti. I CD avevano già rimpiazzato il vinile. Solo pochi cervelloni tedeschi (e certamente nessun romanziere inglese) avevano sentito parlare di MP3. Chi avrebbe potuto prevedere che entro il 2020 tutti i megastore sarebbero morti e i coraggiosi e impoveriti Rob della situazione sarebbero stati gli ultimi rimasti?

La serie su Alta fedeltà fa i conti con la contemporaneità. Le playlist sono digitali, ma i cuori spezzati da uomini e donne incoscienti sono ancora scomodamente e dolorosamente analogici. In qualche modo, Rob è sopravvissuto al passaggio nel XXI secolo, perché le persone sono ancora disposte a pagare per qualcosa di onnipresente come l’aria che respiriamo. Dopo aver iniziato a usare Spotify, ho pensato: “È incredibile: ogni brano musicale di cui avrò mai bisogno, sul telefono che ho in tasca”.

Ma ho iniziato pensare che non prestavo sufficiente attenzione alla musica, non la rispettavo abbastanza. Ho ricominciato ad acquistare dischi, molti dei quali di artisti più recenti. Con un vinile devi stare fermo e ascoltare per 20 minuti, anziché skippare dopo i primi 10 secondi. Molti di noi sono circondati da libri dai quali non ci separeremo mai, perché ci dicono chi siamo. Lo stesso vale per la musica. Vogliamo lasciare il segno, staccare, trovare un piccolo angolo del pianeta che sia unicamente nostro. I nostri gusti riflettono un’immagine di noi stessi, un’immagine inevitabilmente molto più lusinghiera di un selfie. Nel 1995 non mi rendevo conto che stavo scrivendo un libro che avrebbe fatto da specchio per le generazioni future – una storia dentro cui anche loro avrebbero guardato, vedendo se stessi.

E non ho saputo che Alta fedeltà sarebbe diventata una serie tv fino a quando i piani non erano già piuttosto avanzati. Quando ho venduto i diritti cinematografici del libro durante gli anni Novanta, ho ceduto anche i diritti televisivi. Funziona così. Ma, alla fine del 2018, un’amica di un’amica di Zoë (Kravitz, ndt) mi ha contattato per dirmi che lei voleva parlarmi. È strano che suo padre sia una rockstar. È strano che sua madre fosse nel film. È strano che entrambi abbiano posato nudi per la copertina di questa rivista. Forse era tutto una specie di strategemma, un trucco?

Ma ogni dubbio sulla sua idoneità per l’adattamento e sulla sua profondissima serietà e cultura sono stati dissipati dalla nostra conversazione e dalla prima playlist che mi ha inviato, con brani di Alice Coltrane, Tierra Whack, William Onyeabor, Shuggie Otis, Betty Davis, Sun Ra, Clash, Spirit, MC5 e Darondo. Zoë sarà anche un’autentica star del cinema, ma si è rimboccata le maniche e ha fatto moltissime ricerche. Ero sicuro che avrebbe fatto un buon lavoro. E ci è riuscita.

Ogni volta che ho avuto modo di immergermi di nuovo nel libro, sono stato colpito dalla sua malinconia. E quella sensazione c’è tutta nella serie: la Rob di Zoë ama il blues. La sua musica è uno scudo contro il mondo, ma non le può dare tutta la protezione di cui ha bisogno – e, in ogni caso, la sua generazione ha molto più di cui preoccuparsi rispetto alla mia.

Non credo che chiunque abbia letto e adorato il libro, chiunque abbia visto e amato il film possa essere deluso dalla serie. Non potrei essere più orgoglioso di questo show. E se mai sorprendessi qualcuno a sostenere c’è stata una sorta di risveglio consapevole, con l’inversione di genere e l’inclusione di più di una razza e/o orientamento sessuale, andrò direttamente a casa sua e lo metterò a tacere. Perché indovinate un po’: Alta fedeltà non riguarda solo voi. Riguarda anche le persone che non sono come voi.