Perché in Italia non riusciamo a fare una serie come ‘Love & Anarchy’? | Rolling Stone Italia
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Perché in Italia non riusciamo a fare una serie come ‘Love & Anarchy’?

Una comedy femminile intelligente, dove il giochetto (sexy) diventa terapia e analisi sociologica. Tra senso dell'attualità e facce giustissime

Perché in Italia non riusciamo a fare una serie come ‘Love & Anarchy’?

Ida Engvoll in 'Love & Anarchy'

Foto: Netflix

Serie femminili e dove trovarle (in Svezia)

Love & Anarchy | Official Trailer | Netflix

Si fa presto a dire serie femminile. E si fa presto anche a non farla davvero. Ecco, Love & Anarchy invece ci prova, e ci riesce. Senza prediche e cliché ma, anzi, con un twist originale e pure pruriginosetto al punto giusto, che da noi: non sarà troppo? La scrittura dà una visione solida (e anche parecchio stratificata, fantascienza!) della vita e della mente della protagonista, Sofie: una consulente aziendale super smart e senza scrupoli, che viene chiamata per risollevare le sorti di aziende in crisi. Ma vediamo pure il lato di moglie un po’ annoiata di un fotografo/pubblicitario (che la vuole sempre figa ma pure materna) e mamma ansiosa di due figli. Una tipica famiglia borghese da quadretto con bella casa nel centro di Stoccolma. Praticamente l’esistenza della nostra è una corsa senza fine. Che si ferma solo quando lei si prende un po’ di sano tempo per se stessa. Perché sì, a Sofie – vivaddio – piace masturbarsi davanti ai porno sul cellulare, che sia nel bagno di casa o pure in ufficio. Non a caso Love & Anarchy è stato creato da una showrunner, Lisa Langseth, che è anche regista degli episodi, la stessa a cui dobbiamo la scoperta di Alicia Vikander. Noi praticamente non abbiamo ancora la figura dello showrunner, figuriamoci donna.

Il lato intelligente della comedy

Dopo Boris, il nulla. La commedia – o comedy, come si dice in gergo seriale – da noi non tira. Aggiungeteci in più: femminile (vedi sopra), borghese (non sia mai!), dove non contano le gag ma la scrittura (nel Paese del cabaret? Figuriamoci). Di recente ci ha provato Roberta Torre con Extravergine, che era un po’ tutte quelle cose insieme: non sapete di che stiamo parlando? Ecco, vale come risposta. Love & Anarchy è una commedia pura, neanche troppo “chick” come sembra. Ed è anche un racconto più sociale di quanto sembri, ma fatto appunto con gli strumenti della leggerezza, questa sconosciuta (a noi). E dire che il titolo pare ispirato a un cult italiano: Film d’amore e d’anarchia. Ma l’ironicissima Lina Wertmüller non ha lasciato troppi eredi…

Giochetto (sexy) o analisi sociologica?

Lui (il tecnico informatico) becca lei (la manager) che si masturba in ufficio e le fa un video. Poi la ricatta (più o meno). Lei gli offre un pranzo e si risolve tutto ma, a quel punto, sfida lui a fare cose sempre più assurde sul luogo di lavoro. Un saluto a Cinquanta sfumature (e pure all’erede polacco 365 giorni), le posizioni di potere si sono invertite. E gli svedesi sono più weird e raffinati: il giochetto sexy qui è più intelligentemente sociale (e sociologico e terapeutico) che mai. In palio c’è il rossetto preferito (by Yves Saint Laurent) di lei, ma – soprattutto – in corso c’è un flirt. In cui lui trova rifugio da una vita insoddisfacente e lei evasione dallo stress quotidiano. Con relativa analisi (seppur sommaria) dello strato sociale svedese: dai giovani in cerca di posto fisso alle madri in carriera. Che sfidano costantemente regole e imposizioni. Forse fra ventordici anni ci arriveremo anche noi. Per ora stiamo ancora tra la casalinga di Voghera che stira guardando Barbara d’Urso o quella borghese che trascorre le giornate a fare shopping. Con gli amici del figlio che magari la chiamano MILF.

Nel Paese dell’editoria (ah, no)

Una storia ambientata nel mondo dell’editoria. In Italia. Fa già ridere così, non serve aggiungere altro. L’unico scenario possibile sarebbe, forse, un mélo ambientato alla Adelphi, incentrato su un amour fou tra una editor e un correttore di bozze su sfondo di copertine dai punti di colore incantevoli. Il fatto, però, è che il nostro è il Paese in cui nessuno legge più, mentre in Svezia i numeri (e le classifiche) sono ben diversi. Dunque qui sarebbe impossibile un’ambientazione del genere, mentre a Stoccolma non fa nessun effetto che ogni tanto spunti, per dire, l’autrice di un bestseller sulla Scandinavia nazista, addirittura protagonista di un “caso” di puntata. Per non parlare dell’intero episodio ambientato durante la Fiera del Libro: per noi sci-fi pura. E dire che sullo scontro tra il Salone torinese e la manifestazione rivale milanese Tempo di Libri poteva venir fuori un bel thriller.

Il senso dell’attualità

Il senso dell’attualità: anche questo è un problema dalle nostre parti. Il gran finale di Doc – Nelle tue mani ci ha provato: ma quello che (attenzione: segue spoiler) sembrava Covid, arrivato nelle corsie del Policlinico di Argentero a rispecchiare la durissima realtà ospedaliera in quest’annata pandemica, invece Covid non era. La Svezia di Lisa Langseth pare invece, miracolo!, un Paese di oggi. Dove la gente manifesta davanti al palazzo del Parlamento come Greta Thunberg (vedi il tenero padre-sindacalista della protagonista) e in cui un network digitale (la Stream Us: nome splendido) vuole comprare la casa editrice in cui sono impiegati tutti i personaggi principali. Ne esce il resoconto di una società che fa i conti col proprio passato (c’è pure quello nazista, dicevamo) ma insieme viene traghettata verso la digitalizzazione. Ah, ma più di mezza Italia non c’ha manco la fibra: di cosa stiamo parlando.

Le facce giuste

A portare sullo schermo sexytudine e, soprattutto, stramberie, c’è Ida Engvoll (già vista in Mr. Ove, candidato all’Oscar nel 2017 come miglior film straniero), che pare un po’ la Margot Robbie di Svezia, con aggiunta di occhiaie, occhialoni e messy bun come stile di vita (vogliamo Carolina Crescentini nella versione italiana, se mai sarà). Il tecnico IT è interpretato dall’esordiente Björn Mosten, non esattamente sempre a suo agio ma abbastanza caruccio da sfangarla (e noi qui avremmo esordienti che gli farebbero le scarpe centomila volte). Intorno c’è poi un super cast di attori molto celebri in Svezia: da Björn Kjellman nei panni del proprietario della saga editrice Ronny (un personaggio che sarebbe perfetto per Stanley Tucci) a Johannes Kuhnke in quelli del marito egoriferito di Sofie. Se non si era capito, noi abbiamo già delle idee per il casting italiano. Call us.

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