Ok, ‘Che fine ha fatto Sara?’ è una boiata: e allora perché tutti la guardiamo? | Rolling Stone Italia
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Ok, ‘Che fine ha fatto Sara?’ è una boiata: e allora perché tutti la guardiamo?

La serie “made in México” è tra le più viste su Netflix. Con la sua trama gialla facile facile e il suo cast da telenovela, ci fa svuotare la testa. Pure troppo

Ok, ‘Che fine ha fatto Sara?’ è una boiata: e allora perché tutti la guardiamo?

Foto: Netflix

Per il giallo facile facile

Quién mató a Sara | Tráiler oficial | Netflix

Ce l’ha insegnato Agatha Christie: i gialli migliori sono quelli con pochissimi personaggi, e tutti sospettati. Non ci permetteremmo mai di associare la “signora in giallo” per antonomasia a questa truzzissima serie messicana. Non fosse che l’impianto è lo stesso: la giovane Sara muore in un lago (il titolo originale, e pure la traduzione inglese, sarebbe letteralmente Chi ha ucciso Sara?: non si capisce il perché dell’edulcorazione italiana), il fratello Álex finisce in carcere perché ricattato dalla ricca e potente famiglia Lazcano, il cui rampollo era fidanzato con la stessa Sara (nonché il principale indiziato della sua morte). Ma tutti – passati molti anni e uscito Álex di prigione – avevano un possibile movente per far fuori la ragazza. Non basta la famiglia di stronzi: chiunque faccia il suo ingresso in scena, anche solo per un secondo, passa per il presunto assassino. Visto che il giallo è facile facile, perché non complicarlo a caso?

Per la solita truzzeria latina

Truzzissima, dicevamo. Eravamo rimasti alla Spagna di Álex Pina, il creatore della Casa di carta che ha appena sganciato su Netflix la wannabe-tarantiniana Sky Rojo, ed ecco che arriva il Messico di José Ignacio Valenzuela (segniamoci il nome, di sicuro tornerà utile). La truzzeria è congenita ai format latini, si direbbe. Perché non basta il giallo su cui s’incardina la trama. Ci sono anche, in ordine sparso: bordelli sotterranei in cui si schiavizzano povere ragazze ungheresi; cacciatori di frodo su sfondo di safari; spettacolini al casinò in stile Cirque du Soleil di periferia; autoflagellazioni (tramite cilicio-autoreggente) per occultare il senso di colpa. E poi arredi e vestiti che dovrebbero essere raffinatissimi, e invece… Si capisce quando un’amica della coppia omo composta per metà da Chema, un altro figlio dei Lazcano, accoglie in casa un’amica (c’entra una proposta di maternità surrogata: non manca niente). «È proprio vero che i gay hanno buon gusto», dice lei. È, ovviamente, una casa truzzissima.

Per il cast (e la recitazione) da telenovela

César Lazcano (Ginés García Millán, il secondo da sinistra) coi figli Rodolfo (Alejandro Nones), Elisa (Carolina Miranda) e Chema (Eugenio Siller). Foto: Netflix

Un posto al sole è quello che hanno guadagnato i Lazcano a colpi di azioni mafiosette, ricatti, misfatti della peggior specie. Ma Un posto al sole vale anche nell’accezione soap dell’espressione. Anzi, no: qua siamo (giustamente) più dalle parti della telenovela sudamericana che più kitsch non si può. Il bello (o il brutto, a seconda di come la pensiate) è che, per scelta dei volti e stile della recitazione, è tutto sfacciatamente dichiarato. Ecco dunque partire una scena madre via l’altra, e ovviamente – anche se Álex in carcere è diventato un esperto di deep web e ora tiene tutti in scacco come un hacker professionista – non ci si telefona quasi mai: ci si presenta direttamente alla porta del rivale di turno, in perfetto stile Beautiful. Nella galleria di volti da Retequattro, menzione speciale alla coppia composta da Rodolfo (Alejandro Nones, idolo delle soap in patria: tra i suoi successi Amorcito corazón e Corona de lágrimas, e abbiamo detto tutto) e Sofía (Ana Lucía Domínguez). Manca solo Paolo Calissano.

Per l’effetto “come eravamo”

Si parte con Livin’ la vida loca di Ricky Martin: versione spagnola, of course. È la hit scelta come sottofondo dell’incidente iniziale in cui perde la vita Sara. Viviamo in un’epoca di pieno revival 90s, e anche la produzione latinoamericana segue il trend. Dall’incipit in poi, è tutto un andare avanti e indietro nel tempo, seguendo un po’ l’effetto nostalgia e un po’ l’altro trend delle ultime serie (soprattutto Netflix): i continui salti tra presente e passato che spesso fanno venire il mal di testa, vedi i recenti L’estate in cui imparammo a volare e The Serpent. Piuttosto accurato il casting dei volti giovani che interpretano i protagonisti attuali: tranne il simil-Brando Pacitto alias Chema, che non c’entra niente con la boccolosissima versione adulta.

Perché ti svuota la testa

Ammettiamolo: al lockdown numero (a che numero siamo arrivati?) chi c’ha voglia di impegnarsi troppo? Il segreto forse sta proprio tutto lì: nelle serie che ti svuotano la testa. E Che fine ha fatto Sara? è, in questo senso, infallibile. È tutto così – dicevamo – facile, truzzo, teleromanzato che non potremmo chiedere di meglio. Se non avesse fatto questo effetto, non sarebbe forse diventata un tale successo internazionale: la serie è arrivata al primo posto nella classifica dei titoli più visti anche su Netflix USA, lanciando un piccolo star system ispanico e creando dibattiti online. ¡Que viva México! Saranno pure dei tamarri, ma hanno vinto ancora loro.

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