X Factor 11: intervista a Lorenzo Licitra | Rolling Stone Italia
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X Factor 11: intervista a Lorenzo Licitra

Il tenore partito come outsider del programma è diventato la stella della squadra di Mara Maionchi, fino a trionfare contro i favoriti Maneskin: «All'inizio ho sofferto, non mi sento uno stereotipo»

Lorenzo Licitra è stata la sorpresa di questa undicesima edizione di X Factor. Passo dopo passo, è riuscito a conquistare il pubblico fino a sovvertire tutti i pronostici sul vincitore. Ventiseienne, siciliano, un diploma di tenore al Conservatorio di Piacenza alle spalle, il concorrente della squadra di Mara Maionchi è arrivato alla vittoria sul palco del Forum mischiando capacità vocali e amore per il pop.

Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di tutto il suo percorso.

Allora, come va?

Stanco, ma felicissimo.

Raccontami cosa è successo ieri sera?
[Ride] È una domanda a cui non posso rispondere, perché non lo so cosa sia successo. So solo che abbiamo vinto, questa è la cosa sicura! Una sorpresa, bellissima, molto molto bella.

Veramente inaspettata. Hai avuto un percorso da passista, un crescendo che è arrivato alla finale di ieri sera, in cui hai veramente tirato fuori tutto.
Sì, ci voleva il Forum perché succedesse.

Sì, perché, come si dice, il palco del Forum ti mangia, se non sei tu per primo a mangiarlo.
Sì, le alternative erano quelle. Sicuramente, ho approfittato di quel pubblico, di quel palco e mi sono stra divertito.

Sei arrivato all’ultimo scontro con i superfavoriti, i Maneskin, che hanno un approccio al palco molto fisico, molto performativo e completamente opposto al tuo, più tecnico a livello vocale. Credi che il fatto che la finale sia stata trasmessa in chiaro, quindi con un pubblico diverso, abbia influito sul verdetto finale?
Sicuramente, parlo a mio vantaggio, mi ha aiutato, può essere stata la chiave vincente. C’era un pubblico un po’ più aperto, ed è stata la chiave giusta.

Ieri sera hai dimostrato una nuova consapevolezza, come se avessi chiuso il cerchio della tua esperienza a X Factor. Da cosa parti adesso?

Parto da tutto quello che ho imparato in queste puntate, in questi due mesi, e da quello che ho preso anche al Forum, che mi è servito da scuola e da palestra. Lo sfrutterò per il futuro e lo tengo come grosso bagaglio. Un palco così ti dà una bella botta, te lo porti per sempre. Poi, non ero mai entrato al Forum, la prima volta che ho potuto vedere come fosse grande ci ho cantato, direttamente. È stato molto forte come impatto, ma in qualche modo lo dovevo dominare, quindi mi sono lasciato andare.

In conferenza stampa hai dichiarato che la tua visione della musica è un tuo “essere a servizio di chi ti ascolta”. Cosa vuoi offrire ora ai tuoi ascoltatori?

Si offre sempre se stessi quando si canta o quando si fa musica. Si regala ciò che si è. Voglio sicuramente continuare a fare musica in modo che arrivi a emozionare, questa è l’intesa giusta con cui voglio continuare a lavorare.

Tu vieni da un percorso inusuale rispetto a tutti i tuoi colleghi, dalla musica lirica. Cosa è scattato per farti fare questa scelta?
Guarda, rispetto a molti altri miei colleghi, che sono prettamente cantanti lirici, in me c’è sempre stata la voglia di sperimentare, di giocare come dico sempre, e di provare a cambiare o comunque a capire un po’ come influenzarsi tra i genere e come arrivare al pubblico in una maniera ancora più diretta. Quindi non c’è stato un cambiamento netto, questo non è mai avvenuto; c’è sempre stata, invece, una convivenza di quasi due anime: forse, per il primo periodo della mia vita musicale è prevalsa l’anima più lirica e adesso, invece, è arrivato il momento di mostrare anche l’altra anima. Devo dire che sta uscendo in maniera un po’ prepotente ma c’è, è presente.

All’inizio del percorso Mara ha scelto per te una figura un po’ da cantante confidenziale, diciamo, ed effettivamente in un ambiente come quello del talent l’immagine che viene cucita addosso ai concorrenti è un po’ quella che poi rimane. Hai paura di essere ancorato a uno stereotipo?
No, perché nonostante le prime puntate abbiano mostrato, sì, un atteggiamento un po’ rigoroso, un po’ classico, un po’ di quello che non si sa scomporre; ma poi, attraverso le diverse scelte, ma anche un po’ con il cambiamento mio nei confronti di quel palco, con i giudici davanti e le telecamere, è cambiato. C’è stata la voglia di far credere al pubblico che non fosse così e quindi è avvenuta un po’ quasi una liberazione, soprattutto gli ultimi tempi. Sono riuscito ad abbattere quel muro anche a livello fisico, ho cercato di sconvolgere un po’ e di togliere quell’immagine troppo classica che non mi appartiene – chiaramente, se devo cantare musica lirica, fa parte del personaggio, ma X Factor è un ambiente in cui è importante l’immagine e deve rimanere anche per un dopo.

Sì, è dove si crea l’identità artistica, diciamo.
Esatto. La mia identità artistica sicuramente non è quella delle prime puntate. Credo che al pubblico sia arrivato questo, perché, come dicevo prima, quei minimi feedback che abbiamo dal pubblico sono stati anche positivi su quest’aspetto.

Tu, come prima Enrico, hai lavorato con Mara, che per noi spettatori è sembrata quella molto più decisa e che lasciava forse meno spazio alla vostra iniziativa personale nelle scelte, nelle assegnazioni. Come è stato questo rapporto? Tu forse più di Enrico hai “sofferto” un po’ questa cosa.
Sì, l’ho sofferta un po’ all’inizio perché ecco le scelte mi sembravano un po’, non strane, ma diverse da quelle che mi aspettavo, o, comunque, dalle mie aspettative durante il programma.

Sì, perché tu alle audition avevi portato dei pezzi pop.
Sì, chiaro, io mi sono presentato come un cantante pop, un cantante che viene da quel mondo [la lirica] ma che vuole fare altro: perchè, comunque, se viene miscelato quel genere, quel tipo di musica, viene fatto in una certa maniera. È chiaro, quando mi è stato dato un pezzo come Miserere o Sere Nere, all’inizio, un po’, ho tremato – non perché avessi paura dei brani, anzi, sono dei brani, soprattutto Miserere, che canto anche fuori, nei concerti–– ma perché all’interno del programma sapevo avrebbe creato dei feedback un po’ diversi dall’immagine iniziale. Però ho sempre avuto un atteggiamento di fiducia nei confronti di Mara. Mi sono sempre fidato, perché Mara, comunque, ha tantissima esperienza. Se ti dice bianco e tu la pensi nero, devi fidarti se ti dice quel colore, perché sicuramente dietro quella sua scelta, dietro quella sua, anzi, intuizione, c’è sicuramente qualcosa di più grande.

Sì, lei sicuramente parte con una visione.
Sì. Devo essere sincero, durante il percorso, le cose sono cambiate, lei stessa si è resa conto forse che anche il pubblico voleva altro, e quando abbiamo scelto la “My Song” lei è stata subito d’accordo, non ha detto no. Io chiaramente ho scelto un pezzo che avrei scelto di nuovo ai bootcamp o alle audition, quindi un pezzo ultra-pop: Lady Gaga. Lei è stata subito d’accordo e alla luce delle sue scelte precedenti, capisco perché ha scelto Sere Nere.

Lì, forse ancora più dei Queen è stato dove, per noi, hai svoltato.
Mi fa proprio piacere, sai, perché chiaramente i Queen è più abilità vocale, è più tecnica.

Sì, diciamo che corrisponde al personaggio, ce lo aspettiamo.
A me piace proprio far questo, creare suspence, creare sorpresa in chi mi ascolta, un po’ come ho fatto all’inizio e, a occhi chiusi, non conoscendo i giudici, ho scelto io. È quello il mio stile, è proprio quello, e con Lady Gaga ho voluto cercare di tirare fuori un lato più emozionale, perché non conta sempre la tecnica, non conta sempre il cantare e saper fare mille note alte. Se si aggiunge anche, ecco, l’emozione con il saper cantare, è il mestiere giusto.

Tu hai avuto un percorso netto all’interno della gara, non sei mai andato al ballottaggio, quindi non hai mai avuto un feedback un po’ più concreto né dai giudici, né dal pubblico. Ti è dispiaciuta questa cosa o ripensandoci meglio così?
All’inizio un po’ i commenti che mi facevano mi hanno destabilizzato. I commenti dei giudici, all’inizio, con me non erano molto positivi, e quindi quello un po’ mi ha messo in dubbio e mi ha fatto un po’ paura. Però l’idea che sia andato un po’ tutto liscio, un po’ tutto in questa maniera, e che quindi non abbia avuto un confronto con i giudici al ballotaggio o con un eventuale tilt, sicuramente mi ha un po’ protetto, sono sincero. Sono contento, perché vuol dire che abbiamo lavorato bene e al pubblico è arrivato un messaggio positivo, quindi se siamo fin qui è molto positivo.

Chi avresti voluto in finale insieme a te?
Mi avrebbe fatto molto piacere che Rita continuasse il suo percorso, perché è una ragazza che può dare tanto e, soprattutto, ha un brano, scritto da Levante, che è il migliore, mi piace tantissimo – oltre a quello di Enrico, diciamolo, che è importante. Insieme a quello di Enrico è stato il pezzo che mi ha coinvolto di più, che mi ha lasciato molto al primo ascolto.

Parliamo del tuo inedito: tu e Andrea avete avuto questo scambio nell’inedito, nel senso che avete fatto una la cosa più ci saremmo aspettati dall’altro.
E invece no! Sono onorato di poter cantare un pezzo scritto da Fortunato Zampaglione, che per me è veramente uno degli autori massimi che c’è al momento. L’idea che lui potesse scrivere per me, dopo che ha scritto per Mengoni, la Michielin, Francesco Renga, Patty Pravo a Sanremo qualche anno fa, l’idea che anche io ci sia, con il mio piccolo nome, nella sua lista, mi rende onorato ed è un prestigio immenso. L’idea del singolo in inglese è molto semplice, nel senso che avevamo pensato anche a qualche brano in italiano, era in cantiere, però uscire da X Factor con un brano in italiano richiedeva più tempo di lavorazione e di studio. Quindi, in un certo senso, sarebbe passato un messaggio che non volevo passasse adesso, quello di una figura un po’ più impostata, di un personaggio un po’ più legato al personaggio che si è visto nelle prime puntate. Io voglio che il mio percorso si delinei ora, col tempo. Siamo alla scoperta, e l’inglese è un territorio quasi neutro in questo momento: per questo l’idea di scegliere un brano in inglese e un arrangiamento sotto che fosse abbastanza forte, non passasse inosservato. In the Name of Love è uscita un po’ in modo irruente, ma sono contentissimo, perché è un brano che resta in mente e che mi identifica al meglio.
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