Suburra, il nostro racconto dal set della prima produzione italiana di Netflix | Rolling Stone Italia
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‘Suburra’, il nostro racconto dal set

Arriva oggi la serie più attesa dell'anno: un mix esplosivo tra Stato, criminalità e potere religioso. Ecco cosa aspettarsi

Ostia, fine aprile. Mare agitato, cielo gonfio e una luce di taglio che buca qua e là qualche nuvolone. E poi vento, tanto vento. Siamo sul set di Suburra – la serie: davanti alle cabine di uno stabilimento, Numero 8 (Alessandro Borghi) e la sorella Livia (Barbara Chichiarelli) discutono di affetti, ma soprattutto di affari. E non vi possiamo dire di più, perché lo spoiler è in agguato.

Numero 8 è forse il personaggio più iconico uscito dal film del 2015 di Stefano Sollima, di certo è il più amato: «Ma se non si fosse sacrificato per Viola probabilmente non sarebbe così, il pubblico non lo avrebbe perdonato», spiega Alessandro Borghi, che quel ruolo se lo è cucito addosso prima nel lungometraggio e adesso nella serie. Con lui, direttamente dalla pellicola tratta dal romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, torna un altro dei “ribelli”: Spadino, interpretato da Giacomo Ferrara (Il permesso – 48 ore fuori): «Nel film Numero 8 mi fa fare una brutta fine, ma ci sono tante sfumature del personaggio che la serialità mi dà la possibilità di raccontare: la sua famiglia (c’è anche il terrificante capo degli zingari, sempre impersonato da Adamo Dionisi) ha una tradizione molto forte e delle regole precise, ma le regole non fanno per Spadino».

Abbandonate ogni speranza, Roma non sarà più la stessa.
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Pubblicato da Netflix su Venerdì 6 ottobre 2017

A differenza di Borghi, in versione biondo platino, il suo look è sempre lo stesso: cresta da tamarro, testa rasata ai lati e sguardo un po’ incavolato. La produttrice Gina Gardini dice a Giacomo che il suo aspetto e la sua interpretazione ricordano quella di Aaron Paul in Breaking Bad: «Jesse Pinkman è molto Spadino». E lui ringrazia, sorridendo un po’ imbarazzato per il paragone. Gli altri protagonisti di Suburra, prima produzione italiana di Netflix, realizzata da Cattleya con Rai Cinema, sono tutti nuovi. Tutti a parte Samurai, che però di nuovo ha l’aspetto: non più il volto di Claudio Amendola, ma quello di Francesco Acquaroli. «È il collettore di tanti interessi, e naturalmente sfrutta la sua potenza di fuoco, anche se la criminalità di oggi è più fredda, più calcolatrice. La linea è la stessa del libro e del Samurai filosofo impostato da Amendola, a cui ho aggiunto del mio».

Siamo nel 2008 (la serie è un prequel del film), tutto si svolge nei 20 giorni che intercorrono tra le dimissioni del Sindaco e il momento in cui diventano effettive: «Raccontiamo il vuoto di potere che si crea e il modo in cui ne approfittano tutti», affermano attori e produttori. Già, “potere” è la parola chiave. Suburra (oggi rione Monti) era il quartiere dove gli antichi romani andavano a gozzovigliare nei festini, il luogo in cui l’élite si incontrava con la mala per fare affari. Nella finzione è una metafora del mix esplosivo tra Stato, criminalità e potere religioso, tre mondi che si incontrano e si intrecciano indissolubilmente. Proprio come nella realtà: «I nostri sceneggiatori fanno un grande lavoro di ricerca sui fatti», afferma Riccardo Tozzi, presidente di Cattleya, che prima di Suburra ha creato Gomorra e Romanzo Criminale, «poi se ne distaccano e inventano i personaggi, che quindi non sono riferibili a nessuna figura esistente. Però niente di quello che fanno non è stato fatto». La Sara Monaschi interpretata da Claudia Gerini, per esempio, ricorda da vicino uno dei protagonisti dello scandalo Vatileaks: «Non si riferisce precisamente a qualcuno, ma alcuni elementi ci sono. È una donna molto ambiziosa che ha sposato un nobile romano in decadenza e, grazie alle conoscenze del marito, ha avuto accesso alla Commissione Vaticana. È in una posizione di grande influenza, in pratica al posto delle mani ha dei tentacoli (ride, nda)».

Barbara Chichiarelli e Alessandro Borghi sul set

La politica è rappresentata da Amedeo Cinaglia (Filippo Nigro), consigliere comunale e Presidente della Commissione urbanistica in Campidoglio: «Non è uno di quelli che decide direttamente, ma può – diciamo – facilitare. All’inizio ha tanti ideali, ma l’incontro con Samurai scatenerà in lui un senso di rivalsa che non riuscirà a controllare. Nel film invece il personaggio di Favino era un uomo di partito di primo piano, con una radice politica chiara, un parlamentare già corrotto da tempo». Tra i “ribelli” la faccia inedita è quella di Eduardo Valdarnini (Qualcosa di nuovo), alias Lele Marchilli, figlio di un poliziotto onestissimo, un ragazzo della media borghesia che aspira a frequentare la Roma bene: «Vuole scavalcare il proprio status, riscattarsi secondo le norme di una società che ancora non conosce, e con cui interagisce in maniera un po’ goffa. Dallo spaccio si trova invischiato in una situazione molto più grande di lui».

L’anima di Suburra è a metà tra new wave e post-punk

I tre mondi sono connotati visivamente anche dai colori diversi: «Il Vaticano ovviamente avrà sfumature rosse, la politica sarà neutra, quasi grigia, mentre la criminalità più al neon, con tonalità acide», svela Giuseppe Capotondi, uno dei tre registi della serie, insieme a Michele Placido e Andrea Molaioli. Lo stesso vale per la musica: «L’anima di Suburra è a metà tra new wave e post-punk», continua Capotondi. Ma ogni personaggio ha la sua colonna sonora: «Si va dai Crystal Castles alle composizioni sacre del ‘700, passando per il rap romano, la tradizione zingara e la musica tamarra di Spadino». Parliamo soprattutto di musiche non originali, di artisti più che altro stranieri («c’è qualcosa di italiano nei titoli di coda») e in linea con il film, che includeva brani degli M83. «La parte più elettronica e ambientale della soundtrack è quasi tutta di Loscil, compositore e performer canadese», spiega la Gardini. Ma, come spesso accade sul set, ogni attore ha una sua personalissima playlist, che lo aiuta a calarsi nel ruolo: se Claudia Gerini ascoltava spesso i Carmina Burana, «visti i meravigliosi palazzi antichi in cui abbiamo girato», per Borghi il discorso è più articolato: «Per interpretare Numero 8 mi sono ispirato a una persona che appartiene alla mia vita, che negli anni ’90 aveva 20 anni e ascoltava la dance di quel periodo, ma anche Loredana Berté, Anna Oxa e persino Marcella Bella: quando sento Nell’aria ho subito dei flashback». E poi tanta black music e hip hop – Drake su tutti –, soprattutto prima delle scene più faticose a livello fisico.

Alessandro Borghi, Eduardo Valdarnini e Giacomo Ferrara sul set di ‘Suburra – La Serie’

Per Giacomo Ferrara c’è una canzone che fa rima con Spadino: «Nella preparazione con il mio acting coach abbiamo trovato questa chiave della danza, un’escamotage che lui utilizza per chiudersi nel suo mondo, per mettere un muro e non fare vedere le sue emozioni. Il brano che usiamo è Asturias di Isaac Albeniz. Per il film invece avevo fatto riferimento all’hip hop romano, da Noyz Narcos a Cor Veleno». Eduardo ha un pezzo che usa come un mantra, che lo aiuta a rilassarsi: «È Bibo No Aozora di Ryuichi Sakamoto (Dalla colonna sonora di Babel, nda) e, nel periodo delle riprese mi sono appassionato ai N.W.A, che diedero vita al movimento gangsta rap. Poi io adoro il blues». Se Valdarnini ha fatto riferimento a una filmografia che ha per protagonista «un’umanità un po’ malata, da Michael Fassbender in Shame al tipo che Mastroianni rappresentava spesso, con quel modo di essere belli nel mondo, ma al tempo stesso sporchissimi», Ferrara parla del ghigno del Joker, «ma è solo una sottilissima e lontana suggestione», precisa, «e lo stesso discorso vale per The Snatch: c’è una ironia di fondo simile, ma quello che raccontiamo è totalmente diverso, perché il mio personaggio viene dal mondo gypsy, sinti, e già quello lo caratterizza molto, conferisce una certa teatralità nel muoversi e nel parlare. Sono andato alla scoperta del mio personalissimo Spadino, che non ha nessun legame con altre interpretazioni».

Alessandro Borghi nei panni di Numero 8

A fare da “drive” alla serie sono i personaggi: «Rispetto al film, dove alcuni eventi scatenanti portavano in sette giorni all’apocalisse, qui possiamo prenderci il tempo di approfondire», dicono i produttori. In particolare per Netflix sono importantissimi i ruoli femminili: «Non parliamo di quantità, ma di qualità», sottolinea Tozzi, «le donne devono essere il motore del racconto. Avevamo già fatto un’operazione simile con il personaggio di Donna Imma in Gomorra, e qui proseguiamo su questa strada». Ci sono personalità forti, conferma Capotondi: «Livia, la sorella di Numero 8, è una tostissima. Poi c’è la contessa, regina dei salotti romani, la mamma di Samurai; quella di Spadino, matriarca degli zingari; Isabel, la prostituta di cui si innamora Numero 8; Gabriella, l’ex moglie del consigliere comunale. Alzano il tono dei personaggi maschili, un po’ come Lady Macbeth».

Lo show è pensato su tre stagioni, la seconda è già in fase di scrittura: «La nostra serialità è molto radicata nel cinema», afferma il regista. «Abbiamo una lunga tradizione di film di denuncia, basti pensare a Todo Modo o alle pellicole di Francesco Rosi e Elio Petri, come Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto». «Le serie criminali americane, dai Sopranos a House of Cards, solitamente hanno grande profondità psicologica», continua Tozzi, «ma guardare alla società e alla politica con il filtro della criminalità è una nostra specialità. Netflix ci chiede di raccontare una storia locale e specifica, con un linguaggio internazionale. È questa la sfida».