'Sharp Objects': una reporter, i suoi demoni e due omicidi | Rolling Stone Italia
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‘Sharp Objects’: una reporter, i suoi demoni e due omicidi

Dentro la nuova serie tv con Amy Adams, il nostro nuovo brivido preferito. Dal 17 settembre su Sky Atlantic.

‘Sharp Objects’: una reporter, i suoi demoni e due omicidi

Come confezionare un prodotto di successo? Prendete Jean-Marc Vallée, uno dei registi più amati del momento, soprattutto dopo il successo della serie Big Little Lies; aggiungeteci Gillian Flynn, scrittrice plurigettonata negli ultimi anni, autrice de L’amore bugiardo – Gone Girl diretto da David Fincher e prossimamente partner in crime di Steve McQueen nella sceneggiatura di Widows – Eredità criminale con Viola Davis, Liam Neeson e Colin Farrell; e per finire, spargeteci sopra Amy Adams e Patricia Clarkson. Un tocco di southern charme, elementi thriller e temi sociali generazionali attuali, ed ecco Sharp Objects, nuova miniserie di cui Jean-Marc dirige tutti gli otto episodi, basata sul primo romanzo omonimo di Flynn, che firma lo script con Marti Noxon (sceneggiatrice di Buffy l’Ammazzavampiri).

Protagonista della storia è Camille Preaker (Adams), giornalista per il St. Louis Chronicle che viene mandata a Wind Gap, Missouri, dove è nata e cresciuta, con il compito di indagare sull’omicidio di due bambine, rivivendo molti degli incubi del passato da cui era scappata. Nel cast, oltre a Adams e Clarkson, anche Eliza Scanlen, Matt Craven e Chris Messina. «È una storia che racconta esperienze traumatiche vissute da donne di generazioni diverse, un soggetto visto raramente in tv», racconta Amy Adams alla presentazione della serie, in onda su Sky Atlantic a settembre. «Molte donne hanno problemi a parlare dei propri traumi, sia Camille sia donne come lei che vivono in questa città e non hanno mai condiviso con nessuno le proprie esperienze. Ogni giorno indossano un’armatura e vivono la propria vita come se nulla fosse. Camille ha vissuto e provato intensamente il dolore fisico e psico- logico durante varie fasi della vita, ma nonostante tutto riesce a proiettare esternamente un’immagine equilibrata e serena: nessuno immagina che il suo corpo possa essere ricoperto di cicatrici. O che sia alcolizzata. La gentilezza mostrata nei confronti degli altri è la maschera perfetta per nascondere la propria sofferenza, e sono sicura che in molti potranno relazionarsi con il proprio dolore e i danni con cui cerca di convivere ogni giorno. Ho interpretato molte donne forti, ma non ho mai vissuto una vita come quella di Camille, non conoscevo questo tipo di donna e quindi ero molto curiosa di entrare nella sua mente, anche se spesso mi sono ritrovata a immedesimarmi troppo, a esserle pericolosamente troppo vicina».

Anche per Jean-Marc Vallée, pur essendo un veterano di adattamenti da romanzi, avere un rapporto troppo profondo con il soggetto da adattare a volte presenta dei rischi: «Diventi troppo coinvolto e perdi il contatto con la tua realtà. Molti mi chiedono come riesco a bilanciare l’orrore di eventi come quelli descritti nel libro e combinarli con una vita “normale”. Ho una sola regola: attirare l’interesse di più gente possibile, esplorare a fondo il soggetto e raccontare la verità. Quando devo esporre e trattare argomenti gravi e dolorosi, è giusto farlo nel modo più autentico possibile. Sul set il piano è sempre lo stesso, riprendere al meglio tutto quello che gli attori hanno da dare, girare tutto il materiale di cui abbiamo bi- sogno per raccontare al meglio la nostra storia. Molti di questi personaggi sono incontrollabili, e devo ringraziare la scrittura di Gillian che li rende vivi e spontanei. Per me è stato molto importante descrivere temi attuali e rilevanti come l’abuso e il maltrattamento psicologico, ma allo stesso tempo anche aver avuto la libertà di poter aggiungere ele- menti thriller. Abbiamo scelto di fare quello che volevamo, perché in fondo è il nostro lavoro, è quello che sappiamo fare, possa piacere o meno. This is us».

Per prepararsi al ruolo di Camille, Amy ha cominciato dal libro. «Il libro è la fonte di ricerca primaria, anche perché Camille è il narratore della storia e c’è molto da esplorare nei suoi dialoghi interiori, per cercare di capire quali sono i suoi pensieri e scoprirne la personalità. Ho fatto molta ricerca sull’autolesionismo, Gillian mi ha consigliato di leggere A Bright Red Scream di Marilee Strong. Descrive tutto, è intenso, un’inchiesta profonda sul problema del cutting. È un racconto in prima persona di gente che ha vissuto quell’esperienza, che parla quel linguaggio, che ha provato quella sofferenza estrema. Ho cercato di capire cosa provano persone che praticano cutting, tagliarsi e incidere la carne, provare un dolore intenso che ti aiuta a dissipare rabbia e disperazione, vedere il sangue che esce e poi la cicatrice, testimone che ti riporta a quell’emozione intensa. Un segno, come un tatuaggio, che testimonia una fase traumatica della tua vita. È come se esternare il dolore ti possa aiutare a gestire la disperazione interna. Camille nello show non si taglia, e questo per lei è già una vittoria, ci arriva vicino molte volte, ma preferisce rifugiarsi nell’alcol. Forse perché, nonostante sia un’altra forma di assefuazione, le fa meno male, non scatena ricordi problematici».

Vallée era incuriosito dal progetto, non solo per le problematiche della storia, ma anche per la forte componente femminile, in vari livelli di produzione. «Non ho paura di lavorare con donne forti e indipendenti, anzi ho sempre qualcosa da imparare. Dopo aver letto il libro, volevo sapere di più su Gillian Flynn, una donna solare, dolce e comprensiva, madre di due bambini, ma capace di scrivere queste storie tristi e tormentate, che evidentemente nascono solo dalla sua immaginazione. Come scrittrice non ha paura di esplorare soggetti difficili, impopolari, che possa- no scuotere il pubblico. Trovo che il suo modo di presentare le donne al mondo sia molto moderno, non sono carine e gentili, hanno molte imperfezioni, ma proprio questo le rende estremamente complesse». Sharp Objects esplora anche la Sindrome di Münchhausen per procura, la MSP. Disturbo che prende il nome da il barone di Münchhausen, conosciuto per la ricchezza e la fantasia dei suoi racconti. «Ho letto molto su questo disturbo», continua Amy. «Come genitore per me è orribile cercare di immaginare quello che succede nella mente delle persone che ne soffrono. Gillian ha voluto trattare anche questo argomento che colpisce per la maggior parte donne adulte che fanno del male ad altre persone, in genere bambini, per attirare attenzione su di sé. In realtà sono spesso dei soggetti che hanno sofferto lo stesso problema. Come madre è stato traumatizzante immaginare di mettere intenzionalmente in pericolo la vita dei miei figli. È un pensiero innaturale».

La storia è ambientata a Wind Gap, Missouri, ma la serie è stata girata a Barnesville, Georgia, a un centinaio di chilometri da Atlanta. Per Vallée non avrebbe potuto esistere location più adatta. «È molto simile al paese che Gillian aveva in mente. È verde, lussureggiante, e siccome la storia è ambientata tra il Midwest e il sud degli Stati Uniti, volevo che fosse vicina a quel tipo di cultura storica, con tradizioni radicate, simile a quella dove è cresciuta Gillian».

La musica per Jean-Marc Vallée è importante quanto i personaggi o le location. «Basti dire che la sigla iniziale dello show rappresenta il close-up di un giradischi, e ogni volta è accompagnata da una canzone diversa. La musica fa parte della storia, soprattutto del passato dei personaggi. Non uso mai un compositore, preferisco lavorare con canzoni esistenti e quindi la prima cosa che faccio in preproduzione è pensare alla musica. Mi piace accompagnare le immagini usando musica diegetica,quella che ascolta noi personaggi che vediamo nell’inquadratura: spesso proviene da una radio,un giradischi,uno strumento musicale,una televisione o, come nel caso di Camille, da un iPod. Preferisco che i protagonisti siano il veicolo per farci scoprire aspetti del loro stato d’animo attraverso la musica. Camille è stata complicata, perché la musica le scatena ricordi dolorosi e la porta a scoprire elementi del proprio carattere, oltre a vedere il mondo che la circonda in modo diverso. Il marito di Adora (la mamma di Camille, nda) è un appassionato, suona il piano, ama la classica o i crooner come Engelbert Humperdinck o le colonne sonore della vecchia Hollywood. In un certo modo è un processo più organico e trasparente, meno invasivo”.

Nella colonna sonora si trovano anche quattro pezzi dei Led Zeppelin, band notoriamente restia a concedere i diritti delle canzoni. «Non è facile, ma non è la prima volta che il mio supervisore musicale Susan Jacobs riesce a convincere la band. Perché gli Zeppelin? Per me sono stati molto importanti in diverse fasi della mia vita, diciamo che ho un rapporto in continua evoluzione. È stata la band che ho ascoltato di più durante l’adolescenza, e forse li devo ringraziare perché, senza di loro, non so se sarei arrivato a 21 anni. Per noi cresciuti negli anni ’70 sono la colonna sonora che narra un preciso momento storico. Quando ascolti una delle loro canzoni, sei instantaneamente trasportato in un altro mondo. E questa era la vera essenza che volevo trasmettere in ogni puntata».

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