8 motivi per cui anche noi ci siamo convertiti a ‘Doc – Nelle tue mani’ | Rolling Stone Italia
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8 motivi per cui anche noi ci siamo convertiti a ‘Doc – Nelle tue mani’

Gli ascolti clamorosi, la regia ‘che non sembra di essere sulla Rai’, Luca Argentero più affidabile di Don Matteo. Al colpaccio di Rai 1 nell’anno del lockdown forse non si può davvero resistere

8 motivi per cui anche noi ci siamo convertiti a ‘Doc – Nelle tue mani’

Matilde Gioli e Luca Argentero in ‘Doc – Nelle tue mani’

Foto: Rai

Conversione è la parola giusta. Lux Vide, cioè la casa di produzione dietro l’ultimo colosso di Rai 1, è comunemente nota come “quella dei santi”, cioè le fiction che vanno dalle storie bibliche a Padre Pio. Più Don Matteo e – recente svolta international – I Medici. Nell’anno della pandemia, ha messo a segno l’ultimo colpaccio: Doc – Nelle tue mani, il General Hospital starring Luca Argentero che è stata la serie-caso della tv generalista. E che, in questo principio di quarantena bis, è tornata più forte di prima. E niente: c’avevano ragione loro. Ecco perché.

Gli ascolti

La questione è semplice: la fiction Rai faceva il 15% di share nei giorni precedenti al lancio di Doc. Dopo il debutto della serie durante la prima ondata del virus e la crisi sanitaria, è arrivata al 30%. E lì si è attestata, pure dopo la pausa e la ripresa autunnale, continuando a tenere incollati alla tv ogni giovedì sera tra i 7 e gli 8 milioni di telespettatori, che di questi tempi di piattaforme, binge watching, ecc, pare davvero follia. Senza contare tutte le persone che poi recuperano su RaiPlay (eccoci qua). Poi è arriva l’intuizione della direzione fiction Rai, che probabilmente, come molti italiani, aveva previsto il rischio di un secondo lockdown: non più due puntate alla settimana, ma soltanto una, in modo da spalmare gli episodi in un lasso di tempo maggiore e tenere compagnia alle persone il più a lungo possibile. Genio!

La recitazione

Gianmarco Saurino in ‘Doc – Nelle tue mani’. Foto: Rai

Qualcuno l’ha ribattezzato Dog: esagerati. Detto con tutto il rispetto, la recitazione non è esattamente quella di Downton Abbey, d’accordo. Ma va bene così. È la Rai, bellezza, e il merito è aver messo accanto a Luca Argentero, perfettamente in parte (soprattutto quando si mette a fare il confessore di tutto il reparto come manco Terence Hill a Gubbio), una schiera di volti più o meno noti della tv popolare di oggi. Se tra le ragazze svetta Simona Tabasco, la dottoressa caratterizzata come “dura”, il maschietto che titilla i sogni delle casalinghe (e non solo) è Gianmarco Saurino, nato nel vivaio Lux Vide (Che Dio ci aiuti) e qui nel camice di Lorenzo Lazzarini. Ovvero, il dottorino che si contende con Argentero l’amore di Matilde Gioli: che scelta difficile, ragazza.

Il mix di drama e comedy

La struttura dell’episodio è sempre la stessa, e te credo: è a prova di bomba. Ovvero: impianto narrativo “macro” che lega tutti i personaggi principali – con storyline dedicate: dal medico con alle spalle il dramma dei campi di prigionia libici (!) a quello che ha subìto l’amputazione di un arto – e due casi clinici a puntata. Che sono, altro colpo di genio, alternati tra drama e comedy. Per dire: al male incurabile (che ovviamente nasconde una sindrome che nessuno tranne Matilde Gioli conosceva prima) è sempre associato, per dire, il caso del paziente intollerante al lattosio ricoverato d’urgenza perché ha bevuto latte d’avena (leggete le etichette!); al cancro tragicissimo la storiella del cagnolino dell’uomo finito in ospedale che non vuole lasciare da solo il padrone; e così via. Tanto che, quando una non è abbastanza drammatica e l’altra non è abbastanza leggera, quasi ci si resta male.

Le guest star

La prima è stata Valeria Fabrizi (pure lei già in Che Dio ci aiuti: era Suor Costanza). Ovvero, la diva del cinema italiano che ha lavorato in passato con Fellini e Antonioni (cuori) e che, nel letto d’ospedale, legge un copione inviatole da Benigni (cuorissimi). Già quello bastava. Poi, in una delle ultime (clamorosissime) puntate, è arrivata Ilaria Spada, sempre diva ma del cinema di oggi: vive a Los Angeles (come tutte le star italiane, no?) e ha molti conti in sospeso da regolare, ovviamente in quel reparto (segue colpo di scena assoluto: ma davvero). Due supporting incredibili, a cui però ruba la scena la vera “guest” di punta di Doc fase 1: Fiammetta Cicogna. Alias l’influencer che fa le dirette su Instagram anche dalla sala operatoria e che scopre (spoiler) che le vecchie protesi di silicone da discount rischiano di provocarle un’infezione al seno. Tutto cultissimo. E, dopo la somma performance in Made in Italy, l’insospettabile Fiammy dimostra ancora una volta di essere una caratterista comica di razza.

La regia

Luca Argentero e Jan Michelini sul set di ‘Doc – Nelle tue mani’. Foto: Rai

Avete presente Medical Dimension, l’esperimento post Occhi del cuore di Boris che mirava a portare nella tv generalista un prodotto “poco italiano”, cit. Stanis La Rochelle? Il centro della questione era la regia, che René Ferretti voleva più “ammerigana”, più innovativa, “più” tutto. Insomma: meno Rai. Ecco. Jan Maria Michelini, che possiamo considerare un po’ lo showrunner di Doc (e che ha diretto le puntate insieme a Ciro Visco), è cresciuto professionalmente sui set di Ron Howard, Mel Gibson e Ryan Murphy, ha diretto qualche puntata dei Medici e metà della prima stagione di Diavoli (il finance thriller con Alessandro Borghi e Patrick Dempsey) insieme a Nick Hurran, nominato agli Emmy per il suo lavoro su Sherlock. E ora è uno dei nomi di punta della serialità made in Italy, che made in Italy lo sembra sempre meno. Sì, anche in prima serata sulla tv di Stato. Perché la mano è decisamente più sofisticata, attenta ai dettagli e riflessiva, ma pure – vivaddio – più energica.

L’happy ending obbligatorio

Guardando Dr. House, abbiamo tutti imparato nomi di malattie che mai avremmo pensato di vantare nel nostro vocabolario, magari facendoci anche venire un po’ di strizza dopo aver pensato di avere uno dei sintomi con tanto di solita ricerchina allarmante su Internet. Niente paura: anche qui se ne vedono delle belle, ma Doc non vi vuole mandare a nanna con l’ansia. Non importa che inferno possa succedere durante la puntata: meningiti fulminanti, amebe mangiacervello, suorine con gravidanze extrauterine e embrioni calcificati, porpora trombotica, sclerosi multipla, intossicazioni di ogni sorta, aneurismi, lesioni, emolisi, cirrosi epatiche (and on and on). Alla fine il team di Argentero e Gioli trova sempre la cura per tutto. O il modo di far convivere i pazienti con la loro nuova condizione. Anche perché la premessa (il primario di medicina interna che perde un paziente e viene colpito alla testa da un proiettile sparato dal padre di quest’ultimo, che gli fa perdere i ricordi di 12 anni di vita) è già abbastanza traumatica. E poi Doc è stato lanciato in piena pandemia da coronavirus (che, siamo sicuri, prima o poi vedremo anche sullo schermo). Meglio quindi finirla tra sorrisi (soprattutto se sono quelli rassicuranti di Argentero), baci e abbracci. Almeno nella fiction.

Le location hi-tech

La hall del Policlinico Ambrosiano pare quella di un grande giornale di moda (Mode e Ugly Betty vi dicono qualcosa?), tanto che ti aspetti di vedere Anna Wintour prendere l’ascensore da un momento all’altro con codazzo di assistenti. E tutti gli ambienti, a partire dall’ufficio in cui dottori e dottorini scrivono sulla lavagna i sintomi come ci ha insegnato Hugh Laurie, sembrano usciti dalla sede di Facebook o di un altro gigante della tecnologia. Altro che Milano, qui siamo nella Silicon Valley.

La musica

Su Wikipedia si legge: «I brani musicali sono composti da Tony Brundo e cantati da Nico Bruno». Chiunque essi siano. E però, da “ma che canzoni sono mai queste?!” ti ritrovi col passare delle puntate ad anticipare le mosse musicali di fronte ai momenti clou. Breve legenda sonora per chi si approcciasse solo ora alla serie: I’ll Find You in the Dark è il pezzo che solitamente accompagna le scene d’amore; Need You Right Now quello più passional-erotico (siamo sulla Rai, d’accordo, ma è pur sempre il 2020); Changed at All il tema, diciamo così, riflessivo-esistenzialista. Ah, e poi c’è la perenne musichetta della sigla: tan tan tan tan tan /tan tan tan tan tan… Vabbè, se la sapete, la state già canticchiando: vi sentiamo.