Zandalasini intervista la nazionale di basket under 16 campione d’Europa. E viceversa | Rolling Stone Italia
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Zandalasini intervista la nazionale di basket under 16 campione d’Europa. E viceversa

La più forte giocatrice di pallacanestro italiana, di ritorno dalla sua seconda stagione WNBA, incontra le ragazze che hanno fatto la storia con il titolo giovanile in Lituania. Per una chiacchierata sulle passioni, i sacrifici, le suore...

Zandalasini intervista la nazionale di basket under 16 campione d’Europa. E viceversa

Cecilia Zandalasini, chi legge queste pagine (su cui lei ha raccontato in prima persona le sue esperienze americane negli scorsi mesi) lo sa bene, è il volto del basket femminile italiano. Con il suo sorriso e i suoi canestri è riuscita nel miracolo di portare lo sport sui giornali e in tv (dove anche i colleghi maschi faticano a ritagliarsi degli spazi). 22 anni, nata a Broni, nel pavese, è da poco tornata dagli Stati Uniti, dopo l’eliminazione delle sue Minnesota Lynx (con cui lo scorso anno ha vinto il titolo WNBA) dai playoff contro le Los Angeles Sparks. Eppure, all’inizio, la più timida del gruppo pare lei, mentre fa il suo ingresso nella redazione di Rolling Stone assieme a Ilaria Panzera, Giulia Natali e Martina Spinelli, tre delle meravigliose ragazze che pochi giorni fa in Lituania hanno vinto l’oro all’Europeo Under16 per l’Italbasket femminile. Per le azzurre è la prima volta.

Ilaria (lombarda, che ha conquistato la massima serie con il Geas di Sesto San Giovanni), Giulia (che viene da Ferrara e gioca già in Serie A a Vigarano) e Martina (brianzola, protagonista di una fantastica stagione a livello giovanile a Costa Masnaga), medaglia al collo, si accomodano e accendiamo il registratore per una lunga chiacchierata, in cui sono loro a fare le domande al loro “idolo” Zandalasini, e viceversa. Man mano la timidezza cade, merito anche di un gruppo di “sorelle” monzesi.

Cecilia Zandalasini in maglia Lynx

RS Guardi queste ragazze, che hanno sei anni meno di te e i tuoi stessi obiettivi, e cosa vedi?

CECILIA Mamma mia, subito una domanda difficile. Con alcune di loro ci siamo incrociate in campionato, ma di fatto le conosco ora. Abbiamo un percorso comune, la differenza è che io alla loro età non avevo vinto l’oro, quindi un po’ le invidio. Sono solo all’inizio, ma sono un bel gruppo e hanno fatto qualcosa di grande.

RS Ti mette un po’ di ansia il fatto che a 22 anni c’è già qualcuno che ti guarda con quegli occhi un po’ luccicanti, come stanno facendo loro adesso?

CECILIA Non mi mette pressione, perché parliamo di sport, di una passione comune. Mi fa piacere che altre persone mi vedano come una da imitare, ma poi il percorso che si fa è individuale. Loro faranno la loro strada (e tanta), come io ho fatto la mia.

RS Quando hai iniziato tu, però, non c’era una Cecilia Zandalasini a aprire la strada?

CECILIA Ma io sono sempre stata una un po’ fuori dal mondo, in realtà. Spesso non conoscevo nemmeno i nomi delle giocatrici, o le loro storie. Sono fatta così.

RS Sei andata fuori di casa giovanissima per giocare a Schio, sei diventata “adulta” davvero presto. Ti ha mai pesato?

CECILIA Questo è il mio stile di vita, chiamiamolo così, da cinque anni ormai. A 18 anni vivevo già da sola, sono abituata. Da due anni viaggio tanto, ed è stato un cambio ulteriore. Ma penso, e spero, di non essere cambiata io. Sono una ragazza di 22 anni che gioca a basket a livello professionistico, so che rispetto ai miei coetanei faccio cose molto diverse. Ma questa è la mia vita, e mi piace parecchio.

Un momento dei festeggiamenti per il titolo under 16 delle azzurre

RS Chi è Cecilia Zandalasini per voi?

GIULIA (che ha da poco battuto il record di Cecilia come più giovane convocata nella nazionale maggiore, e come lei indossa il numero 9) Per le ragazze della nostra età è un esempio, ammiro la giocatrice fantastica che è diventata. Il suo percorso è simile al nostro, lei sa bene quali cosa significhi fare dei sacrifici per lo sport. Essere qua con lei è un onore.

RS E se andassi negli Stati Uniti, dove vorresti andare?

GIULIA Mmm, Miami (nell’attesa che creino lì una franchigia WNBA, ndr).

MARTINA Lei è un esempio per tutte noi: non è solo una questione tecnica, ma personale. Ha i riflettori sempre addosso, perché oggi il basket femminile è lei. Ed è bello vedere quanto sia sempre umile. Ciò che sta facendo, e come lo sta facendo, è davvero qualcosa di molto figo. (ride)

ILARIA Io e lei abbiamo un problema, perché lei è sponsorizzata da un brand e io da quell’altro (indica la sua maglietta, con il celebre simbolo di una marca sportswear, da sempre concorrente di quella che indossa Cecilia). Scherzi a parte, la dobbiamo tutti ringraziare, perché ha fatto spiccare il volo all’Italia del basket. Io gioco per la stessa società in cui lei ha fatto le giovanili, almeno una cosa in comune la abbiamo. A volte mi paragonano persino a lei, mannaggia (ride). Mi piace molto, anche sui social è fortissima.

RS Loro ti seguono tutte, guarda che da oggi lo devi fare anche tu.

CECILIA Va bene, promesso (abbiamo verificato, lo ha fatto).

MARTINA Qual è stata l’emozione che hai provato quando ti hanno chiamato la prima volta dall’America?

CECILIA È stata una cosa un po’ strana. Io ero appena tornata dall’Europeo e in quel momento odiavo il basket, perché avevamo perso la finale. Appena scesa dall’aereo, il mio manager mi ha detto che mi volevano a Minnesota, e subito. Erano a metà stagione, e io ero un po’ sconvolta. Ho letto il roster, ho visto il nome di Maya Moore e di altre leggende e continuavo a chiedermi “ma davvero? Io?”. Erano talmente famose che le conoscevo persino io, che non avevo mai visto una partita di WNBA prima di giocarci. Ci ho pensato su un bel po’, perché mancavano poche partite al termine della stagione ed era un grande passo da compiere: non ero certa di essere pronta. Però ho deciso di buttarmi, e sono contenta di averlo fatto.

Cecilia Zandalasini, foto Unaforesta – Double Clutch

GIULIA Hai fatto tanti sacrifici per arrivare dove sei ora. Senti che ne è valsa la pena?

CECILIA Be’, sì, sicuramente. Alla vostra età non mi sarei immaginata di arrivare fin qui, ho superato le mie stesse aspettative.

ILARIA Hai un routine pre-game?

CECILIA Sono abbastanza easy, non sono una maniacale che deve mangiare sempre le stesse cose, indossare gli stessi vestiti o sentire la stessa musica. Ho conosciuto giocatrici che stanno in fissa con queste cose, non è roba da me. Fino a due o tre ore prima della partita per me è un giorno come un altro, poi cerco di concentrarmi sul serio. In America mi hanno un po’ cambiato la tesata, perché là il giorno della partita è sacro e devi dare tutta te stessa al gioco. La preparazione al match è molto impegnativa: guardi i video, sfogli venti pagine di scout sugli avversari. A volte è anche un po’ pesante, ma dà i suoi frutti.

ILARIA Che musica ascolti prima del match?

CECILIA Mi piace tanto l’indie italiano, sicuramente Calcutta, ma non è tanto da pre-game. L’ultimo pezzo che mi gasa parecchio è la My Blood dei Twenty One Pilots. E tu, dimmi una canzone?

ILARIA Ozuna, El Farsante.

MARTINA Questa (la fa sentire sullo smartphone). OG Eastbull, Bella giornata. Durante l’Europeo la cantavamo tutte nello spogliatoio, perché una nostra compagna ce l’ha messa in testa.

CECILIA Senza fare la strizzacervelli o cose del genere (anche perché io alla vostra età non sapevo che ne sarebbe stato di me), vi sentite che il basket è quello che volete fare nella vita?

GIULIA Io ho iniziato a giocare a 5 anni, perché mio padre giocava. Il basket per me è una passione. Ho giocato con i maschi fino a 14 anni, l’età massima, e poi sono passata alle varie selezioni femminili. La mia idea è quella di finire il liceo nella mia città, Ferrara, poi si vedrà. Ma di certo nella mia testa c’è l’idea di continuare a giocare basket, e crescere sempre di livello. La pallacanestro è la mia priorità, e sono pronta a sacrificare tutto per lei.

In posa con la coppa, a Kaunas

MARTINA Facciamo sacrifici per questo sport sin da quando siamo bambine. Anche io ho iniziato a cinque anni, innamorandomi delle foto di mio nonno, che giocava a Cantù. Anche mia mamma giocava, e mio fratello, di cui da piccola non mi sono persa una singola partita, né allenamento. La passione mi è stata tramandata, e io l’ho coltivata giorno per giorno. Non so cosa arriverà in futuro, ma proverò a fare più strada possibile.

RS Come va con lo studio?

MARTINA Faccio il liceo artistico a Monza, dalle suore. Mi piacerebbe fare la grafica, anche perché so bene che con il basket femminile non è semplicissimo campare. Oppure vado a lavorare nell’azienda dei miei, che costruiscono piscine.

ILARIA A casa mia, invece, non giocava nessuno, ma mio padre mi portava sempre a vedere le partite dell’Olimpia e a cinque anni e mezzo mi ha iscritta al minibasket al mio paese, Melzo, vicino Milano. Ho un fratello gemello, e abbiamo passato anni e anni a sfidarci (è più basso di me di 2 centimetri). Spero tanto di poter diventare una professionista, ma ci vuole anche un po’ di fortuna. Non riuscissi, mi piacerebbe continuare a rimanere in ambito sportivo: magari la giornalista, l’allenatrice o la fisioterapista.

RS Cosa vi ha lasciato la vittoria dell’Europeo?

MARTINA Non credo di aver ancora realizzato. Campionessa europea? Io? Una volta, ricordo, mi era arrivata una richiesta da una squadra lontana dal mio paese. Io volevo andare a tutti i costi, ma per mia mamma ero troppo piccola. Allora io le dissi: “Ok, però, se arrivasse una convocazione per un raduno della nazionale, anche da riserva, prometti che lo prendiamo in considerazione”. Da lì al titolo europeo ce ne passa davvero tanto.

GIULIA Quando mi sveglio la mattina, da giorni, mi riguardo le foto dell’Europeo. I video delle partite li ho già rivisti tutti, non riesco a smettere. Durante la partita con la Spagna ho avuto un momento di difficoltà, sarà stata l’emozione o la stanchezza, e rivedere quello che hanno fatto per me le mie compagne, che non mi hanno fatto sentire sola in quell’istante di debolezza, è davvero emozionante. Quattro o cinque anni fa non sapevo nemmeno che ci fosse la nazionale giovanile, giocavo con le mie amiche bimbette, con le calzette rosa… l’ho scoperto quando è arrivata la prima convocazione. Al primo raduno ho portato tutti i vestiti da casa, non pensavo che ci avrebbero dato davvero le canotte azzurre. E ora siamo campionesse.

ILARIA Io ero certa che avremmo vinto. Era un anno che lo ripetevo a tutte, e mi arrabbiavo quando qualcuna non sembrava convinta che ce l’avremmo fatta. La sensazione è bellissima, una figata.

RS Come va con la popolarità?

GIULIA Per giorni su WhatsApp è stato un bombardamento. A Ferrara un sacco di gente, dopo gli articoli dei giornali locali, mi ha fatto i complimenti in giro per strada. I prof a scuola si sono tutti congratulati.

MARTINA Le suore, invece, no.

Cecilia Zandalasini, foto Unaforesta – Double Clutch

RS Quanto si “normalizzano” le emozioni che dà il campo. Una vittoria a 16 anni è diversa da una alla tua età?

CECILIA Le botte di adrenalina ci sono sempre. Quando sei ragazzina sei meno abituata, e così le emozioni sono un po’ più ingenue. Io ho vinto l’argento con l’Under16 ed è stata una sensazione speciale perché condivisa con un gruppo fantastico, al termine di un percorso assieme. Con il passare del tempo queste gioie rimangono, ma diventano più consapevoli.

RS Qual è il posto più figo dove avete giocato finora?

GIULIA Direi il Trofeo delle Regioni al PalaDozza di Bologna.

ILARIA Il PalaWhirpool, a Varese, quando ancora giocavo con i maschi. Ricordo sempre con piacere anche il viaggio della speranza che abbiamo fatto in pulmino per arrivare a Orvieto.

GIULIA In campionato si va sempre in pulmino, usiamo l’aereo solo per raggiungere Ragusa. Napoli, Battipaglia, tutte in pulmino.

MARTINA Io ho nel cuore l’Europeo giocato a Bourges, in Francia: negli spogliatoi c’erano dei divanetti strafighi.

RS Quando siete in giro capiscono che giocata a basket? Si informano su chi siete?

MARTINA Tutti credono che giochiamo a pallavolo. C’è scritto basket grande sulla maglia, ma tutti chiedono “giocate a pallavolo?”.

CECILIA Se sei alta e hai la tuta, penseranno sempre che giochi a pallavolo.

RS Qual è il posto più bello dove hai giocato in questa tua prima stagione integrale negli States, Cecilia?

CECILIA Lo Staple Center a Los Angeles, con i drappi sul soffitto dei titoli dei Lakers e la maglietta di Kobe appesa. Fuori dal campo, invece, Las Vegas: abbiamo fatto là una vacanzina durante l’All Star Game, e ci siamo divertite parecchio.

RS Siete contente che Cecilia non sia più in Italia (ha firmato per il Fenerbahce, dopo i quattro anni a Schio e il titolo nazionale vinto a maggio, ndr)?

ILARIA Vabbè ma se ti chiama il Fenerbahce… anche io lo avrei fatto. Spero che ora non si spengano i riflettori sul basket femminile, visto che era lei che lo illuminava.

RS Ti scoccia che per salire di livello tu abbia dovuto lasciare l’Italia?

CECILIA Per me andare in Turchia voleva dire alzare l’asticella. Incontrare nuove persone, una nuova cultura, un nuovo basket, inoltre, fa parte del mio Process (il riferimento è al motto dei Philadelphia 76Ers, Trust the Process, ndr).

La gioia dopo la sirena finale a Kaunas

RS Quali sono i prossimi appuntamenti con la nazionale?

MARTINA Speriamo che ci chiamino per l’Europeo Under 18 l’anno prossimo, anche se siamo del 2002 e avremo un anno in meno del limite massimo per le convocazioni.

CECILIA Con la nazionale maggiore, invece, abbiamo le ultime due partite di qualificazione a novembre, speriamo bene.

RS Quanto possiamo stare tranquilli anche per il futuro, con queste nuove generazioni che scalpitano?

CECILIA I risultati parlano chiaro. Io le aspetto con ansia.

RS Fai la vecchia, dai loro un consiglio.

CECILIA Oddio, ma come faccio? Non ne hanno bisogno. Di divertirsi il più possibile, e giocare sempre per il piacere di farlo.

RS Che consigli avete, invece, voi per Cecilia?

MARTINA Di continuare così. Prima di lei il basket femminile era considerato zero, ora siamo qua a parlarne.

 

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