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Ti ricordi quel missile di Roberto Carlos?

Il ventennale di un tiro che ha segnato un'epoca, una parabola vintage ancora inspiegabile

Verso la fine del secondo millennio il calcio entra in una fase di cambiamento epocale. Lo sport più diffuso al mondo si globalizza ulteriormente, soprattutto grazie all’ampliamento del numero di partecipanti ai Mondiali e alle nuove tecnologie. A Francia 1998, infatti, si passa per la prima volta a una formula a 32 squadre, aggiungendone 8, la maggior parte appartenenti alla ‘periferia’ del football. Di pari passo, internet si afferma come rete intercontinentale, collegando in un singolo abbraccio il pianeta. Storie di campioni che prima potevano restare circoscritte al panorama europeo e sudamericano, guadagnano la ribalta in Africa, Asia, Nord America e Oceania. Si moltiplica la visibilità del calcio e le conseguenze le viviamo oggi: un gesto tecnico realizzato in una delle arene più importanti del mondo può avere lo stesso risalto di un dribbling sopraffino sul cemento di un quartiere suburbano. Tutto ciò non fa che aumentare il numero di giocate potenzialmente iconiche del calcio. Tuttavia, quelle in grado di entrare nell’immaginario collettivo di un’intera generazione sono poche e risaltano ancor di più in un web invaso da centinaia di milioni di filmati.

Per festeggiare quello che sarebbe diventato uno storico torneo casalingo, in Francia si decide di organizzare un quadrangolare extra-lusso tra le nazionali più forti del momento. Al termine della stagione 1996-1997 l’Italia di Maldini, il Brasile di Zagallo, l’Inghilterra di Hoddle e i padroni di casa di Jacquet si sfidano nel ‘Tournoi de France’. Il caso vuole che la partita inaugurale la disputino Francia e Brasile, allo Stade de Gerland. Appena un anno dopo si sarebbero contese a Parigi la coppa creata dallo scultore milanese Silvio Gazzaniga, di recente scomparso, nella partita che avrebbe consegnato il primo titolo mondiale ai galletti. È il 3 giugno 1997. Per inquadrare il momento calcistico, sette giorni prima Del Piero ha segnato una perla di tacco in finale di Champions League, persa dalla Juventus col Borussia Dortmund per 3-1.

Al 20’ del primo tempo Taffarel rinvia verso Ronaldo. Il centravanti del Barcellona dà una spallata a Blanc – suo compagno di squadra – lo sposta, stoppa il pallone come se fosse un passaggio rasoterra di un metro e punta la porta con la decisione di chi è negli ultimi 20 metri di campo. In realtà si trovava a 35, ma Blanc e Vieira, impauriti dallo strapotere di quell’alieno, non possono fare altro che fermarlo con un fallo. Il Brasile batte rapidamente e Romario subisce un fallo da Deschamps nella stessa zona di campo. Si, la coppia d’attacco di quel Brasile era Ronaldo-Romario, rispettivamente secondo e terzo marcatore all-time per i verdeoro: dietro Pelé, e presto Neymar a –3 dal podio e -10 dal Fenomeno.

Ronaldo e Roberto Carlos. Foto via Facebook

Vent’anni fa, però, la storia non la scriverà né uno né l’altro. Dei 13 titolari che giocheranno dal primo minuto la finale di Parigi del 1998, il fato ha scelto un difensore, per quanto sia restrittivo considerarlo tale. Sul pallone va Roberto Carlos, 168 cm, esterno con la dinamite dentro i polpacci. Il terzino sinistro è reduce dalla miglior stagione in carriera: titolare fisso nel Real Madrid di Fabio Capello campione di Spagna per riscattare un settimo posto e la bocciatura di Hodgson nell’Inter.

Sono 35 metri di distanza e Zidane si mette davanti al pallone per evitare una battuta veloce del Brasile. Ma Roberto Carlos sistema con cura il pallone, ignorando Zizou e allontanando un perplesso Dunga. Barthez fiuta qualcosa e con urla poderose ordina quattro uomini in barriera: è l’unica azione tangibile che compirà. Il bolide mancino di Roberto Carlos non sfiora neanche l’ultimo uomo, Deschamps. È calciato d’esterno e vola a 120km/h verso la porta francese. Si allarga improvvisamente dando l’impressione che possa uscire di un metro e invece sterza nuovamente verso la porta colpendo soavemente il palo sinistro di Barthez. Il portiere gira la testa e le spalle di 180° per sincerarsi del goal subito e non appena ne ha la conferma volge immediatamente uno sguardo verso Roberto Carlos che non ha bisogno di descrizione. La Gerland di gol su punizione incredibili ne vedrà in quantità grazie a Juninho Pernambucano, ma l’assurdità è che nessuno di quelli potrà anche sperare di essere lontanamente iconico come quello appena realizzato da Carlos.

Calcio a banana, effetto Magnus, le tres dedos: sono stati dati più soprannomi e scomodate leggi della fisica per la parabola tracciata dal brasiliano. Un calcio perfetto per potenza e stile, che imperfetto risulta solo per il portiere: qualsiasi altra conclusione prima di quella del brasiliano era intellegibile, anche struggente quando imparabile. Ma il portiere poteva vederla, intuirla, assaporarla, pur non prendendola. Barthez non ha scelta, il pallone di Roberto Carlos non crea un compromesso col portiere: il francese non può lottare. Nessuna cohabitation tra Barthez e il Tricolore, il primo pallone di nuova generazione mai utilizzato (e il primo multicolore utilizzato nella fase finale di un torneo internazionale): non sembrano far parte nemmeno della stessa azione. La parola coabitazione non è scelta a caso. Si tratta del termine con il quale in Francia si indicano le larghe intese – e quanto suona meglio – le ultime della storia politica transalpina inaugurate proprio vent’anni fa, in quel 3 giugno 1997: conservatore il Presidente della Repubblica Chirac, che accoglie il Primo Ministro socialista Jospin. Non ci sono larghe intese tra Roberto Carlos e Barthez.

Benché il gol sia avvolto in un’aura di leggenda, la spiegazione del terzino brasiliano è tutto sommato scientifica: «Mi ricordo che c’era un po’ di vento e il pallone era leggerissimo», ha detto a Sky Sport proprio in occasione del ventennale. «Ho deciso di calciarlo, ma l’obiettivo più ambizioso che avevo era quello di colpire il palo. La potenza con il quale l’ho calciato ha permesso che girasse su se stesso rientrando nello specchio». Poi, chiaramente, l’immancabile richiamo divino: «Dunga non pensava che calciassi davvero, quel giorno Dio mi ha aiutato».

Roberto Carlos ha segnato punizioni straordinarie prima, e continuerà a segnarne anche dopo. Lo stile inconfondibile, però, gli viene riconosciuto subito dopo il Torneo di Francia (a proposito, vincerà l’Inghilterra). I videogiochi dell’epoca, piuttosto minimalisti, concedono a Roberto Carlos un marchio di fabbrica: la rincorsa su punizione. Chi scrive, prima di schierare la formazione sostituiva il punizionista designato col brasiliano, solo per vedere la corsetta. Nei successivi anni di carriera ogniqualvolta veniva fischiata una punizione al Real Madrid l’eccitazione era palpabile sugli spalti Bernabeu, come la paura dei tifosi avversari quando i blancos giocavano in trasferta. Roberto Carlos diviene semplicemente il terzino più conosciuto di sempre, non perché il migliore, ma perché le sue incredibili giocate riescono a fare il giro del mondo a una velocità fino a quel momento sconosciuta. La sua punizione diventa l’emblema di tutti i ragazzi cresciuti nei primi anni 2000, che ancora oggi quando vedono un tiro d’esterno qualunque esclamano ‘a la Roberto Carlos!’.

Bonus Track: Totti

Un esempio può far capire quanto il calcio di punizione di Roberto Carlos sia diventato un’icona globale. Roma-Milan, finale di Coppa Italia del 2003. Si gioca ancora con la formula andata e ritorno. La prima all’Olimpico: al 28’ Totti segna una punizione d’esterno destro favolosa (a uscire, non a ‘rientrare’ come quella del brasiliano). I giallorossi poi crollano nella mezz’ora finale – 1-4 sotto i colpi di Serginho – e arrivano a San Siro già sconfitti. Totti prima realizza una punizione di interno destro, poi replica il gol di 6 giorni prima, con una bordata d’esterno dalla distanza che fa impazzire Gianni Cerqueti, commentatore Rai (Nesti invece per quel Francia-Brasile): «Una delle più belle punizioni che abbia mai visto», la dichiarazione di un telecronista di norma pacato. Il fatto che la Roma abbia perso la finale non ha tolto nulla al doppio gesto tecnico, che anzi – come di consueto nella Capitale – è stato esaltato a più riprese nei successivi 14 anni di carriera del numero 10 giallorosso: «Ao’, ma te ricordi quanno er Capitano batteva ‘e punizioni come Robbertocarlos?».

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