«Sono caduto e mi sono rialzato»: l'intervista a Ronaldo, il "Fenomeno" | Rolling Stone Italia
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«Sono caduto e mi sono rialzato»: l’intervista a Ronaldo il “Fenomeno”

La velocità è stata la sua caratteristica principale, l'amore per il gioco quello che l'ha salvato. R9 è arrivato a Milano per presentare le nuove Nike Mercurial

Luís Nazário de Lima per una generazione intera è l’unico Ronaldo esistente. Chi, come chi scrive, ha vissuto in pieno gli anni Novanta sa benissimo quanto R9 abbia cambiato e spostato gli equilibri in ogni squadra in cui è finito. «Gli unici calciatori che mi piacciono sono Maradona e Ronaldo», ha detto una mia amica qualche giorno fa, per sottolineare quanto poco le interessi il mondo del pallone ma soprattutto quanto invece siano iconici i due qui sopra.

Ronaldo, a differenza di Cristiano, non è mai stato trasformato in un testimonial per la moda, quanto piuttosto per una marca di pneumatici. Al posto di mettere in mostra gli addominali, ha messo in mostra altri muscoli, che ballasse la samba in aeroporto o che fingesse di essere il nuovo Cristo di Rio (Beatles, chi?). Tutto arrosto, niente fumo. Questa è stata la sua cifra, per una carriera intera.

Il fisico è stato il suo punto di forza, la rapidità è stata la sua caratteristica. In pochi facevano quello che faceva lui, nessuno lo faceva alla sua velocità. È arrivato a Milano per inaugurare il tempio della velocità, un luogo chiamato “The Science of Speed” creato da Nike. Con l’occasione, ha anche presentato al mondo la nuova Mercurial. Non è un caso: la prima era stata creata per lui nel 1998, quella che ha presentato andrà ai piedi di CR7 durante la finale di sabato. Impossibile non partire proprio da qui.

Sei stato uno che ha fatto della velocità il suo marchio di fabbrica. È qualcosa che ti sei sempre portato dietro?
Beh, in Brasile il calcio è più lento, anche l’erba dei campi era diversa. Quando sono arrivato in Europa ho iniziato a vivere la forza del calcio europeo. Ho dovuto adattarmi in fretta, è andata bene però. Sono sempre andato nei posti giusti e nei momenti giusti.

Quindi ti allenavi in modo diverso anche?
Adesso, da dieci, dodici anni, nel calcio ci si allena bene. Ma i miei primi dieci anni da professionista ci allenavamo in maniera collettiva, non individuale. Pensa che spesso dovevo correre con Cafu ma le nostre velocità erano diverse: lui è sempre stato forte nelle distanze lunghe, io nelle corte. Per fortuna ora i preparatori sono molto più individuali, cercan odi migliorare le singole caratteristiche dei giocatori.

Hai parlato dei diversi luoghi in cui hai giocato e dovunque sei sempre stato il più amato di tutti. Come hai fatto?
Sicuramente è stata la passione che ho messo nel gioco, ma credo sia stato anche comportarmi da persona normale. Alla gente piace vedere che sono come tutti, sbaglio, commetto degli errori, cado e mi rialzo. Le persone si identificano.

Soprattutto a Milano, hai unito due tifoserie…
È sempre bellissima l’accoglienza qui, devo ringraziare tutti i tifosi.

Hai parlato delle volte in cui sei caduto. Cosa ti ha aiutato a rialzarti?
L’amore per il calcio. Non ho altre parole per descrivere la forza che ho trovato per riprendere a giocare. La prima volta che il mio ginocchio ha ceduto non c’era neanche uno storico di questa lesione. Sono riuscito a tornare solo perché volevo farlo.

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