Valentino Rossi con ‘il calcio’ a Marquez aveva ragione. Ma chi gli restituirà il decimo mondiale? | Rolling Stone Italia
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Valentino Rossi con ‘il calcio’ a Marquez aveva ragione. Ma chi gli restituirà il decimo mondiale?

Probabilmente Marquez infrangerà molti altri record ma, al contrario del Dottore, non sarà mai un campione.

Valentino Rossi con ‘il calcio’ a Marquez aveva ragione. Ma chi gli restituirà il decimo mondiale?

Foto di Gaetano Piazzolla/Alamy Live News

Marc Marquez probabilmente batterà molti record e vincerà tanti mondiali. Forse più di tutti, nella storia. Ma in Argentina ci ha confermato inesorabilmente che non sarà mai un campione. Un campione vero, di quelli che meritano i poster nelle stanze dei bambini, l’icona che rimane nella memoria degli appassionati. Il motivo è semplice: ha talento ed è veloce l’iberico, ma queste qualità sono inversamente proporzionali a quelle del suo cervello e del suo cuore. Marquez, da sempre, insulta il suo sport, quel motociclismo che è arena per guerrieri ed eroi e non per bambini viziati, pericolosi, scorretti. Lo spagnolo potrà vincere quanto vorrà ma non sarà mai Valentino Rossi.

Perché ai campioni come il ragazzo di Tavullia o Ayrton Senna e Michael Schumacher puoi perdonare errori anche gravi, reazioni rabbiose o cali di concentrazione, ma mai si sono abbassati al livello di chi, per trionfare, bara. Di chi per primeggiare non guarda in faccia a nessuno, neanche alle regole, scritte e non, del lavoro che dovrebbe amare e che invece infanga costantemente.

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Questo é Marc Marquez, un guitto capriccioso e rosicone che non merita la MotoGP, uno che gioca con il mazzo truccato e, ha ragione da vendere il Dottore, fa paura ai suoi stessi colleghi. Uno che non sa neanche schierarsi in griglia di partenza, che attenta alla vita di Espargaro e Rossi con manovre vergognose per un pugno di punti in più. Anzi, per far male, perché dopo due curve sarebbe passato comunque, senza far male a nessuno. Uno che per la frustrazione di chi sa che non sarà mai all’altezza del più grande, neanche tre anni fa ha rubato il mondiale a Vale per consegnarlo a un suo connazionale, tradendo non lui ma la sua disciplina, i suoi valori.

La rabbia che tutti gli appassionati hanno provato ieri guardando Marquez prima speronare dall’interno il rivale e poi spingerlo nel prato dell’autodromo Termas di Rìo Hondo, è quella di chi nello sport cerca valori, lotta all’ultimo sangue, leale ruvidezza ma non quell’ignobile e meschina manovra pericolosa e proditoria. E non vorremmo mai essere nei panni di quei divanisti moralisti che nell’ottobre 2015 dai loro salotti coprirono di giudizi sprezzanti e superficiali Valentino Rossi per quella sportellata nel gp di Malesia (che non è una gara qualsiasi per il nostro, visto ciò che successe al Sic) che quest’ultimo diede allo spregiudicato Marc. Non vorremmo essere chi lo derideva mentre cercava di spiegare che quel gesto istintivo era solo legittima difesa contro chi prende i motodromi come un vicolo in cui tutto vale, in cui un teppista qualsiasi può far manovre da fight club.

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A chiunque fosse mai salito su una due ruote era evidente la testata di Marquez, il piegamento innaturale dello spagnolo volto solo ed esclusivamente a sbattere fuori e magari a far male a colui di cui non vale neanche un’unghia. Se il centauro pesarese quell’istinto lo avesse sfoderato anche domenica sera in Argentina, inibito dai moralisti da tastiera e da giudici di gara che dopo tre scorrettezze neanche sono riusciti a squalificare questo pericolo pubblico, ora avremmo un risultato giusto e i due piloti nella posizione che meritavano. Rossi ai piedi del podio a giocarsi il mondiale, il ragazzino senza valori a masticare fango, fuori dai giochi.

Ma chi restituirà a Vale questi punti e quel mondiale? Chi sanerà quella ferita ancora aperta del decimo titolo iridato che questo omuncolo ha scippato a chi lo meritava, nel 2015? Chi restituirà dignità a uno sport che due anni e mezzo fa vide tre piloti, nella gara successiva a quella dell’incidente, fare una combine vergognosa ai danni di un solo uomo, capitanati dallo stesso Marquez che fece da scudiero a uno che neanche correva nella sua stessa squadra? Un momento talmente basso che la federazione si rifiutò di svelare i dati della telemetria di quello che siamo generosi a chiamare pilota perché altrimenti avrebbe dovuto riconoscere l’imbroglio? Allora, a mezza bocca, persino colui che beneficiò dell’indegno teatrino montato ad arte da questo killer col casco, Jorge Lorenzo, dovette riconoscere che sì, “se fosse accaduto a me avrei reagito come Valentino”.

Non difendete Valentino Rossi perché è italiano, non fatelo neanche perché come lui non ne vedremo più. Fatelo perché anche se tardivamente questo sport deve tornare quello che fu: uno sport, appunto, non un circo di pagliacci che vanno a finger di chiedere scusa nel box Yamaha per poi smentire tutto davanti ai giornalisti. Totò uno così l’avrebbe chiamato quaquaraqua. Noi che siamo meno eleganti useremmo una parola di cinque lettere che inizia per m e finisce per erda. Squalificare chi mette a repentaglio la vita di uomini che si giocano tutto a 280 all’ora su due ruote é un atto dovuto. E se anche nessuno potrà restituire una vittoria che sarebbe stata leggendaria a Vale, chiedetegli, chiediamogli tutti scusa. Perché quel giorno, con quella ginocchiata, semplicemente si difese. E ora, forse, lo abbiamo con un trofeo in meno, ma tutto intero.

E a Marc Marquez, con tutta la sincerità, auguriamo che il destino gli restituisca tutto ciò che ha tolto a chi meritava davvero. Perché chi vince così, semplicemente, ci fa schifo.

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