Marco Giallini: «Dio è della Roma, e ora mi tatuo tutta la schiena» | Rolling Stone Italia
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Intervista a Marco Giallini: «Dio è della Roma»

L’attore romano annuncia il suo clamoroso “fioretto” in caso di vittoria della Champions dei giallorossi. Per cui ieri sera è svenuto, da tanto che non ci credeva

Intervista a Marco Giallini: «Dio è della Roma»

Marco Giallini in 'Io sono Tempesta'

«Rolling Stone! Siete un bel gruppo, mi ricordo di voi. Nell’82 vi ho visto a Napoli, eravate già finiti». Esordisce così al telefono Marco Giallini, e viene quasi da pensare che la “sbornia” di ieri sera non sia stata ancora smaltita. Invece lui è così sempre, ogni giorno dell’anno: attacca a parlare, salta da un pensiero all’altro, vuole sapere tutto di chi ha di fronte, prende in giro e si prende in giro. E allora anche noi gli chiediamo come sta. «Affaticato… la vita. Pensa io ho i primi numeri di Rolling, quelli stampati tipo quotidiano. Come l’americano. Bellissimo».

In questi giorni è in promozione il suo nuovo film, Io sono Tempesta, di Daniele Luchetti e con Elio Germano, nelle sale da domani. Ma non parliamo di quello. Parliamo della sua grande passione oltre al cinema: il pallone, o meglio la Roma, che con la vittoria per 3 a 0 sul Barcellona ha vissuto uno dei momenti più esaltanti della sua novantennale vicenda.

«Ieri eravamo invitati allo stadio, come sempre, con i miei figli. Ma abbiamo preso le pizze a casa: non mi aspettavo niente, perché c’era già quest’aria di… che fosse finito tutto. Lo pensavamo anche noi. Poi abbiamo segnato i primi minuti, e io dico ai miei: “Ragazzi, quando si fa gol i primi minuti…”».

Marco Giallini in ‘Io sono Tempesta’

Nel secondo tempo i gol diventano due, con il rigore di De Rossi, e l’impresa un po’ più vicina. «Quando abbiamo fatto il secondo è scoppiata la confusione. Mio figlio che piangeva… Le cose si sono enfatizzate mano a mano, soprattutto quando hai a che fare con gli adolescenti. Mio figlio si è fatto prendere». Lui no. «Anche perché ero svenuto. Mi hanno dato i sali, l’aceto. C’era un mio amico che diceva: “Non è successo niente”». Invece qualcosa succede: il gol della vittoria di Manolas. «Allora mancavano pochi minuti, anzi troppi. E tu sai benissimo che Messi ci è andato vicinissimo, è stata la mano di Dio a fermarlo. Si vede che Dio in questo periodo tifa Roma. Sai bene che loro segnano quando je pare… Uno entra, due tajano, e eccola là, che l’hanno messa dentro. Se avessimo preso gol all’ultimo minuto… mi ritrovavate come coso, mi facevo tirare le frecce come San Sebastiano. Me facevo legà pe le frecce. È stato un bel momento».

Immancabili i caroselli in piazza, anche perché c’era un fioretto da rispettare. «Io e il mio amico ci eravamo detti: “non succederà, ma se passiamo andiamo a toccare un monumento, qualcosa”. Tu sai che Roma è enorme, non so nemmeno che vita fanno quelli dell’EUR, so chilometri, è come andare in un’altra città. Di conseguenza dovevamo andà da quelle parti, era mezzanotte… Il mio piccolo era così contento, non sarebbe andato a scuola perché avremmo fatto tardissimo». Quindi EUR? «No, alla fine a Testaccio».

Per l’eventuale vittoria della Champions Giallini deve rilanciare. «Aspetta che sono con della gente, mi allontano e ti dico la verità…Eccomi: mi tatuo tutta la schiena. Qualcosa faccio». Il minimo, dopo tante sconfitte e una sorta di “etica del perdente” a cui il tifoso romanista si è un po’ assuefatto negli anni. «Eh, ma il calcio è così. Due domeniche fa perdevano 2 a 0 con una squadra sicuramente inferiore. Poi negli ultimi secondi hanno fatto 2 a 2: tutto può succedere. Io dico: noi ci sminuiamo sempre. Ci sminuiamo, se continuiamo a parlare di imprese, sempre Davide e Golia, non c’è mai una cosa paritaria. Invece ce la meritiamo».

Prima di salutarci, e tornare agli impegni di Io sono Tempesta, gli chiediamo che cosa ha di speciale quella maglia per lui. E perché i romanisti si sentono diversi da tutti gli altri. «Secondo me non è vero che siamo diversi. Lo dicono, ma che ha di diverso? È attaccata, è la capitale e non ha quello che dovrebbe avere, vero. La tifoseria non ha le soddisfazioni che meriterebbe, vero. Ci sono città la metà di noi, anche a livello di importanza, e hanno molte più soddisfazioni di noi, vero. Ma un motivo se dobbiamo sempre stare cosi ci sarà. Se una differenza c’è, è che soffrimo sempre. Siamo abituati a soffrire, e quando c’è da soffrire siamo sempre qua».

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