LeBron ai Lakers, torna lo Showtime | Rolling Stone Italia
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LeBron ai Lakers, torna lo Showtime

Il Re ha scelto, e come nel 2010 ha spiazzato tutti. Ma riuscirà a 33 anni a vincere subito con la franchigia più famosa del mondo?

LeBron ai Lakers, torna lo Showtime

Once Upon a Time in Hollywood. Mentre Quentin Tarantino è alle prese con il film che, una volta di più, canterà il mito della Città degli Angeli, i sogni tornano a diventare realtà sulla costa pacifica degli Stati Uniti, da oggi la nuova LABron’s Land. La notizia è di queste ore, arrivata tramite uno scarno comunicato stampa e senza i consueti fuochi d’artificio o le lacrime (il Prescelto non ha più l’età e lo status per queste cose): LeBron James – il più iconico (e forte) giocatore di basket dell’ultimo decennio – è un nuovo giocatore dei Los Angeles Lakers – la più iconica squadra della National Basketball Association.

“Il quattro volte MVP, tre volte MVP delle Finals, 14 volte All Star e il due volte medaglia d’oro olimpica si è accordato per un contratto quadriennale da 154 milioni di dollari” ha annunciato la sua agenzia Klutch Sports Group. La notizia è il terremoto che l’NBA aspettava, e che ora rischia di innescare una reazione a catena, perché Los Angeles deve firmare qualche altro big per mettere subito nelle condizioni il suo fenomeno di tornare a vincere – il nativo dell’Ohio sta abbastanza in fissa con questa cosa -, e tutte le altre devono fare i conti con una nuova agguerrita rivale. Per intanto, e per gli NBA-addicted tanto può bastare, accanto all’ex Heat è stato messo il suo pittoresco rivale degli ultimi anni: Born Ready Stephenson.

La nuova Decision di LeBron sposta ogni equilibrio possibile. Il solo (o quasi) grande campione rimasto sulla costa Est degli Stati Uniti cambia conference: ora la sfida a Ovest – tra Houston, Golden State con le sue stelle, San Antonio e LA – sarà ancora più infuocata, mentre dall’altra parte del Paese viene meno uno dei pochi motivi di interesse attorno alla competizione. James ha dominato la Eastern Conference da quando, ragazzino, è sbarcato nell’Nba con le stimmate da GOAT (acronimo di Greatest Of All Times, o “capra” in inglese, concetto che oggi pare andare molto di moda.

Da protagonista ha giocato le ultime otto finali NBA, trascinando fino all’epilogo squadre (come gli ultimi Cavs) tutt’altro che fenomenali. Spesso da solo, o contro i suoi compagni. Pagando anche una sorta di eccesso di personalità e determinazione, che lo ha spinto a imporre atleti alle franchigie in cui ha giocato, fare e disfare quintetti, cambiarsi di ruolo (sempre con successo) più volte negli anni.

LeBron James con la maglia dei Cavs

La sua carriera ora si arricchisce di un nuovo capitolo, che rende ancora più difficile da comprendere la traiettoria di uno degli sportivi più incredibili di sempre. Nato e cresciuto ad Akron, è diventato il profeta del suo Ohio a Cleveland, fino ad allora una sorta di barzelletta degli sport professionistici americani. Poi ha spezzato il cuore della sua gente (le famose canotte bruciate in piazza, un gesto più da Teheran che da Rust Belt) portando “i suoi talenti a Miami”. Nella scintillante Florida ha vinto tanto (e perso tanto), facendosi odiare da tutti per aver accettato di fare parte di un super squadrone (lanciando, ahinoi, una moda) con Wade e Bosh. “Non sei come Jordan, lui vinceva da solo”, gli è stato rinfacciato (e non è vero). Ma per lui era fondamentale placare la sua ossessione per il trionfo.

A quel punto Bron, uomo nuovo, più sereno e forte mentalmente, ha potuto ritrovare il suo posto da eroe buono nella storyline del basket americano, tornando ai suoi Cavs e portando per la prima volta un titolo a Cleveland, città soprannominata “il grande sbaglio sul lago”. Questa rimarrà la sua grande impresa, il biglietto per l’eternità della palla a spicchi. Ma a James di diventare una bandiera (come tanti grandi della NBA, un posto dove la fidelizzazione alla maglia – per motivi molto diversi dalla fede – tutto sommato esiste ancora) non è mai interessato nulla.

Quindi ora la Swinging Los Angeles, dove LeBron vuole fare vivere i suoi figli (e futuri campioni?) e dove ha notevoli interessi commerciali per il post basket. Una scelta particolare, perché questa e sarà sempre è la squadra di Kareem, di Magic (che lo ha voluto qua, e ora si gode il successo dell’operazione) e soprattutto di Kobe, e James, con il suo portato quasi mistico, deve bussare a questo olimpo alla veneranda età di 33 anni, in uno scenario ipercompetitivo dove non è detto possa vincere subito. Ma lui è il Prescelto, e, a giudicare dal discreto entusiasmo della popolazione locale, parecchi Angeli paiono convinti possa accadere.

Welcome home. @kingjames ?

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