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Il sogno verde del Chapecoense

È la squadra di calcio brasiliana con una incredibile storia di rivincita, che un incidente aereo ha brutalmente interrotto. Ma i cittadini di Chapecó non hanno nessuna intenzione di smettere di sognare

Provare a raccontare cosa sia stato il Chapecoense per gli appassionati di calcio sudamericano e per i brasiliani è impresa un po’ difficile dopo la tragedia in cui hanno perso la vita 19 giocatori, dopo tutto quello che è stato scritto e vivisezionato in questi giorni. Allora partiamo da uno dei tanti messaggi lasciati dall’Atletico National de Meddellìn, la squadra contro cui il Chapè avrebbe dovuto giocare la finale della Copa Sudamericana quella che in Sudamerica è da considerarsi la “nostra” Europa League: “Rendiamo omaggio alla grandezza di questo sogno e a voi, uniti sulla strada per raggiungerlo. Leggende per sempre”

È “sogno” la parola che ricorre spesso in questi giorni di messaggi di società e giocatori di tutto il mondo, di articoli “coccodrillo” sulla stampa internazionale. Di sogno parlano gli appassionati del calcio sudamericano. Un sogno che stava diventando realtà, e come raccontano quelli dell’Atletico, ogni sogno ha una storia.

Quello del Chapecoense ha inizio 43 anni fa con la fondazione di una squadra di calcio per “rappresentare” la città e il popolo di Chapeco, stato di Santa Caterina, sud-ovest del Brasile. Un municipio da 200.000 abitanti con una storia lunghissima alla spalle e che negli ultimi cinque anni ha avuto il suo club di calcio a rappresentarlo sulla cartina di tutto il continente. In meno di quattro anni infatti è salito dalla Quarta Divisione Brasiliana fino alla Serie A. Da qualche anno la Chapecoense sfida allo stesso livello Palmeiras, Gremio, Santos, Flamengo, il gotha del calcio in Brasile; la crescita della società di questa piccola città è un punto di riferimento per molti dell’ambiente in Sud America, una giovane società più volte sul rischio del fallimento oggi divenuta esempio di gestione e pianificazione. E negli ultimi due anni ha gareggiato ai massimi livelli nelle coppe continentali, la finale che avrebbe dovuto giocarsi ieri era arrivata battendo, tra le altre, anche nomi illustri come San Lorenzo e Independiente, due delle squadre più importanti del Sud America e dell’Argentina.

Proprio l’acerrimo rivale albiceleste è stato uno dei fattori per lo sviluppo sociale e della “tigna” che tuttora anima i suoi concittadini della città di Chapecó. Oltre 200 anni fa infatti questa zona era pioneristica e di frontiera, era in conflitto tra discendenti indigeni e Portoghesi, poi la regione – dai confini fluidi – era contesa tra Spagna e Portogallo ai danni degli indios e poi in seguito appunto da Argentina e Brasile. Alla fine, nel 1895 il presidente americano Grover Cleveland decise che la regione di Chapeco apparteneva al Brasile e inizio una migrazione di origine tedesca e italiano che occuparono le terre che un tempo appartenevano agli indigeni dando vita ad una delle zone più ricche del paese verde-oro rimanendo lontana dagli strepitii e dal blasone di metropoli come San Paolo o Rio.

Dopo quasi 120 anni Chapecó è un elemento centrale della geografia sudamericana grazie al clamore della sua squadra di calcio. Già, la squadra. Quella del Chapè è allenata da un “treinador”, Caio Junior, che ha lavorato con 19 squadre in carriera, una rosa con la maggior parte di giocatori giramondo del calcio, cambiando maglia più volte solo negli ultimi 3 anni. Solo uno straniero – argentino – il resto giocatori di buon livello tutti brasiliani che hanno deciso negli ultimi 2 anni di chiudere esperienze remunerative in Arabia Saudita, Cina, Qatar o Iran pur di giocare in un club che in meno di dieci anni è alla pari con la crème del calcio sud americano una solida organizzazione fatta di giocatori che avevano un sogno, un obiettivo comune. E – un sogno – che realizzeranno. Lendas por Sempre.

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