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Il provocatore non ha colpe?

Si colpisce – giustamente – il colpevole del gesto violento e la vicenda Douglas Costa lo confermerà. Ma c'è anche il trigger verbale da considerare, come insegna ‘Ritorno al Futuro’

Il provocatore non ha colpe?

La premessa di questo articolo è fondamentale. La violenza, verbale e fisica, è sempre da condannare. Lo mettiamo in chiaro, come incipit, in modo che non si possa fraintendere in alcun modo quanto si andrà a scrivere. Le urla dei tifosi, allo stadio o al bar sport.

Marty McFly, il protagonista della trilogia di Ritorno al Futuro, non riesce ad andare oltre ad uno specifico insulto di Biff, la sua nemesi. Certo, nel clima politically correct del cinema americano, l’insulto utilizzato è chicken, tradotto in italiano con fifone e codardo. Ecco, basta questa parola magica per incendiare gli animi del nostro pacato McFly. La serie fa leva proprio su questa irascibilità di McFly per attivare dei trigger e creare momenti di scontro tra i due personaggi, conducendoli inevitabilmente alla rissa. In questa trilogia, visto il contesto, i ruoli ci sono chiari. Biff – il provocatore – è il cattivo. McFly – il provocato – è il buono. E ogni gesto, e frase, è palese, di fronte ai nostri occhi. Peccato che nella vita non sia tutto così esplicitamente chiaro.

Ho letto le parole scritte da Douglas Costa dopo lo sputo a Di Francesco, nel finale di Juventus Sassuolo. L’assurdità del gesto dell’attaccante della Juve è un fulmine su una carriera finora esemplare a livello disciplinare (una solo espulsione). Costa, nel messaggio su Instagram, chiede scusa per l’ignobile gesto, ampiamente e giustamente condannabile e condannato. Sacrosanto. Però, rispondendo ad un follower, aggiunge qualcosa che mi porta a scrivere questo articolo: “tu non sai cosa mi ha detto” (ndr, Di Francesco). E qui mi è tornato alla mente Ritorno al Futuro. Il trigger. Chicken.

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Gostaria de pedir desculpas a todos os torcedores da Juventus por essa minha reação equivocada no jogo de hoje. Peço também desculpas aos meus companheiros de time, que estão sempre comigo nos momentos bons e ruins. Errei feio, tenho consciência e venho me desculpar com todos por isso. Deixo claro que essa atitude isolada não condiz com o que sempre mostrei em minha carreira. Douglas Costa Vorrei scusarmi con tutti i fan della Juventus per questa reazione fuorviante nel gioco di oggi. Mi scuso anche con i miei compagni di squadra, che sono sempre con me nei momenti belli e cattivi. Ero brutto, ne sono consapevole e mi scuso con tutti per questo. Metto in chiaro che questo atteggiamento isolato non corrisponde a quello che ho sempre dimostrato nella mia carriera. Douglas Costa @juventus

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Il giocatore brasiliano ha ragione: non siamo a conoscenza delle parole dette in certe situazioni. Quasi mai. E a volte anche le nostre informazioni sul contesto sono limitate. Non siamo in un film hollywoodiano. Possiamo conoscere solo quello che le telecamere ci mostrano. Vediamo i fatti, nell’ordine corretto, come da diretta televisiva. Anche ciò che perdiamo live, come lo sputo in questione, viene recuperato e riproposto da replay da ogni angolazione. La VAR vede tutto. E il punto è questo: la VAR vede tutto, ma non sente nulla. La VAR è sorda. E in questo caso anche i giocatori, l’arbitro, i tifosi, i telespettatori. Nessuno sa quali frasi siano uscite dalla bocca dei due. E, nonostante la condanna di Costa, “tu non sai cosa mi ha detto”, non le sapremo probabilmente mai.

A Di Francesco non verrà mai chiesta chiarezza a riguardo, e lui non si prenderà mai una responsabilità così rischiosa. Lo dimostrano le uniche dichiarazioni rilasciate finora dall’attaccante del Sassuolo, riguardanti non specificati media nazionali, “non permetto che mi vengano attribuiti comportamenti e/o frasi razziste che non appartengono ai miei valori etici e che sono frutto della immaginazione altrui”. Dichiarazioni ritenute necessarie dopo che i social hanno rispolverata un caso che lo riguarda del febbraio del 2016 quando, da giocatore della Virtus Lanciano, in Serie B, festeggiò un gol con un’esultanza para-militare conclusa con saluto romano. Di Francesco, ai tempi, parlò di malinteso, arrivando a scrivere una lettera di spiegazioni all’UCEI (Unione delle comunità ebraiche italiane). Ma – anche qui – se ci fermassimo esclusivamente a quanto visto dalle telecamere, sarebbe facile trarne conclusioni.

In questa storia, come in molte altre simili, c’é un problema enorme. C’é un trigger verbale che non possiamo escludere se – come viene urlato ai quattro venti da professionisti e tifosi – vogliamo giustizia. Il gesto di Douglas Costa è imperdonabile, ma nel racconto c’é, verosimilmente, un altro colpevole, il provocatore, seppur in un differente livello di colpevolezza.

Il calcio è uno sport visivo. L’applicazione, negli ultimi tempi, di VAR e Goal Line Technology dimostra questo. È la ragione per cui giustizia sportiva e giornali non stanno interpellando i due giocatori per un confronto sul non-sentito. Il mondo calcio è – a suo modo – muto. Come possiamo capire guardando la solitudine di Zidane: A 21st Century Portrait, lo straniante documentario sul campione francese diretto da Douglas (sic!) Gordon e Philippe Parreno, musicato dai Mogwai. E proprio Zidane fu colpevole di un episodio simile, la celebra testata a Materazzi nella finale dei Mondiali 2006. Un gesto che gli costò mondiale e ultima gara in carriera, oltre che un linciaggio pubblico intercontinentale. Il trigger fu svelato solamente l’anno successivo dallo stesso difensore italiano. Innervosito da continui strattoni, Zidane disse a Materazzi che se voleva la sua maglia, gliel’avrebbe data dopo la partita. La risposta di Materazzi fu semplicemente terribile, “preferisco quella puttana di tua sorella”. Chicken. Il provocatore non ha colpe.

In qualsiasi rissa si indagherebbe sulle motivazioni, e non solamente sui gesti. Crediamo nella giustizia del dio telecamera, abbandonando il buon senso che ci condurrebbe a concentrarci anche sull’origine del problema. Dopo le giornate di squalifica di Douglas Costa, non si sarà risolto nulla. È come la maestra che manda in castigo il bimbo che ha dato lo spintone, senza cercare di capirne la motivazione e risolvere una possibile cattiva attitudine. Che non renderebbe quello spintone giusto, ma de-criminalizzerebbe un atteggiamento, aprendo un dialogo tra i due soggetti coinvolti. Perché se esiste un provocato, esiste sempre un provocatore. E anche se l’opinione pubblica non è interessata a lui, la giustizia dovrebbe avere l’ambizione di educarli entrambi, ove necessario.

I calciatori non hanno il coraggio di parlare. Il mondo del calcio è storicamente omertoso. Né Di Francesco, né Douglas Costa racconteranno mai cosa è successo tra loro questa domenica, in quei cinque minuti di follia. La telecamera resterà il nostro unico dio della giustizia. Forse ha ragione Patrice Evra che, dopo una battuta scema, ha scritto a Douglas Costa una delle cose più intelligenti lette in questi giorni, “Ti sei scusato per il tuo gesto, però la gente non saprà mai cosa ti avrà detto”.