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Dorothea Wierer: «A sparare siamo più brave noi donne»

L'altoatesina festeggia i 29 anni e una strepitosa vittoria nella Coppa del mondo di biathlon, prima atleta italiana a trionfare nella specialità nordica: «Noi ragazze stiamo andando alla grande, i sacrifici sono ripagati»

Foto Marco Trovati/Pentaphoto

Dorothea Wierer si fa richiamare dopo 10 minuti, perché sui tornanti il telefono prende male. Sta tornando da Livigno, dove ha festeggiato alla grande. «Era una festa doppia: il mio compleanno e la Coppa del mondo. Sono un’atleta, ma in questi casi me ne dimentico molto volentieri». Ci sinceriamo che sia nelle condizioni di guidare, anche perché la strada per tornare nella sua Anterselva, in provincia di Bolzano, non è breve. «Tranquillo, tutto sotto controllo», dice, ridendo.

Prima di compiere 29 anni, mercoledì 3 aprile, ha fatto in tempo a vincere tutto nella sua specialità: il biathlon, antichissima disciplina di origine nordica che unisce lo sci di fondo al tiro a segno con una carabina. Negli scorsi giorni in Norvegia, al termine di una stagione massacrante, ha vinto la Coppa del Mondo generale, primo atleta italiano a riuscirci in una disciplina dominata dai Paesi del centro e Nord Europa. Il trionfo di Dorothea arriva al culmine di un lungo percorso di crescita, che comprende due medaglie olimpiche a Soči e Pyeongchang. 

Nel frattempo è riuscita anche a ritagliarsi un ruolo extra-sportivo, con copertine di magazine e follower a 5 zeri su Instagram. Merito di una bellezza rara e di una simpatia travolgente, di cui stiamo per fare la conoscenza.

In gara a Osterlund, in Svezia, lo scorso 12 marzo. Foto Pierre Teyssot/Pentaphoto

Ora un po’ di riposo?
Ho ancora un po’ di impegni legati alla vittoria della Coppa. Poi si va al mare: fosse per me ci starei tutto l’anno…

Hai realizzato in pieno la portata di quello che hai combinato?
Sto iniziando a farlo ora, perché prima ero troppo stanca per riuscire a farlo. La stagione è stata lunghissima e la finale in Norvegia impegnativa mentalmente e fisicamente, visto che la classifica era ancora in equilibrio e si decideva tutto quanto lì. Sono felicissima non solo per me, ma per il biathlon italiano: la mia vittoria è frutto di un sacrificio collettivo durato anni.

Cosa pensi quando sei al poligono davanti a un tiro decisivo per la vittoria, magari che decide una stagione?
In quei momenti la tensione è fortissima. Sono momenti davvero intensi, in cui pensi solo a non sbagliare. Faccio fatica a raccontare cosa si prova, anche se, di certo, dopo tanto tempo diventa tutto un automatismo, i movimenti vengono da sé. Anche perché hai 20 secondi per sparare, quindi non c’è tanto tempo per riflettere. Nelle ultime gare, quando sai che ti stai giocando una stagione, subentra un po’ di paura, che è un avversario molto pericoloso. Per fortuna è andato tutto bene.

Quanto stanno “rosicando” all’estero, penso alla Germania, alla Slovacchia e ai Paesi scandinavi, dove il biathlon è uno sport infinitamente più seguito che da noi?
Sicuramente c’è un po’ di invidia da parte delle nazioni che hanno un budget e un bacino di utenza diverso dal nostro, e che ora si chiedano come possa aver vinto un Paese con minor tradizione nella disciplina. In Germania ci sono state anche delle polemiche per gli scarsi risultati dei loro atleti. Ma noi siamo contenti, perché abbiamo dimostrato che con grinta e spirito di squadra si superano tutte le difficoltà.

A Ostersund sul podio della Women 12,5 Km Mass Start lo scorso 17 marzo. Foto Pierre Teyssot/Pentaphoto

Nella “squadra élite” tu e Lisa Vittozzi (anche lei reduce da una stagione super, ndr) siete assieme a due colleghi maschi, Lukas Hofer e Dominik Windish (i quattro rappresentano il meglio del biathlon italiano, che può contare in tutto su una dozzina di atleti professionisti, ndr). Com’è allenarsi con loro?
I risultati sono anche merito loro, perché confrontarsi con i ragazzi è stimolante. Io e Lisa proviamo sempre a batterli: atleticamente sullo sci non è possibile, però al tiro siamo meglio noi donne (ride).

Cosa preferisci tra sciare e sparare?
Diciamo che nell’ultimo anno ho fatto grandi passi in avanti per quanto riguarda lo sci, una crescita che mi ha permesso di acquisire consapevolezza nei miei mezzi e ridurre la sofferenza durante le gare. Il tiro, poi, è la mia passione da sempre.

Cosa ti ha insegnato il biathlon?
A trovare la concentrazione in ogni momento e allo stesso tempo a saper improvvisare, perché le condizioni in cui gareggiare cambiano di continuo e ti devi adattare. Per questo spero che sempre più giovani si avvicinino alla specialità. E più in generale che facciano sport, perché è una palestra di vita unica.

Quanto è femminile come sport il biathlon?
Al 100 per cento, noi ragazze siamo perfettamente attrezzate per praticarlo. In generale non esistono sport solo maschili: mi sembra che in questo momento le donne, in Italia e non solo, lo stiano dimostrando.

In gara a Osterlund lo scorso 17 marzo. Pierre Teyssot/Pentaphoto

Sottolinei sempre il tuo lato femminile. Perché?
Perché i dettagli fanno la differenza, sport e femminilità non sono in contrasto. Ho sempre tenuto molto alla cura di me e sono molto contenta di vedere che sempre più atlete stiano attente a quest’aspetto della loro personalità, dall’abbinamento di colori al taglio di capelli. Oggi il 90% delle mie colleghe si trucca.

Ma non è pericoloso quando sudi e poi spari?
No (ride), però ora mi sono fatta tatuare l’eyeliner. Così anche se piove o nevica sta lì e non cola.

Ti hanno mai dato fastidio i commenti sulla tua bellezza? Non sminuiscono i tuoi trionfi sportivi?
No, anzi mi fanno piacere i complimenti. E poi io credo che prima vengano i risultati, la bellezza da sola non basta e non mi avrebbe portato dove sono.

Ti ricordi la prima volta che hai sparato?
No, perché era a 10 anni. Ma ricordo la prima gara della mia vita: sono arrivata ultima.

Che rapporto hai con le armi?
Le vivo esclusivamente come un attrezzo sportivo: come gli sci, anche se chiaramente sono un po’ più “delicate”. Ho imparato a sparare da bambina, con grande scrupolo e attenzione alle regole. Con le armi non si scherza.

Il “team élite” italiano sul podio di Osterlund. Da sinistra Lisa Vittozzi, Dorothea Wierer, Lukas Hofer e Dominik Windisch. Foto Pierre Teyssot/Pentaphoto

Sei cresciuta in Alto Adige, nella culla del biathlon italiano, di fatto l’unica area del Paese in cui è praticato in maniera agonistica. Come ti sei appassionata alla disciplina?
Non è stato un percorso lineare, da piccola giocavo anche a calcio e facevo discesa. All’inizio era solo un gioco, perché i miei fratelli e alcuni miei compagni praticavano il biathlon: era quasi una moda in quel periodo dalle mie parti. Il momento difficile arriva quando devi fare il passaggio alla categoria “ragazzi” e tocca decidere se puntare forte sullo sport, trovarsi un lavoro, continuare a studiare. Insomma, cosa fare della propria vita. Anche perché in Italia non è semplice fare carriera in questo mondo.

Come sei diventata una campionessa?

Tutto dipende dai risultati: quando arrivano capisci che vale la pena continuare a fare sacrifici, crederci. Tante volte ho pensato di mollare, anche perché molti miei amici nel frattempo avevano abbandonato. Solo che poi vincevo e mi dicevo “non puoi lasciar perdere ora”.

Quanto ti sono pesati i sacrifici?

Non troppo, dai. Sono comunque riuscita a vivere la mia gioventù in maniera scatenata.

Dorothea in gara a Anterselva il 24 gennaio. Foto Marco Trovati/Pentaphoto

Che musica ascolti?
Sono cresciuta con AC/DC e Metallica, perché i miei fratelli suonavano le loro canzoni.

Ma siete tutti metallari voi “sciatori”?!
Ti riferisci a Dominik Paris? Ma lui è un’altra cosa (ride): se lo senti suonare ti spaventi! E poi ora ho cambiato un po’ genere nel tempo: ora mi piace l’elettronica e adoro Lady Gaga. Anche se un po’ di metal in playlist spunta sempre.

Come si rilancia dopo una vittoria come la tua?
Purtroppo ora si può solo peggiorare (ride). Scherzo, farò di tutto per migliorare ancora: ci sono sempre dei limiti da superare, anzitutto con se stessi. Il prossimo anno inoltre ci saranno i Mondiali in Italia, e ci tengo davvero molto.

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