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Dieci momenti per raccontare il 10: l’omaggio a Francesco Totti

Dopo l'addio di ieri sera, noi di Rolling Stone abbiamo voluto ricordare uno dei più grandi calciatori di sempre, tra fallacci, sputi e un genio indescrivibile
Roma, 28 maggio 2017, l'ultima partita di Francesco Totti. Foto di Paolo Bruno/Getty Images

Roma, 28 maggio 2017, l'ultima partita di Francesco Totti. Foto di Paolo Bruno/Getty Images

Guardando gli ultimi istanti della partita di ieri sera sembrava di assistere a un rito catartico, in cui una città si liberava di un peso, enorme, covato e custodito preziosamente nel cuore per più di vent’anni. Il peso di arrivare sempre a un passo, sempre a pochi centimetri dal traguardo senza mai tagliarlo per primi, di toccare il miracolo per poi essere di nuovo gettati indietro.

“Voglio che sia scritto che ho vissuto all’epoca di Totti”, si leggeva su uno striscione, perché in mezzo a tutte quelle lacrime versate, alle beffe del destino, nel buio delle notti contro United o Bayern, una maglietta e un numero sono sempre rimaste immobili, una maglietta e un numero che ieri, in mezzo alle lacrime di sempre – ma questa volta diverse – hanno compiuto, finalmente, il proprio destino.

Già, perché quel boato che dal 1993 ha accompagnato la sua entrata in campo, quello stesso boato che ora non sentiremo più, vale quanto e forse più di tutti quegli scudetti persi, vale quanto e forse più di una Champions League mai nemmeno accarezzata, quanto quei Palloni d’Oro cui lui, Francesco Totti, ha rinunciato per non smettere di portare addosso quel destino, quel peso enorme di cui ieri si è liberato, questa volta fra le sue di lacrime, le lacrime di un guerriero stanco che, per la prima volta, ha potuto piangere.

Quanto andato in scena ieri sera all’Olimpico non è solo l’addio di un calciatore al campo, perché con nessun altro era mai successo nulla di paragonabile: non con Maldini, non con Zanetti, non con Del Piero, non con Raùl né con Steven Gerrard. L’addio di Totti è la fine di un’idea che va al di là del significato, indefinibile perché oltre il quantificabile, oltre la conta di trofei o riconoscimenti, oltre quei 307 goal segnati con la maglia giallorossa; perché il legame fra Roma e il suo Capitano non può essere riassunto in una cifra, neanche quando si tratta di record.

L’amore di Roma per Totti è un sentimento viscerale, impossibile da spiegare perché non riducibile a parole, un rapporto ‘di sangue’, irrimediabilmente fisico, cui solo le lacrime di ieri sera hanno potuto, forse, dare un ultimo esempio.

Si è scritto che l’addio di Totti è, per chi ama il calcio e lo sport, anche il saluto a una parte di noi stessi, una parte racchiusa nei ricordi e nelle sue parole strozzate di ieri, quando il suo ultimo saluto è diventato anche il nostro, a lui e a noi: «Ora scendo le scale, entro nello spogliatoio che mi ha accolto che ero un bambino e che lascio adesso, che sono un uomo. Sono orgoglioso e felice di avervi dato ventotto anni di amore. Vi amo».

Vogliamo quindi rendere anche il nostro omaggio a chi ha semplicemente vissuto il proprio destino, fino in fondo, senza mai nascondersi e, soprattutto, senza aver mai avuto paura di nasconderlo quel destino, nel bene o nel male. Ricordiamo il Capitano provando a raccontare di una storia per quella che è stata, perché se fosse andata diversamente, forse, per quelle lacrime di ieri, una definizione ci sarebbe stata.

Il primo goal

Non poteva che essere all’Olimpico il suo primo goal, segnato il 4 settembre 1994, oltre un anno dopo il suo debutto in Serie A, il 28 marzo 1993. Mancavano poco più di venti giorni ai suoi diciott’anni e Carlo Mazzone decise di schierarlo titolare, al posto di Abel Balbo. Di sinistro, in controbalzo: era la prima partita della stagione e al 30′ iniziava la leggenda di Francesco Totti.

La numero 10

Dopo il rapporto disastroso con Carlos Bianchi – che lo voleva mandare alla Sampdoria per farsi le ossa – nel 1997 arriva a Roma Zdenek Zeman, e fra Francesco e il Boemo è amore a prima vista. A lui le chiavi dell’attacco e quando, in ritiro, c’è da scegliere le maglie per la prossima stagione Zeman non ha dubbi: la 10 lasciata dal ‘Principe’ Giannini ha un solo erede, Francesco Totti, che la indosserà per i vent’anni successivi. Con Zeman in panchina il numero 10 esplode; un esempio? Chiedetelo a Gigi Buffon, all’epoca portiere del Parma, spettatore suo malgrado del primo ‘cucchiaio’ del Pupone.

Il ‘cucchiaio’ diventa Euro

Correva l’anno 2000, era la semifinale dell’Europeo, quando i media – e il ct Dino Zoff – si arrovellavano sul dualismo “Totti o Del Piero?”. Il Pupone aveva segnato contro Romania e Belgio ma fu in quella partita che la sua stella brillò, beffarda, contro un impotente Van der Sar, condannato da una frase diventata storia: “Mo je faccio il cucchiaio”.

Lo scudetto

Un’attacco devastante al servizio di Fabio Capello: il leone Batistuta, l’aeroplanino Montella e il Capitano, Francesco Totti. Era il 17 giugno 2001, il 10 segna con un siluro e la Sud diventa una bolgia: lo scudetto era della Roma, 18 anni dopo l’ultima volta. Totti arrivò quinto nella classifica per il Pallone d’Oro, al primo posto (?!) Michael Owen.

Lo sputo a Poulsen

Bruciava ancora l’uscita dal mondiale del 2002, dove Totti aveva abbandanto il campo dopo l’espulsione dell’indimenticabile Byron Moreno, durante la tragica partita contro la Corea Del Sud. Due anni dopo l’Italia guidata da Trapattoni era fra le favoritissime ad aggiudicarsi l’Europeo e, fresco di treccine, Francesco era la stella su cui tutti puntavano. L’Italia uscì alla fase gironi, tra ‘biscotti’ scandinavi e lo sputo a Poulsen, che costò al Pupone una maxi squalifica.

L’infortunio e la rinascita Mondiale

Erano gli anni della prima gestione Spalletti, Totti era stato trasformato in un centravanti puro. Nel febbraio del 2006, a pochi mesi dal Mondiale tedesco, la Roma affronta l’Empoli quando un intervento folle di Richard Vanigli sembra infrangere i sogni mondiali del Capitano. Lippi in Germania lo portò lo stesso, anche se non al top della forma, e Francesco seppe come ripagarne la fiducia. La partita era quella contro l’Australia e l’Italia era con un uomo in meno dopo l’espulsione di Materazzi. Il numero 10 azzurro entra al posto di Del Piero e, quando in pieno recupero Grosso viene steso in area, lui si va a prendere quel pallone, pesante come il mondo. Rigore, goal; l’Italia incominciò ufficialmente la scalata verso Berlino.

La scarpa d’oro

Era appena passato lo tsunami Calciopoli e la Roma di Spalletti era in pole position per lo scudetto. Il trionfo non arrivò, ma con i suoi 26 goal Totti portò alla Roma la sua ottava Coppa Italia. Un bottino che incoronò Totti come il primo capocannoniere in maglia giallorossa dopo Pruzzo e il secondo italiano a vincere la Scarpa d’Oro dopo che, la stagione precedente, a trionfare era stato Luca Toni.

Il goal a Marassi

Che dire…

Il calcione a Balotelli

«Sentire che un calciatore alle prime armi, ma con grandi doti, offenda ripetutamente i miei tifosi, la mia città, il mio senso di appartenenza a Roma, oltre a me personalmente, dicendomi che sono finito, è insopportabile. Non vuole essere una giustificazione, ma è semplicemente la verità di quello che è accaduto. Non si può tollerare che “lui” abbia sempre la possibilità di provocare tutti, compresi i suoi tifosi e quelli avversari». Così, nel 2010, Totti raccontava il fallaccio su Mario Balotelli durante la finale di Coppa Italia.

Doppietta e selfie

Trovatemi il nome di un altro attaccante capace, a 38 anni suonati, di infrangere altri record dopo una carriera come la sua. Era la stagione 2014-15 e, dopo l’ennesimo cucchiaio – questa volta ai danni di Joe Hart del City –, Totti si guadagna il titolo di marcatore più anziano della Champions League. Ma si sa, la parola anziano a Francesco Totti non è mai andata giù e così si va a prendere un altro record, molto più sentito, quello per il maggior numero di reti segnate nel derby della capitale. La Roma era sotto due a zero, ma ecco che si accende la stella di Totti che riporta il match in parità, siglando il tutto con un selfie scattato insieme al suo amore più grande, la Sud.

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