Un sabato di fine maggio a Ostia. C’è il mare, il lungomuro, i cartocci di frittura. Ma c’è anche un’arena a forma di palazzetto dove il sangue (si fa per dire), il sudore e i colpi volano come ai vecchi tempi. Solo che ora i gladiatori non arrivano in tunica dalla Tracia o dalla Numidia, ma si presentano con la felpa della palestra, l’asciugamano sulla spalla e il sogno di finire un giorno all’UFC – la Ultimate Fighting Championship, torneo di mixed martial arts con sede a Las Vegas.
Il 31 maggio al PalaPellicone di Lido di Ostia tornano i Cage Warriors, il più grande evento europeo di MMA. Dimenticate le rievocazioni storiche da liceo classico: qui si picchia sul serio. Eppure qualcosa di antico, anzi di eterno, in questa faccenda c’è. Perché combattere, a Roma, è quasi genetico. È una specie di destino. E no, non serve citare il Colosseo per forza: basta prendere la metro B alle 8 del mattino per capire che i romani il concetto di lotta ce l’hanno dentro.

Foto: press
Dagli harpastum ai KO tecnici
Facciamo un piccolo salto indietro, tipo 2000 anni, in un’epoca in cui anche il corrispettivo del paddle era violento e si chiamava harpastum: una specie di rugby estremo, praticato dai legionari per tenersi in forma e litigare legalmente. Una palla, tanti calci e niente VAR. Il fine? Recuperare il possesso, scaricare la tensione, guadagnare qualche cicatrice e (forse) l’onore di un panem et circenses. Ecco, da lì in poi non si sono mai fermati.
Certo, oggi la lotta ha cambiato forma. Non più sabbia e tuniche, ma gabbia ottagonale e guantini leggeri. Eppure, sotto sotto, è sempre la stessa cosa: due persone che si chiudono dentro uno spazio troppo piccolo per far finta di niente.
Chi combatte (e perché)
In questa nuova puntata dell’epopea romana del combattimento, i protagonisti sono nomi da tenere d’occhio: Giuseppe Ruggeri, Giuseppe Mastrogiacomo, Luca Borando. Poi c’è Simone D’Anna, romano de Roma, che affronterà l’irlandese Shelley, esponente di un’altra nazione che ha fatto dello scontro fisico un’arte socialmente accettata. La regina della serata sarà Chiara Penco, al debutto con i guanti gialli. Nella gabbia saliranno anche Michelis vs Ucar, Dia vs Mcmanus, Mochetti vs Tzeinaridis, e tanti altri nomi che potrebbero sembrare personaggi di un peplum per chi non fosse appassionato.

Kevin Caperna. Foto: press
Lorenzo Borgomeo, il regista di tutto
Dietro le quinte c’è un uomo che su Roma ci ha scommesso per davvero: Lorenzo Borgomeo, ex atleta di Muay Thai e oggi patron di Aurora MMA, la palestra più importante d’Italia. «Abbiamo faticato tanto, ma ora si comincia a vedere qualcosa», dice lui. E in effetti sì: cinque eventi sold out, un network di 60 team in tutta Italia, e una generazione di ragazzi e ragazze che invece di perdersi sui social si allenano per diventare i prossimi idoli della gabbia.
Borgomeo non lo dice, ma lo si capisce: l’idea è quella di fare sistema. Creare una via italiana alle MMA, con Ostia come nuova Sparta — ma con il baccalà fritto al posto del vino tagliato.
L’anima combattiva di Roma
Perché, in fondo, Roma combatte da sempre. Non solo con le spade, con i pugni o con l’harpastum. Roma combatte per un parcheggio. Per entrare in corsia. Per trovare un buco libero in spiaggia. Combatte contro la burocrazia e contro l’Atac. Combatte per non far vedere che le emozioni le ha, eccome.
E quando la lotta diventa sport, Roma risponde. Lo fa con un tifo ruvido, appassionato, teatrale. Lo fa perché i suoi ragazzi e le sue ragazze non vogliono essere influencer. Vogliono essere guerrieri veri.