Il caso Diana Di Meo e cosa si può fare per fermare il revenge porn | Rolling Stone Italia
Sessualità

Il caso Diana Di Meo e cosa si può fare per fermare il revenge porn

L’arbitro ha denunciato pubblicamente chi ha condiviso i suoi video privati e invita tutte le vittime a fare lo stesso. Ma finché non smetteremo di stigmatizzare libertà e gioia sessuale, potrebbe non bastare

Il caso Diana Di Meo e cosa si può fare per fermare il revenge porn

PA Images via Getty Images

Qualche giorno fa Diana Di Meo, arbitro ventiduenne abruzzese, ha parlato pubblicamente sul suo account Instagram di una vicenda che l’ha resa bersaglio di revenge porn. Con apparente calma e serenità, se così si può dire, ha comunicato che stanno circolando alcuni suoi video privati su Telegram e Whatsapp e che alcuni di essi sono stati addirittura girati a sua insaputa. Ha quindi invitato a denunciare, come ha fatto lei, fiduciosa nel lavoro delle forze dell’ordine che stanno indagando sul suo caso.

Non chiamatelo revenge porn

Denunciare è sicuramente sensato, ma quello che dal mio punto di vista sarebbe necessario fare, è capire perché ci sono persone che decidono di condividere con altre, anche sconosciute, materiale privato che coinvolge altre persone ancora, senza mettere queste ultime a conoscenza.

Ho già detto quanto la definizione “revenge porn” sia inappropriata e fuorviante. Anche la Legge n.69 del 19 Luglio 2019 (all’art. 612-ter c.p.) (nota come “Codice Rosso”) entrata in vigore il 9 Agosto successivo non usa questa espressione. Non si tratta indistintamente di azioni vendicative e meno che mai di pornografia. Si tratta invece di comportamenti assunti come consueti e quindi normali.

Quante volte abbiamo ricevuto stralci di chat screenshottate e quante altre siamo stati noi a inoltrare senza chiedere all’interlocutrice o all’interlocutore di poterlo fare? Non deve sorprenderci che lo stesso approccio superficiale, che non tiene minimamente conto della riservatezza, venga applicato anche a contenuti di tipo sessuale. Perché foto di persone nude o intente in atti sessuali dovrebbero ricevere un trattamento diverso? Non sarebbe invece il caso di prestare maggiore attenzione a qualunque scambio, a prescindere dalla sua natura?

Chi diffonde senza consenso materiale privato?

C’è una serie di domande alle quali bisogna dare risposta:

– Perché alcune persone che hanno o hanno avuto rapporti fisici e/o virtuali di natura sessuale con altre persone, a un certo punto diffondono il materiale creato o scambiato nell’intimità?

– Perché persone estranee ai fatti contribuiscono alla diffusione?

– Lo fanno solo o principalmente i maschi etero cisgender tirati su con quella che viene – a torto – chiamata “mascolinità tossica” ma che in realtà sarebbe più appropriato definire “mascolinità egemone”?

– È colpa del patriarcato?

Gruppi Telegram e Whatsapp: tra revenge porn e doxing

Come è emerso in passato, i gruppi Telegram e Whatsapp dove gira materiale sottratto inconsapevolmente alle persone coinvolte, sono popolati da migliaia di utenti di età, località, titolo di studio e posizione lavorativa tra i più disparati. Difficile tracciare un identikit di chi contribuisce attivamente a fomentare questo fenomeno. In quei gruppi vengono anche condivise immagini e video presi dai social delle persone bersagliate. Talvolta vengono diffuse informazioni personali (indirizzo di casa o lavoro, numero di telefono, dati anagrafici, ecc.) e ciò costituisce un ennesimo reato: il doxing. Non si tratta quindi solo di condividere foto e video privati, ma anche far circolare fuori dai circuiti dove erano state originariamente pubblicati, contenuti già pubblici.

Spesso i toni sono incomprensibilmente aggressivi e brutali. Ho fatto parte di un gruppo su Telegram dove non di rado emergevano dinamiche di questo tipo. Ho assistito a un caso di doxing, prontamente segnalato alla diretta interessata e al gruppo stesso. Ogni volta che ponevo domande come “La persona nella foto sa che la sua immagine è stata pubblicata qua?” oppure “Hai avuto il consenso per diffondere questo contenuto?” o quando segnalavo apertamente che si stava commettendo un illecito, ricevevo risposte tese a minimizzare e ridicolizzare. In più di un caso l’amministratore del gruppo, un utente anonimo tanto quanto gli altri, mi ha contattato in privato dicendo che non c’era nulla di male, che esageravo.

Nonostante tutto in alcune occasioni sono riuscita a far rimuovere il materiale, che suppongo sia stato replicato altrove, perso negli automatismi del “Salva nella Galleria” o “Inoltra”. Moltissime persone agiscono senza avere alcuna contezza delle proprie azioni e nuotano serenamente nell’ignoranza.

Guida breve “for dummies”

Qual è il rimedio alla condivisione non consensuale di materiale privato?
Se lo hai già condiviso, autodenunciati presso gli organi deputati. Se ti rendi conto che i tuoi account o dispositivi sono stati hackerati e materiale privato può esserti stato sottratto e diffuso, sporgi denuncia oltre a rafforzare l’accesso ai suddetti.

Come faccio a non condividere materiale senza consenso?
Tieni per te il materiale o cancellalo dai tuoi dispositivi fisici e dai cloud.

Cosa faccio se ricevo materiale che mi sembra diffuso senza consenso?
Fallo presente a chi te lo invia, cancellalo, denuncia e invita a fare altrettanto. Ricorda che «la pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati».

Sono convinta che serva maggiore consapevolezza nell’uso dei dispositivi elettronici, oltre che una sensibilità relativa alla privacy. Vorrei che la denuncia fosse l’estrema ratio, quando ormai il danno è fatto, ma che innanzitutto lavorassimo sul nostro comportamento individuale. Le persone coinvolte contro la propria volontà non sono ingenue, sciocche, vittime o puttane. Si diffonde materiale connotato sessualmente perché viviamo in contesti dove libertà e gioia sessuale sono stigmatizzate. Spesso c’è dolo, è vero. Il cosiddetto revenge porn non di rado accade perché far conoscere cosa e come ci si comporta sessualmente è socialmente riconosciuto come immorale. Se avete appreso la vicenda della donna licenziata dalla banca in cui lavorava da vent’anni per la sua attività extralavorativa nell’ambito del porno, forse il concetto di moralismo vi sarà più chiaro. Chi si trova coinvolta proprio malgrado, non dovrebbe vergognarsi né giustificarsi. Non c’è nulla di male ad avere una vita sessuale e – se piace – a ritrarla e condividerla.