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La canapa, aspirapolvere globale

Gli scienziati stanno studiando l'incredibile capacità di bonificare i terreni di questa pianta miracolosa

La canapa, aspirapolvere globale

Foto IPA

Nel 2017 Gavin Stonehouse, dottorando in Botanica della Colorado State University (CSU), ha iniziato la coltivazione di piante di canapa dentro un speciale tipo di terreno a cui sono stati aggiunti vari livelli di selenio. Il selenio, un minerale presente naturalmente in natura, è anche un grave inquinante dell’ambiente quando prodotto in eccesso in seguito ad attività industriali e agricole.

Lo scopo di Stonehouse è capire come la canapa sia in grado di gestire l’assorbimento di selenio. Se la pianta crescerà normalmente, sarà un importante passo per provare che la canapa industriale può purificare in modo naturale i terreni contaminati da una varietà di sostanze chimiche – un processo noto come biorimedio o fitobonifica. Lo step successivo sarà scoprire la quantità esatta di selenio estratto dalle piante, e dove questo minerale venga accumulato, se nelle radici, nei fusti, nei semi o nelle infiorescenze.

Stonehouse e il suo relatore, il professore della CSU Elizabeth Pilon-Smits, hanno in programma di pubblicare i loro risultati nel corso di questa estate. Ma i segnali sono incoraggianti. La canapa si sta dimostrando «incredibilmente tollerante» rispetto al selenio, dice Stonehouse. Nessuna pianta è morta, e solo alcune, esposte alle dosi più elevate, mostrano segni di stress.
Le implicazioni di questo esperimento vanno oltre il potenziale per ottenere terreni più puliti. Come gli esseri umani sanno bene da migliaia di anni, la canapa vanta importanti proprietà industriali, nutritive e medicinali. È possibile mangiarne i semi, curare dolori e infiammazioni con i suoi olî, oltre che produrre tessuti, corde e carta dalle sue fibre. E adesso, nel XXI secolo, forse stiamo per scoprire che si comporta anche come un aspirapolvere di sostanze tossiche.

«Se è possibile bonificare il terreno e al tempo stesso ottenere un prodotto commerciale, sarà come prendere due piccioni con una fava», dice Stonehouse. Il termine “fitobonifica” è stato coniato dallo scienziato Ilya Raskin, membro di un team che ha testato l’abilità della canapa di assorbire metalli pesanti dal terreno nei campi contaminati intorno a Chernobyl negli anni ’90. Secondo un altro membro del team, Vyacheslav Dushenkov, l’esperimento è stato un successo: «Per gli specifici contaminanti testati, la canapa ha dimostrato ottime capacità di fitobonifica», dice.

Piante di Cannabis al Biodiversity Park dell'Expo 2015. Foto: Furlan / Newpress

Piante di Cannabis al Biodiversity Park dell’Expo 2015. Foto: Furlan / Newpress

Nel 2001, un team di ricercatori tedeschi ha confermato i risultati di Chernobyl, dimostrando che la canapa è in grado di estrarre piombo, cadmio e nichel da un appezzamento di terra contaminato da scarichi fognari. Nel 2011, centinaia di coltivatori in Puglia hanno iniziato a testare questa teoria, piantando canapa nel tentativo a lungo termine di risanare terreni disastrosamente inquinati da un’acciaieria (l’ILVA di Taranto, ndr). (Dati conclusivi sul progetto italiano di fitobonifica non sono ancora disponibili, ma i coltivatori hanno già ottenuto il permesso di vendere il raccolto di fibra di canapa per usi industriali).

Elizabeth Pilon-Smits ha studiato la fitobonifica per più di un decennio. Da tempo è a conoscenza delle ricerche internazionali che suggeriscono come la canapa sia il principale candidato per pulire in modo naturale l’ambiente. Ma fino a qualche tempo fa, le sue mani erano legate. Per quasi un secolo, la coltivazione commerciale della canapa è stata vietata negli Stati Uniti, conseguenza della fobia che ha investito la marijuana nel mondo occidentale a partire dagli anni ’30 del Novecento. (Marijuana e canapa appartengono alla stessa specie, cannabis sativa; la differenza è che la prima ha azione psicoattiva, la seconda no).

Il Colorado ha legalizzato la marijuana per scopi ricreativi nel 2012, e nel 2014 ha votato una legge che incoraggia la ricerca delle qualità fitobonificanti della canapa. Quello stesso anno, il Congresso americano ha autorizzato la coltivazione della canapa per scopi legati alla ricerca scientifica. Ma Pilon-Smits ha comunque trovato difficile ottenere fondi per la sua ricerca (per quanto numerosi Stati abbiano legalizzato la coltivazione della canapa e ammorbidito la legislazione nei confronti della marijuana, entrambe le sostanze sono ancora vietate a livello federale). Anche nel progressivo Colorado, afferma Pilon-Smits, un’università che autorizzasse una ricerca sulla canapa rischierebbe di perdere il finanziamento federale.

Se la canapa fosse in grado di rimuovere il selenio dal terreno per concentrarlo in semi eduli, ciò significherebbe al tempo stesso risanare l’ambiente e migliorare la nutrizione umana

Ma negli ultimi due anni il clima politico è cambiato drasticamente. Lo scorso aprile il senato americano ha introdotto lo Hemp Farming Act del 2018, che rimuove la canapa dalla lista delle sostanze controllate. Lo scorso anno Colorado Cultivars, un’azienda che gestisce diverse coltivazioni di canapa industriale, ha contattato Pilon-Smits per domandarle se fosse interessata a studiare le potenzialità della canapa di bonificare i terreni, e lei non si è fatta sfuggire l’occasione. Insieme a Stonehouse ha dato il via a quello che, per quanto è dato sapere, è il primo lavoro di ricerca ufficiale negli Stati Uniti volto a stabilire se la canapa abbia le potenzialità per diventare un salvatore ambientale.

Se vi sembra una specie di sogno hippy, be’, è perché è esattamente questo. Per decenni gli attivisti che si battevano per una depenalizzazione della marijuana hanno sfruttato i molteplici benefici della canapa come una sorta di ariete per avvicinarsi alla legalizzazione. La loro logica si basava su una convinzione: nel momento in cui le leggi contro la canapa si fossero allentate, la causa della legalizzazione dell’erba si sarebbe rafforzata. Ma in una sequenza di eventi inimmaginabile solo una decina di anni fa, è successo l’opposto: le pressioni per ridurre le restrizioni alla marijuana hanno aperto la strada per la redenzione della canapa. Il movimento che è emerso dalla diffusione della marijuana terapeutica ha condotto a quella che Doug Fine, autore di Hemp Bound: Dispatches from the Front Lines of the Next Agricultural Revolution, ha definito “il rinascimento della canapa”.

Per Fine, la canapa è nientemeno che la salvezza dell’umanità, una pianta miracolosa che darà nuova vita a terreni esausti, mitigherà la minaccia del cambiamento climatico e stabilirà un equilibro armonico tra l’uomo e l’ambiente.

«È la pianta più importante per il futuro dell’umanità», sostiene Fine, che Rolling Stone ha raggiunto alle Hawaii, dove è impegnato in un lavoro di ricerca sull’olio di semi di canapa presso l’università locale. Per Fine, la visione di un ciclo di vita della canapa in cui la pianta viene usata per riparare il terreno e quindi convertita in prodotti sostenibili per l’ambiente, è solo un esempio dei «valori rigenerativi» che in questo momento stanno uscendo dalle comunità hippy per penetrare «alla base della nostra economia e società».

Una coltivazione a Olympia, nello stato di Washington dove è già concessa la produzione di marijuana a scopi ricreativi. Foto di Gilles Mingasson/Getty Images

Anche solo a livello intuitivo, ci sono svariate ragioni per cui la canapa, secondo Pilon-Smits, ha un potenziale “fitorisanante” da superstar. È una pianta estremamente resistente che cresce, appunto, proprio come un’erba, praticamente ovunque. Produce una biomassa relativamente alta in un breve periodo di tempo, il che significa che è estremamente efficace nell’estrarre i nutrimenti dal terreno e convertirli in prodotti potenzialmente utili. Il suo sistema di radici, relativamente profondo ed esteso, insolito per una pianta annuale, le permette di raggiungere gli strati inferiori di terreno contaminato. È anche naturalmente resistente contro gli insetti predatori, eliminando così la necessità di pesticidi.

Il quadro generale tuttavia, da un punto di vista ambientale, non è così roseo. Come avviene per la maggior parte delle colture, uno sfruttamento intensivo impoverisce il suolo da composti fertilizzanti come nitrogeno, fosforo e potassio. Produrre una simile biomassa richiede significativi quantità di acqua, e comporta lo stesso rischio di erosione del suolo di altre piante industriali. Un’economia basata sulla canapa, in altre parole, non è automaticamente sinonimo di un futuro più verde.

Tutto da stabilire è anche il possibile utilizzo di piante di canapa che hanno assorbito contaminanti particolarmente pericolosi. Le probabilità che si sviluppi un mercato per semi eduli o oli di CBD provenienti da piante impiegate per estrarre cadmio o piombo da ex siti industriali sono molto basse, almeno nel breve periodo. Al momento, non esistono dati sufficienti per stabilire esattamente come la canapa accumuli i contaminanti che assorbe, né cosa questo implichi per la salute.

Tuttavia, è possibile immaginare alcuni situazioni ideali, in cui i vantaggi superano gli svantaggi. Una delle ragioni per cui Pilon-Smits e Stonehouse sono positivi riguardo alla loro ricerca è che, nonostante il selenio in dosi elevate sia un inquinante ambientale, in piccole dosi è comunque un nutrimento necessario per la vita umana. Nel mondo sono oltre un miliardo le persone con carenza di selenio, dice Pilon-Smits. Se la canapa industriale fosse in grado di rimuovere il selenio dal terreno per concentrarlo in semi eduli, ciò significherebbe al tempo stesso risanare l’ambiente e migliorare la nutrizione umana.

«Se la canapa dimostrerà di sopportare bene gli inquinanti», dice Pilon-Smits, «il fitorisanamento si ripagherà da solo. Ci sono moltissimi terreni degradati esclusi dalla produzione, in attesa di essere bonificati perché non ci sono fondi sufficienti. La canapa può davvero essere la soluzione».

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