Come sta fallendo la guerra alla droga in U.S.A. | Rolling Stone Italia
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Come sta fallendo la guerra alla droga in U.S.A.

Nella battaglia agli stupefacenti avviata da Nixon 45 anni fa, l’America ha fallito. Ecco, invece, perché le riforme di Obama potrebbero avere successo. Trump permettendo

Foto di Gary Friedman/Los Angeles Times via Getty Images.

Foto di Gary Friedman/Los Angeles Times via Getty Images.

A marzo, il comandante nella “Guerra alla droga” si è presentato di fronte a una delegazione di politici, legali e tossicodipendenti in via di recupero, per dichiarare che l’America aveva fallito. Al summit di Atlanta sull’abuso di farmaci ed eroina – con un focus sull’epidemia di overdose che sta uccidendo 30mila americani l’anno – sono state queste le parole di Obama: «Per troppo tempo abbiamo osservato il fenomeno della tossicodipendenza attraverso la lente della giustizia criminale». E con conseguenze nefaste: «Ci siamo ritrovati le carceri piene di individui incapaci a reinserirsi una volta usciti, persone con la vita distrutta».

L’intento adesso è quello di promuovere un programma da più di un miliardo di dollari che incrementi il trattamento sanitario della tossicodipendenza. Obama ha dichiarato: «La questione è molto semplice: in che modo possiamo salvare la vita a chi soffre di tossicodipendenza e offrirgli una possibilità di recupero? Non serve a granché parlare di guarigione, dopo che la gente è morta».
Il suo discorso enfatizza i cambiamenti strategici e retorici nella Guerra alla droga, i primi lungimiranti in questa battaglia fallimentare durata 45 anni. Sono tre in particolare le riforme fondamentali: la prima prevede che le assicurazioni sanitarie abbiano l’obbligo di coprire il trattamento della tossicodipendenza come richiesto dalla Obamacare. La seconda riguarda la riduzione delle sentenze draconiane per reati legati alla droga, il che dovrebbe aiutare a far diminuire di più del 15% il numero di detenuti federali in carcere per droga. La terza (nonostante le orde inferocite di proibizionisti) è la decisione della Casa Bianca di togliere dal mercato nero la marijuana, con la legalizzazione prevista in California – e non solo – per il prossimo novembre.
A livello di retorica, la svolta è persino più impressionante. Parlando dei decessi da oppiacei, Obama ha nominato a capo dell’ONDCP (l’ufficio di politiche di controllo sulla droga, ndr) un nuovo presidente, quello che in americano viene definito “drug czar”. Si tratta di Michael Botticelli, in passato incaricato di presiedere al programma di trattamento sanitario della tossicodipendenza in Massachusetts. Botticelli ha denunciato «le politiche e la prassi fallimentari» dei precedenti drug czar e ha insistito affinché non si parli più di «tossici e fattoni», ma di americani con «disturbi da abuso di oppiacei».

«Una delle ragioni principali per cui le persone non cercano di curarsi è il senso di vergogna e la stigmatizzazione sociale», ha dichiarato Botticelli alla stampa l’anno scorso. «Dobbiamo tentare di cambiare il linguaggio».
Nonostante i passi in avanti nella politica nazionale, l’infrastruttura profonda nella Guerra alla droga rimane sostanzialmente inalterata. Il dispiegamento di forze paramilitari contro il narcotraffico non è riuscito a essere rimpiazzato da un programma incentrato sulla salute pubblica. Piuttosto, come in una politica energetica che contempli lo sfruttamento dell’energia solare senza rinunciare a decapitare le montagne per estrarre il carbone, le nuove politiche anti-droga vanno ad aggiungersi alle vecchie.
La conseguenza è che la Guerra alla droga grava sempre di più sulle tasche dei contribuenti. Il budget previsto da Obama nel 2017 è di 31 miliardi di dollari, un incremento del 25% dalla sua entrata in carica. Quest’anno il Governo federale sta spendendo più di 1.100 dollari pro capite per contrastare i 27 milioni di americani che assumono sostanze illecite, di cui 22 milioni fanno uso di marijuana.
L’inutilità della grande Guerra alla droga è venuta allo scoperto in una recente deposizione in Senato, dove ammiragli di un certo rilievo, incaricati di contrastare il narcotraffico globale, hanno confessato di non avere nessuna soluzione per fermare il traffico di eroina in Messico.

Dopo 45 anni, gli Usa sono ancora alle prese con le origini oscure della Guerra alla droga, lanciata nel 1971 dal presidente Richard Nixon, a fini politici.
Il consigliere di Nixon per la politica interna, John Ehrlichman, in un’intervista postuma pubblicata su Harper quest’anno, ha rivelato che il vero obiettivo della Guerra alla droga era di criminalizzare i due nemici giurati del Governo: «La sinistra pacifista e i neri». Come ha spiegato Ehrlichman, «potevamo arrestare i loro leader, perquisire le loro case, interrompere i loro incontri e diffamarli giorno dopo giorno sui media».
Lo stesso Nixon aveva aggiunto alla miscela un tocco di anti-semitismo: «Tutti i bastardi che stanno lì a promuovere la legalizzazione della marijuana sono ebrei», si lamentava con il capo del suo staff Bob Haldeman in una conversazione registrata nello Studio Ovale nel maggio 1971. «Che diavolo di problema hanno gli ebrei, Bob», chiedeva Nixon. «Per Dio, abbatteremo questa storia della marijuana, e colpiremo duro».

Dopo più di 1.000 miliardi di dollari spesi, la guerra di Nixon aveva decimato le comunità urbane di neri, fatto strage tra i bianchi nelle regioni rurali e povere, e scatenato una violenza terrificante da Bogotà a Ciudad Juarez. In Messico, dal 2007 sono stati ammazzati 80mila cittadini per questioni legate alla droga. Nonostante la carneficina, le politiche proibizioniste rafforzate dalla lotta paramilitare al narcotraffico e dalla detenzione carceraria non hanno avuto alcun effetto sul consumo, che fa affluire ogni anno nelle tasche dei cartelli 64 miliardi di dollari, secondo la stima del Dipartimento del Tesoro.

Gli Usa restano al vertice nel consumo di stupefacenti. Da un’indagine del 2015 (National Survey on Drug Use and Health) è emerso che circa un americano su dieci sopra i 12 anni aveva fatto uso di sostanze illecite nell’ultimo mese: il dato più alto dal 2002.
La leadership di Obama nella Guerra alla droga è stata ambivalente: opinione condivisa sia dai riformatori che dalla vecchia guardia. Al di là degli obiettivi ad ampio raggio – la riduzione delle pene, l’assicurazione di un trattamento sanitario per la tossicodipendenza e la tolleranza rispetto alla marijuana – i primi sei anni di Governo sono stati caratterizzati da un certo disinteresse per quello che riguardava gli aspetti fondamentali della Guerra alla droga.
Solo di recente, confrontandosi con il picco di decessi per overdose da eroina, Obama ha preso decisioni più concrete e Botticelli è diventato il suo consigliere senior.
In contrasto con i suoi predecessori, Botticelli è il primo drug czar con un’esperienza personale di dipendenza e possibilità di recupero: è un ex alcolista, ora sobrio da 27 anni, e durante il suo incarico in Massachusetts è stato un pioniere nell’impiego di farmaci anti-overdose per contrastare le crisi da oppioidi.
«C’è un motivo per cui il mio drug czar non ha un approccio da giustizia criminale, ma da trattamento sanitario», ha detto Obama durante il summit di Atlanta. «L’unico modo possibile per ridurre il fabbisogno di droga è se ragioniamo in termini di salute pubblica. Non fare subito la cosa giusta sarebbe molto più dispendioso».
Una lezione costata cara alla Casa Bianca. I primi tentativi di contrastare gli oppioidi – attraverso le pillole RX – hanno contribuito all’attuale epidemia di decessi.
Durante la presidenza di George W. Bush, l’abuso da oppioidi sotto prescrizione medica e la facilità di accesso a farmaci come l’OxyContin hanno causato quasi 15mila vittime nel 2008. Gil Kerlikowske, ex capo della polizia di Seattle, ha preso il comando dell’ONDCP nel 2009 intenzionato a ridurre la disponibilità di antidolorifici.

Parte integrante della strategia era la campagna della DEA volta a impedire la distribuzione illegale di farmaci negli Stati come la Florida, dove medici senza scrupoli prescrivevano oppioidi a pazienti tossicodipendenti. I federali hanno incrementato la sorveglianza sulle prescrizioni e le compagnie farmaceutiche sono state obbligate a introdurre una riformulazione chimica per farmaci come l’OxyContin o l’Opana, in modo tale che non potessero essere frantumati e sniffati.
Queste riforme hanno mostrato dei primi risultati facendo calare le morti per overdose da farmaci. Ma il Governo non ha contemplato gli effetti collaterali: gli americani disperati si sono rivolti all’eroina.
Le conseguenze di questa svolta si sono rivelate fatali. E l’epidemia di overdose è adesso ancora più letale, perché spesso gli spacciatori tagliano l’eroina con il fentanyl, una droga sintetica ad azione rapida, 40 volte più potente dell’eroina stessa. Oggi, circa il 75% di eroinomani sono persone con un ex dipendenza da farmaci.
I dati parlano chiaro: le morti per overdose di eroina hanno subito un’impennata, sono più che triplicate dal 2009, arrivando ai 10.500 nel 2014, quella che è considerata un’epidemia per il Centro di Controllo e Prevenzione delle Malattie. «Il 2014 è stato l’anno col più alto tasso di morti per overdose», riporta l’Istituto. Dopo un breve stallo, anche le morti per overdose da farmaci sono nuovamente aumentate, arrivando quasi a 19mila. Messi insieme, i 30mila decessi da oppioidi oggi fanno a gara con la carneficina da incidenti stradali (33.804) e da armi da fuoco (33.636).
Le statistiche riguardo alla droga negli Usa subiscono differenziazioni razziali, ma, al contrario di arresti e detenzioni, le morti per overdose colpiscono i bianchi quasi il doppio rispetto ai neri e il triplo rispetto agli ispanici. Obama è intenzionato a sfruttare questo fattore.

La gravità dell’epidemia ha fatto vacillare la storica resistenza repubblicana nei confronti di una politica sanitaria e nel 2016 i Repubblicani hanno accettato di utilizzare i fondi federali per un programma di scambio di aghi e siringhe.
In una conferenza stampa, Botticelli ha definito il programma «un ottimo metodo di intervento per i tossicodipendenti fuori dal trattamento sanitario». Rispondendo a una domanda di Rolling Stone, ha persino ipotizzato una certa apertura verso l’idea di presidii dove iniettarsi in sicurezza, sotto supervisione medica e con eroina di qualità.
Si tratta di un voltafaccia impressionante rispetto alle vecchie posizioni dell’ONDCP. Il drug czar di Bush, John Walters, definiva le iniezioni sicure «suicidi di Stato», Kerlikowske ha sempre considerato fallimentari questo genere di programmi.
Secondo Botticelli, invece, i presidii potrebbero servire non soltanto per ridurre il rischio, ma forse anche come possibile via di accesso a un trattamento sanitario.
L’atteggiamento illuminato verso gli oppioidi si scontra dall’altra parte con quello contraddittorio verso la marijuana.
Tra le sostanze illecite, l’erba è di gran lunga la prima scelta per gli americani, con 22.2 milioni che ne fanno uso (il Texas, per dire, conta 27 milioni di abitanti). L’utilizzo di marijuana è lievemente aumentato sotto Obama tra la popolazione adulta. La politica di non intervento nella legalizzazione statale ha abbattuto il Muro di Berlino del proibizionismo. L’utilizzo di erba per uso ricreativo è oggi legale in Alaska, Washington, Oregon, Colorado e a Washington D.C. Non desta meraviglia che gli affari vadano alla grande: le vendite di erba in Colorado sono arrivate a un miliardo di dollari l’anno scorso, generando un introito da 135 milioni, compresi 35 milioni per la costruzione di scuole.
Secondo le indagini di mercato, per ArcView e New Frontier, il mercato legale di marijuana potrebbe far fatturare 7.1 miliardi nel 2016. Gli americani non sono mai stati così favorevoli alla cannabis: secondo i sondaggi, il 61% è a favore della legalizzazione – compreso un 47% di Repubblicani. E ci si aspetta che i numeri crescano in vista delle elezioni del 2016. In California, la campagna Adult Use of Marijuana Act è finanziata dal miliardario Sean Parker e supportata dal vicegovernatore Gavin Newsom, che definisce la Guerra alla droga «un’abiezione costosa e fallimentare». I sostenitori della legalizzazione intendono promuovere iniziative anche in Nevada e Arizona. E il Vermont potrebbe presto diventare il primo Stato a legalizzare tramite un processo legislativo.
Un altro colpo al proibizionismo è arrivato con l’elezione di Justin Trudeau: il primo ministro canadese si era battuto per una campagna pro-legalizzazione e il Canada potrebbe implementare per il 2017 un regime di marijuana legale.

Nonostante questi passi in avanti, però, la policy federale sta intensificando la strategia proibizionista. A marzo, William Brownfield, della sezione narcotici del Dipartimento di Stato, ha dichiarato: «Il nostro obiettivo resta quello di limitare e infine eliminare il consumo di marijuana negli Usa, perché fa male ed è pericolosa».
Nel 2015 Michele Leonhart è stata finalmente cacciata dalla DEA dopo lo scandalo sessuale (si era scoperto che alcuni agenti della DEA avevano partecipato a dei festini in Colombia con affiliati dei cartelli e prostitute, ricevendo solo dieci giorni di sospensione). Il nuovo direttore, Chuck Rosenberg, non è un riformatore e continua a insistere sul fatto che la marijuana sia nociva. «È assurdo considerarla una medicina», ha dichiarato a novembre.

Ormai legale in 24 Stati e a Washington D.C., la marijuana usata a scopi terapeutici si è rivelata efficace nel trattamento di nausea e dolori neuropatici, e per i sintomi di sclerosi multipla, epilessia, morbo di Crohn e disturbo post traumatico da stress.
Ci sono dei segnali che lasciano ben sperare su un possibile ripensamento della DEA: innanzitutto ha dichiarato che l’eroina è molto più pericolosa della marijuana e poi, a luglio, dovrebbe elargire i risultati di uno studio quinquennale per stabilire se l’erba debba rimanere insieme all’eroina nella tabella più restrittiva delle sostanze illegali.
Anche le misure coercitive stanno subendo una svolta: nel 2010 la DEA ha raccolto quasi 726mila kg di erba tramite perquisizioni domestiche, nel 2014 – gli ultimi dati disponibili – si scende ad appena 74mila kg. Gli arresti per possesso domestico di marijuana sono in calo: dai quasi 7.000 del 2010 ai circa 4.000 del 2014. La diminuzione dei blitz federali è più accentuata rispetto agli arresti effettuali dalla polizia locale. Secondo quanto riportato dall’FBI, i federali hanno arrestato quasi 620mila americani per possesso di marijuana nel 2014, dopo un picco di 775mila del 2007, sebbene si tratti ancora del 40% degli arresti per droga, e del 5% degli arresti totali.

Eppure, considerare il possesso di marijuana un crimine continua a distruggere vite e a prosciugare fondi cittadini. Nel 2010 gli Stati hanno speso 3.6 miliardi per applicare le leggi anti-marijuana. Dietro il sistema legislativo aleggia anche lo spettro razzista del sistema di giustizia americano. Nonostante un consumo similare, i neri vengono arrestati 3,5 volte in più rispetto ai bianchi. Un rapporto che persiste anche negli Stati dove la marijuana è legalizzata: gli arresti per marijuana sono scesi del 90% a Washington, ma i neri sono ancora perseguiti il doppio rispetto ai bianchi.
Ogni giorno finiscono circa 470mila americani dietro le sbarre per reati legati alla droga, ovvero un quinto dei detenuti totali che ammontano a 2.2 milioni e praticamente l’intera popolazione di Kansas City. Gli Usa restano i più grandi carcerieri del mondo.
Ma la detenzione di massa per chi fa uso di stupefacenti potrebbe finalmente aver raggiunto il suo apice; a livello federale le riforme sulle sentenze hanno ridotto di parecchio i detenuti per droga.

Da un picco di 101mila nel 2012, il numero di detenuti federali per droga è calato a 85mila a marzo, secondo i dati forniti dal Federal Bureau of Prisons. Nonostante questo progresso, il Governo federale continua a effettuare lo stesso numero di arresti per droga del 2003, anno del primo mandato di Bush. E i casi di droga seguitano a intasare la giustizia, rappresentando il 32% dei processi nei tribunali distrettuali, con 1 caso su 4 per reati legati alla marijuana.
Anche i singoli Stati – sia Democratici che Repubblicani – stanno riducendo i numeri di detenzioni, per via della microcriminalità e del taglio ai fondi a seguito dalla Grande Recessione. Secondo il Pew Research, tra il 2009 e il 2013, sono 40 gli Stati ad aver ammorbidito le sentenze relative ai reati di droga. Nell’insieme, queste riforme hanno portato a un calo del 20% nella detenzione per stupefacenti.
La spesa federale per la Guerra alla droga è arrivata a 30 miliardi. L’ONDCP divide il budget in due settori: uno volto a ridurre l’offerta (attraverso la lotta al narcotraffico internazionale e l’applicazione delle leggi), l’altro volto a ridurre la domanda (attraverso la prevenzione e il trattamento sanitario).
Quando Obama è entrato in carica, il 60% del budget era destinato alla riduzione dell’offerta. Nel 2016 si è cercato “per la prima volta” di investire più soldi nella riduzione della domanda. Ma l’aumento di questi fondi non è andato a discapito del primo settore, rimasto inalterato. Anzi, l’amministrazione di Obama ha gonfiato di un quarto il budget destinato alla Guerra alla droga.
Sul versante della riduzione dell’offerta c’è stata una riorganizzazione. I fondi interni sono passati da 2.5 a 1.6 miliardi. Questi tagli hanno indebolito il ruolo del Dipartimento di Stato e della Difesa nel contrastare il traffico internazionale, intaccando le risorse finanziarie per l’eliminazione della droga e per l’equipaggiamento militare in Paesi come Afghanistan, Colombia e Messico. In contrasto, è invece aumentato il potere della DEA, che si è accaparrata circa un sesto dei 2.8 miliardi di budget.
I fondi destinati alla riduzione della domanda sono passati da 9.1 a 15.8 miliardi. Il budget per il trattamento sanitario della disintossicazione è quasi raddoppiato: da 7.2 a 14.2 miliardi. L’elemento chiave di questa finanziaria è la Obamacare, che richiede la copertura per il trattamento sia da parte delle assicurazioni private che dei programmi statali.

L’assistenza sanitaria ha spostato il suo tradizionale focus su madri povere e bambini verso un programma più vasto che interessa la cittadinanza a basso reddito, rendendo così disponibile per la prima volta un trattamento sanitario di disintossicazione per milioni di americani.

I cambiamenti nella Guerra alla droga sotto Obama sono storici e sembrano irreversibili, ma l’ideologia di un tempo non è scomparsa. In molti Stati il conflitto è ancora affrontato in termini nixoniani. Il governatore repubblicano del Maine, Paul LePage, ha dichiarato a gennaio che la sua strategia per ridurre l’emergenza da oppioidi è quella di rafforzare le condanne ai trafficanti fuori dai confini statali. Riprendendo la peggiore retorica della vecchia Guerra alla droga, LePage denigra gli spacciatori definendoli «tizi che si fanno chiamare D-Money, Smoothie e Shifty». Non a caso, LePage ha dato il suo sostegno a Donald Trump che dipinge i messicani come spacciatori e violentatori. E la promessa di Trump è di fronteggiare l’epidemia di eroina costruendo muri al confine col Messico. «Avete un problema tremendo con l’eroina e la droga», ha detto Trump ai votanti del New Hampshire. «Riedificheremo i confini e vi aiuteremo a risolverlo».

Il difetto alla base dell’idea di Trump è lo stesso che sta alla base della Guerra alla droga: un muro non è una barriera contro la dipendenza, così come la guerra non è una cura efficace.
In effetti, il muro di Donald Trump non sarebbe un deterrente contro i trafficanti di eroina, in grado – come hanno dimostrato – di attraversare ogni giorno i confini più presidiati del Messico. Prendete l’ammiraglio Bill Gortney, a capo del Comando Nord. Nella sua deposizione in Senato a marzo, Gortney ha dichiarato: «Un muro non risolverà gli immensi problemi» del narcotraffico.
Le droghe più pericolose, ha spiegato l’ammiraglio, non entrano negli Stati Uniti attraverso il deserto, come negli anni passati: «L’eroina e il fentanyl arrivano legalmente tramite i posti di blocco sparsi lungo il confine. Le droghe sono contrabbandate in spedizioni piccolissime, molto difficili da intercettare dai nostri partner. La tecnologia e le migliori strategie contro il narcotraffico sono state aggirate da un nemico diventato abilissimo». Nel suo insieme, la deposizione dell’ammiraglio Gortney evidenzia l’inutilità della Guerra alla droga, un qualcosa che la più grande società capitalista del mondo non avrebbe dovuto impiegare 45 anni e più di 1000 miliardi di dollari a comprendere: il potere militare non vince sull’economia di mercato.
«Quindi se esiste una domanda rispetto alla droga», ha chiesto il senatore John McCain all’ammiraglio, «deve esistere anche un’offerta?».
«Proprio così, signore», è stata la risposta di Gortney.

L’intervista è stata pubblicata in versione integrale su Rolling Stone di giugno.
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