Ci resta solo la verità | Rolling Stone Italia
Culture

Ci resta solo la verità

Un ex dipendente (dissociato) di Casaleggio è diventato il nostro più agguerrito cacciatore di bufale. Si chiama David Puente e non teme le minacce. Ma una società divisa, sì

Ci resta solo la verità

David Puente sta scendendo i gradini degli uffici della polizia postale di Trieste, e risponde al telefono all’ultimo squillo. Da qualche anno è in contatto con il reparto di Roma della PolTel, con il quale ha collaborato più volte. Oggi, però, il motivo della sua gita nel capoluogo è un po’ diverso: al centro del mirino c’è finito lui, con l’accusa più infamante. “Atti osceni in un parco con bimbi. Arrestato il blogger David Puente”, così titolava un finto lancio Ansa, comparso su Twitter negli scorsi giorni, e corredato da una sua foto. «Era qualche giorno che notavo uno strano movimento: avevo da poco stanato una serie di account creati ad hoc per attaccare Roberto Burioni (medico considerato il grande nemico degli antivaccinisti, ndr), che quasi immediatamente avevano iniziato a prendersela con me. A un certo punto uno dei miei follower mi gira un link, con scritto “guarda un po’ cosa dicono di te”».

Un’accusa di pedofilia può rovinare la vita a una persona, e David lo sa bene: «Mi sono precipitato a denunciare. Ho passato tutta la notte a cercare collegamenti, per consegnare agli inquirenti ogni informazione utile. Sono indagini complicate». Non è la prima volta, d’altra parte, che riceve minacce di morte. «Era già successo poche settimane fa, quando avevo scritto sul mio blog del caso di Lara Pedroni».

Questa vicenda racconta bene cosa sia diventata oggi la Rete, il suo grado di tossicità per il dibattito pubblico e la democrazia. «Era circolata una balla su Saviano, che avrebbe fatto delle dichiarazioni contro i terremotati», racconta Puente, «come sempre in questi casi, sono andato a cercare chi l’aveva diffusa per primo. Mi imbatto così in Lara Pedroni, che ne ha anche per Renzi, Boldrini e Cecile Kyenge». È una bella ragazza, come dimostrano le poche foto che accompagnano il suo profilo Facebook, e all’inizio scrive soprattutto di sé, con un’attitudine decisamente libertina. In breve tempo le cose cambiano: comincia a condividere meme delle pagine filo-Putin, a tifare per Salvini premier e per un M5S al 40%. «Noto allora che il logo dell’iPhone in un suo selfie è riflesso, come se fosse presa allo specchio. Risalgo alla foto originale, che appartiene a una modella inglese».

La dinamica è classica: avvicini un po’ di persone con forme e messaggi pruriginosi, poi le bombardi di messaggi politicamente orientati. «Chi c’è dietro?», riprende David Puente. «Questa è LA domanda, e vorrei tanto avere una risposta. C’è chi vuole solo trollare i creduloni – pratica cui sono fermamente contrario, perché così si minano le fondamenta della discussione –, chi lo fa per ideologia e chi per monetizzare, condividendo contenuti di sicuro successo per attrarre clic». Il risultato ultimo è l’alterazione della verità condivisa, e mettere poi a posto i cocci è un’operazione lunga e complicata.

Il più noto debunker (termine americano che indica gli smascheratori di bufale, ndr) di casa nostra è nato in Venezuela 36 anni fa, da papà peruviano e mamma italiana. «I miei antenati avevano una fabbrica tessile, che forniva le uniformi degli studenti della regione di Merida. A mio nonno hanno persino intitolato un lago», racconta. A 7 anni è tornato a Udine, dove oggi lavora come grafico e programmatore. Il resto è un’hobby, per quanto parecchio impegnativo. «Dopo cena vado nel mio studio e mi connetto al mio mondo. Leggo le segnalazioni che mi sono arrivate, cerco gli argomenti più caldi e le informazioni anomale che li riguardano. A volte, senza nemmeno accorgermene, si sono fatte le quattro», dice David, che ora è salito in auto e ha collegato il bluetooth. Cade la linea. «Per quanto tempo ho parlato da solo?», chiede.

La sua attività si è intensificata nel 2014, «perché mi ero accorto che il vento stava cambiando e le vecchie leggende metropolitane che circolavano in Rete si stavano trasformando in qualcos’altro, falsità create ad arte a fini propagandistici». Puente ha imparato a maneggiare gli strumenti dell’informazione nel 2007, quando ha ricevuto una chiamata dalla Casaleggio Associati per gestire la comunicazione dell’Italia dei Valori: «Ho lavorato per loro fino al 2011, mi sono fatto il mazzo. Anche grazie agli insegnamenti di Gianroberto Casaleggio ho appreso l’arte del fact checking». Il rapporto con il figlio Davide non è mai stato lo stesso. «Era molto diverso dal padre, più rigido. Non ci parlavo spesso». Oggi prende le distanze dalla società di comunicazione che è divenuta il centro gravitazionale della politica italiana. «Non riconosco più la Casaleggio Associati in cui lavoravo. Ai 5 Stelle imputo di aver mandato per anni messaggi di odio verso gli avversari e diviso sistematicamente la società. Il problema è che dall’altra parte hanno imparato la lezione».
David si occupa quotidianamente «di politici di destra, perché la maggior parte delle notizie destabilizzanti è diffusa da quegli ambienti, e per questo mi accusano di essere di sinistra», ma anche il Pd è stato spesso al centro del suo lavoro. Ritiene che Matteo Salvini «abbia fatto un ottimo lavoro da un punto di vista comunicativo: Luca Morisi (deus ex machina della propaganda leghista, ndr) sa il fatto suo, è indubbio. Oggi, a furia di messaggi polarizzanti, il rapporto con il suo elettorato è consolidato, difficile da scardinare. In futuro potrebbe anche sentirsi libero di dire qualcosa di pesante». L’ingranaggio ormai si muove da sé: «Lanci un hashtag, magari attraverso una botnet, e il tg ti riprende, così le condivisioni aumentano. Una notizia falsa, ma rilanciata da 50mila persone, per molti diventa vera».

Non tutte le bufale sono uguali, ma ciascuna, se innaffiata a dovere, contribuisce a infestare il giardino dell’opinione pubblica. Ci sono piccoli segnali per capire che una notizia è inventata. «Quando leggo “Quello che i tg non dicono” mi parte l’embolo. Le verità nascoste ci sono, ognuno di noi ha dei segreti. Ma servono le prove per dimostrare una tesi, se vai a processo con la fuffa perdi», spiega Puente, mentre richiude la porta di casa alle sue spalle.
Eppure nuove fake news spuntano tutti i giorni. Sulla vicenda del Ponte Morandi «c’è gente che ha rimontato dei video con Google Street View per dimostrare che l’infrastruttura era danneggiata. Ovviamente non gli importa nulla delle vittime, solo dei nemici da attaccare». Oppure i vaccini, la madre di tutte le battaglie assurde in Rete. «Si dice che i No Vax siano quattro gatti, ma non è così. E la connivenza di certi politici è un problema».

Altre bufale sono apparentemente innocue, oppure semplicemente fuori fuoco. Come quando vengono diffuse foto di bambini siriani per stigmatizzare una strage di palestinesi, oppure una fucilazione nazifascista per commemorare le vittime delle foibe. «L’obiettivo ultimo è sempre che il lettore si schieri da una parte o dall’altra». Uscire fuori contesto è l’abc per chi confeziona false verità. «Quando si parla dello smalto sulle unghie di Josefa (la migrante soccorsa in mare a luglio dall’ong Open Arms, ndr), si sposta l’attenzione su un altro tema, per instillare il dubbio che in fondo la vittima non sia tale. Se chi legge crede alla storiella, si può passare a quella successiva».

Anche attorno a dettagli di questo tipo si è coagulata la maggioranza che oggi governa il Paese. Già da mesi Lega e 5 Stelle, due partiti rivali fino a poco tempo fa, erano diventati una massa indistinta nei commenti di cantori di verità nascoste, economisti “non conformi” e teorici della sostituzione etnica. Il caso più clamoroso, svelato proprio da Puente, è quello di Marco Mignogna, che prima delle elezioni gestiva al contempo una ventina di siti di propaganda grillina o leghista. Oggi il fronte identitario appare compatto, un blob ideologico attorno a cui si è saldato l’esecutivo gialloverde (con sempre più inquietanti sfumature di nero).
«Non è che all’improvviso la gente sia diventata violenta, o contro i migranti. Ma ora comandano, e nella massa anche gli insospettabili trovano legittimazione e coraggio di parlare. Non c’è nulla di male a sentirsi maggioranza, ma se l’unico messaggio è l’annientamento dell’avversario le cose si mettono male. Sono anni che sentiamo espressioni come “asfaltare”, “demolire”, “massacrare”: il grande sogno è il pensiero unico».

I cosiddetti sovranisti, rispetto a una sinistra frammentata, paiono più organizzati e determinati, in grado di scatenare slavine social. «Non per forza si tratta di truppe cammellate», spiega David Puente. «Magari a innescare certe dinamiche sono gruppi di attivisti che, a furia di tag reciproci, sono diventati amici, e che chiamano all’adunata i compari quando trovano un contenuto su cui intervenire». In un amen ci si ritrova accerchiati, dileggiati e diffamati da ogni parte. «Non c’è modo di uscirne. Qualsiasi cosa dirai, la useranno contro di te per prenderti in giro. È bullismo». E spesso «gli account più pericolosi sono donne, che giocano sul filo delle accuse di sessismo». Che fare in questi casi? «Affrontare i troll è inutile, una perdita di tempo».

Lo è, apparentemente, anche rispondere ai vari complottisti che affollano il web, e che non di rado sono la fauna in cui il debunker friulano si imbatte durante i suoi safari digitali notturni. «Convincere un terrapiattista o uno sciachimicaro dell’assurdità delle cose che sostiene non è sempre possibile, e nemmeno è il mio primo obiettivo. Bisogna parlare con chi non si è ancora schierato, e spiegare che qualcuno sta giocando sporco. Finendo per mettere tutti quanti in pericolo».

Altre notizie su:  Reportage