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Sui social mentiamo, è nei gruppi Whatsapp che ci riveliamo per i mostri che siamo

Nell'epoca del politicamente corretto a tutti i costi, rimane solo un luogo in cui possiamo ancora dare il peggio di noi

Sui social mentiamo, è nei gruppi Whatsapp che ci riveliamo per i mostri che siamo

Mairo Cinquetti/Pacific Press/Alamy Live News

Sui social giochiamo con la bambola di noi stessi. Pettiniamo la nostra pupa pubblica, vestiamo di tulle rosa una stilizzazione senza brufoli e senza tumori del grosso mammifero che siamo. Gli uomini muoiono, le bambole no. Postando non facciamo che compilare il nostro lunghissimo epitaffio. Scolpiamo nel cyberspazio un ricordo di noi stessi che ci sopravvivrà. Vorremmo che questo ricordo fosse edificante e socialmente accettabile, un burattino dal sorriso immortale. Ci teniamo a mantenere una rispettabilità pubblica, a marcare le distanze dalla feccia degli hater, restiamo dentro i limiti del politicamente corretto. In molti sfogano la propria vera natura carnale di primati onnivori e sterminatori nei gruppi Whatsapp.

Il maschio bianco eterosessuale Schulz, protagonista di Il disperso (Mondadori, 2018), libro di Eugen Ruge ambientato nel 2055, teme di risultare perseguibile definendo un nero (naturalmente il termine nero è proibitissimo) africano: per pagine e pagine, con angoscia e sudore, ricerca un’alternativa picì (politically correct) ad africano. Alla fine la trova in “una forte pigmentazione eumelaninica”. Quando, per sua sfortuna, gli capita di finire in ascensore con una ragazza, sprofonda nella paranoia. Teme che quella donna possa scambiare qualche suo comportamento – uno sguardo, un sorriso – per un approccio sessuale senza esplicito consenso: le conseguenze legali sarebbero nefaste.

Ci separano dal 2055 ancora 37 anni, ma già oggi ci capita di impantanarci nell’alternativa direttore/direttrice: quale scelta renderà il nostro commento pubblico più consono a una persona evoluta? Poi nel gruppo Whatsapp del calcetto ci caviamo d’impaccio chiamandola semplicemente “gran troia”. A proposito del nero, invece, sarebbe interessante un confronto statistico: nelle chat private il numero di g sarà molto superiore rispetto alle chat pubbliche, c’è da scommetterci. Le gutturali proliferano in ambienti chiusi come fragole in serra. Se vuoi sapere che cos’è, ancora, nonostante tutto, ostinatamente, tragicamente, un maschio bianco eterosessuale nel 2018, sbircialo in metropolitana mentre conversa in un gruppo Whatsapp. Che sia un utente più o meno attivo, il suo schermo sarà un crocevia di barzellette triviali e meme sessisti, di bestemmie-filastrocca e delle innumerevoli declinazioni multimediali dell’impulso infantile a mostrare il medio alle spalle della maestra. Facebook censura la condivisione dell’Uomo vitruviano per via di quel piccolo pene d’inchiostro. Nei gruppi Whatsapp circola da anni l’immagine di un ragazzo a forte pigmentazione eumelaninica superdotato che brandisce il proprio enorme fallo nei contesti più disparati: dai reparti di terapia intensiva ai funerali.

Le storie di Instagram hanno avuto successo perché, mentre assicurano appagamento narcisistico grazie alla loro visibilità pubblica, la loro deperibilità disinibisce la sincerità degli utenti. Ma sì, posto il capezzolo di una pornostar, ma sì, scarabocchio un vaffanculo sopra alla foto segnaletica di un rom, tanto tra 24 ore sarà svanito tutto.

Consideriamo involuto chi rivendica, a discapito degli altri, l’affermazione del proprio gruppo di appartenenza privilegiato: quello dei maschi di tutte le etnie, quello degli eterosessuali in genere, quello dei bianchi di entrambi i sessi. Il popolo degli involuti non si riduce alle signore caucasiche che indossano magliette razziste a Predappio o ai disadattati che imbrattano di insulti i post di Diletta Leotta. Per limitarci al genere homo, dopo la nostra comparsa sulla Terra si sono estinti i neandertal, i denisoviani, gli hobbit di Flores e gli ultimi erectus dell’Asia meridionale, oggi siamo a un passo dall’apocalisse ambientale, e fingiamo di stupirci se Bolsonaro vince le elezioni in Brasile. Dovremmo soltanto sognare il giorno in cui disumano diventerà un complimento.

Era divertente strappare di mano la bambola di tua sorella, rubarla a tua cugina quando lei era distratta con un puzzle, e poi torcere le braccia alla pupattola, cavarle via i capelli, decapitarla, bruciarle la faccia nel camino. Come rimedio sintomatico, potremmo sfogare la nostra natura contro i profili dei defunti, bambole abbandonate sul marciapiede. Tutta una discarica di vecchie pupe senza più proprietari da torturare e seviziare con commenti e insulti umani.

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