Quanto pesa l'attacco di Parigi sulle elezioni in Francia | Rolling Stone Italia
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Quanto pesa l’attacco di Parigi sulle elezioni in Francia

Sono ormai più di 200 le vittime della furia jihadista che ha reso il paese il campo di battaglia di una guerra inquietante, i cui strascichi sono sempre più evidenti nella corsa all'Eliseo

Quanto pesa l’attacco di Parigi sulle elezioni in Francia

Sono diversi i fattori che rendono l’imponderabile l’assoluto vincitore di quella che si appresta ad essere – con il primo turno previsto domenica – la votazione più importante della Francia negli ultimi 50 anni. È infatti l’imprevedibilità il filo conduttore di una campagna elettorale infinita in cui diversi fattori stanno continuamente spostando le percentuali di gradimento dei diversi candidati in corsa, ultimo in ordine di tempo proprio mentre si stava tenendo il dibattito televisivo tra i candidati, l’attentato accaduto sugli Champs-Élysées a Parigi con un poliziotto morto, 2 agenti feriti, un turista ferito leggermente e l’attentatore – di cui sono conosciute le generalità – ucciso.

Pochi minuti dopo l’ISIS ha attribuito l’azione al combattente Abu Yusuf Al-Beljiki (il “Belga”) rilasciando un comunicato a Amaq, agenzia e organo di propaganda di Daesh. La rivendicazione immediata e la specifica sono un fattore importante per comprendere l’alto valore attribuito dal Califfato all’attentato: tutte le azioni dei “lupi solitari” degli ultimi mesi sono sempre stati riconosciute come “atti di alleati” contro il nemico, quello di ieri sera invece è stato un atto di guerra condotto da un soldato.

Un attacco che ha confermato la tendenza all’imprevedibilità di queste elezioni presidenziali in Francia e che, di nuovo, potrà far cambiare l’orientamento di voto dei tanti indecisi: l’ultimo sondaggio rilasciato da Le Monde vedeva sostanzialmente una corsa serrata tra i primi 4 degli 11 candidati, con in testa Emmanuel Macron al 23%, Marine Le Pen al 22, Francois Fillon al 19,5 e Jean-Luc Mélenchon al 19. È probabile che, quanto accaduto la scorsa notte farà cambiare ancora le percentuali e potrebbe dare la spinta necessaria alla rincorsa di Le Pen che – oltre a non avere più il monopolio di certi temi come quello “No Euro” – negli ultimi mesi non era riuscita a cavalcare la propaganda anti-islam, anti-immigrati e dello scontro di civiltà.

La candidata della destra identitaria ce la farà a sfruttare questo momento e provare a passare in testa in previsione del secondo turno? Oppure davanti resterà Macron, candidato centrista liberal e vero outsider del voto? E Fillon, uomo della destra rurale e reazionaria, riuscirà a imporsi come uomo forte capace di mettere ordine nonostante gli scandali di cui è stato protagonista non più tardi di un mese fa? Oppure la proposta – su posizioni di sinistra, radicale e di critica all’EU – di Mélechon, potrebbe raccogliere consensi dai delusi dal Partito Socialista e dagli under 25?

I candidati correranno per vincere mentre il paese boccheggia: è infatti una Francia in crisi economica e costituzionale, con una popolazione stanca, che ha pagato un costo sociale altissimo a causa delle politiche economiche del governo Hollande, tendendo inoltre conto che Parigi gioca un ruolo primario nella UE (e molto del futuro comunitario passerà dal futuro inquilino dell’Eliseo), che i francesi sono in guerra in Iraq, in Siria e nel centro Africa, che è un attore fondamentale nella questione libica e di riflesso sulla questione migranti. Ma soprattutto la Francia – come tutti abbiamo visto – è fiaccata da mesi di Stato di Emergenza e da decine di attentati jihadisti che hanno visto oltre 230 vittime.

I contendenti si presentano ai concittadini come “interpreti di una necessaria rottura del sistema politico francese o di una sua radicale rifondazione” ma a conti fatti si tratta di una corsa tra quattro minoranze a cui si aggiunge l’astensione, per cui conterà moltissimo chi arriverà al secondo turno e soprattutto che riflesso avrà la probabile presenza di Marine Le Pen al ballottaggio.

Negli ultimi mesi – per chi scrive – sembra evidente che la Francia è oggi lo Stato che più di ogni altro raccoglie le contraddizioni del nostro presente, una punta di un iceberg che si dipana in tutto il nostro continente, una crisi politica e umana che è il frutto di processi materiali e cambiamenti che hanno investito per intero l’insieme di tutti i mondi sociali. Sono i nodi della storia coloniale che vengono al pettine, è la sempre più marcata linea del colore nelle banlieues e nei luoghi di lavoro, è la repressione preventiva del dissenso e l’uso massiccio della polizia nei quartieri popolari.

La Francia è l’esempio perfetto di come si stia trasformando il neoliberismo, cercando una nuova politica economica che passa dalla finanziarizzazione dell’economia e si fonda sullo sfruttamento e sull’erosione dei diritti sociali e di cittadinanza. Infine, la Francia è la pietra tombale della socialdemocrazia europea e dei suoi partiti (il candidato del Partito Socialista, Benoit Hamon, è dato sotto il 10% e parecchi chiedono si ritiri dalla corsa…).

Una miscela esplosiva che ingloba una serie di contraddizioni che fanno della Francia un paese impaurito, confuso, disorientato dove l’illusione dell’appartenenza, il rancore degli esclusi, la guerra, il gemito degli oppressi e la povertà saranno i protagonisti del (nostro) futuro.